Archivio mensile:Dicembre 2006

Guardarsi l’ombelico

Sul Corriere della Sera del 30 dicembre è apparso un articolo di Bernhard-Henry Levy, nel quale l’intellettuale francese traccia un bilancio del 2006.

Tra i fenomeni negativi dell’anno l’autore cita anche il proliferare dei blog, definiti come un “planetario guardarsi l’ombelico”, causa di disinformazione i quanto provocherebbero un eccesso di informazioni, più pericolosi della mancanza di notizie e della censura.

Sicuramente l’universo dei blog comprende tutto e il contrario di tutto: siti completamente autoreferenziali, velleitari, che vivono di citazioni, ma anche siti che fanno informazione seria e documentata.

E’ il limite di internet, è un immenso contenitore dove è possibile reperire quello che cerchiamo, mischiato ad un’infinità di altre notizie, magari superflue o parziali o errate, ma, a mio parere, tutte hanno il diritto di esistere, come esistono infinite voci, anche nel mondo della carta stampata, non tutte utili o veritiere.

La differenza tra il mondo della parola stampata e il web è soprattutto di natura pratica, il libro o il giornale devi acquistarli, mentre alla rete puoi accedere liberamente, da casa tua e con un costo minimo.
D’altra parte anche nei libri e nei giornali, così come nel web, si trovano notizie errate, commenti di parte, interpretazioni dei fatti fantasiose.

Il libro e il giornale, così come internet, sono strumenti per interpretare la realtà, tutto va letto con senso critico, tutto deve essere verificato: nessuno ci offre la verità su un piatto d’argento.

Quasi a ribadire il concetto sullo stesso giornale, qualche pagina dopo, compare l’intervista a Oliviero Ponte di Pino, direttore editoriale della Garzanti, che afferma l’assoluta affidabilità dei libri in confronto a wikipedia, definita agile, ma rischiosa.

Anche in questo caso non mi sembra il caso di generalizzare: tra le migliaia di volumi che popolano gli scaffali di casa mia ce ne sono di utili, di seri, di assolutamente inaffidabili, di fondamentali, di incredibilmente inutili e superati…..esattamente come accade in internet.

Dentro la notizia.

Nei libri di storia, anche in quelli della scuola media, dopo alcuni capitoli costellati di avvenimenti, personaggi, date, cause e conseguenze, viene inserito un capitolo, per così dire, di costume, nel quale viene illustrato un periodo storico attraverso le abitudini di vita, il cibo, le invenzioni scientifiche, le curiosità eccetera eccetera.

Si tratta, di solito, di un capitolo interlocutorio, che gli allievi (e perché no, anche gli insegnanti) prendono un po’ sotto gamba: è vero, è importante comprendere la temperie culturale, ma in storia contano i fatti e le idee che li provocano.

Fin qui tutto bene, allora mi chiedo: perché i nostri telegiornali, tranne rare e sparute eccezioni, sembrano disinteressarsi dei fatti, delle notizie e si perdono nella descrizione di aspetti del costume, magari curiosi e divertenti, ma che poco hanno a che fare con la “notizia”?

Un esempio.

Telegiornale del 29 dicembre (per carità di patria taccio la rete), dopo alcuni brevi aggiornamenti sulla condanna a morte di Saddam Hussein e sui problemi del Corno d’Africa si susseguono nell’ordine:

  • I ricoveri ospedalieri di Bertinotti e Amato, con un “interessantissimo” approfondimento su come si fa un’angiografia e come si opera una prostata in modo non invasivo.
  • Veglione di Capodanno con concerto rock niente meno che a Lourdes, con elencazione di tutti gli illustri precedenti (ivi incluso Gianni Morandi).
  • La moda dei giochi da tavolo, con argomento religioso, in vendita negli Stati uniti: Mormonopoly, Kosherland e compagnia cantando, con interessante approfondimento dietrologico sul rischio di indottrinamento.
  • Riscaldamento del pianeta (ancora?)
  • La triste storia del panda nato e vissuto in cattività che, reinserito nell’ambiente naturale, è stato aggredito dai suoi simili (tranquilli, dopo averlo curato tenteranno di nuovo l’inserimento).
  • Il sequestro di cuccioli, risoltosi con la morte di molti esemplari, perché erano stati strappati alla madre troppo presto e quindi erano privi del sistema immunitario.
  • Cosa mangeremo e quanto spenderemo per il veglione di Capodanno.

Dopo queste fondamentali notizie (della serie ”mai più senza”), in chiusura, prima del meteo, viene buttata là, quasi in modo casuale, l’informazione dell’aumento delle tariffe ferroviarie (che, evidentemente non interessa a nessuno)

Mi piacerebbe, ogni tanto, sentire qualche notizia, ma ho l’impressione che anche l’informazione segua l’auditel.

Son tutte belle…

C’è in giro una pubblicità, credo di un nuovo modello di automobile (per inciso se si ricorda lo spot e non il prodotto pubblicizzato, non mi sembra che lo scopo sia stato raggiunto), in cui compare un gruppo di giovani donne, rigorosamente vestite di nero, proprio come gli “All Blacks”, impegnate nell’eseguire l’Haka (la danza maori), l’idea è che ci vuole molta grinta per essere mamme oggi.

In realtà credo di conoscere anch’io qualche giovane mamma di questo genere.

Di solito sono super impegnate a scarrozzare i simpatici frugoletti da un punto all’altro della città, dalla scuola, alla palestra, al corso di danza, alla piscina e nei ritagli di tempo trascinano il cane di casa a fare pipì.

Ci vuole grinta davvero per uscire indenni da tour de force di questo genere, eppure  spesso esibiscono una linea invidiabile, indossano abiti alla moda (qualche volta sottratti alle figlie adolescenti), sono efficienti, ben truccate, con le chiome fresche di permanente, le unghie curate, la bigiotteria giusta, guidano dei veri e propri mezzi corazzati e non mi stupirei se fossero persino delle ottime cuoche, esperte nel calcolo delle calorie e nella preparazione di piatti dieteticamente equilibrati.

Le incontro, qualche volta, nei colloqui scuola-famiglia, iperprotettive, sempre rigorosamente schierate dalla parte dei figli (anche e soprattutto quando i figli hanno torto o si sono comportati male), raramente accettano critiche o consigli sulla loro azione educativa.

C’è solo un piccolissimo problema, hanno troppo poco tempo per parlare con i ragazzi e soprattutto per ascoltarli, se sono piccoli spesso li piazzano davanti alla balia elettronica (la televisione) e così, quando i bambini crescono, manca loro l’allenamento a comunicare con i figli e scoprono, quando è tardi, che, pur passando molto tempo con loro, non li conoscono veramente.

E’ triste, ma qualche volta succede che un alunno o un’alunna mi chieda di parlare di qualche problema personale e purtroppo, quando li invito a rivolgersi alla mamma, la risposta è invariabilmente:

“Tanto non mi capisce!”

Sulla neve

Giornata sulla (poca) neve di questo strano inverno. Gli impianti sono chiusi, c’è poca gente, il cielo è limpido e, complice una decisa inversione termica, la temperatura è mite e la pianura è avvolta in una coltre di nebbia fittissima, dalla quale spuntano le montagne.

Si cammina a fatica sulla neve ora ghiacciata ora morbida, non si sa mai bene dove appoggiare i piedi e lo scivolone è sempre dietro l’angolo.

I rifugi sono aperti, ma vuoti: c’è tempo per fare quattro chiacchiere con i custodi che colgono l’occasione, quando ci si ferma a bere un caffè, per parlare con qualcuno della loro vita quotidiana, dei problemi insiti nella gestione di un rifugio ma anche della bellezza e della libertà della loro esistenza.

Purtroppo le giornate di fine dicembre sono brevissime, è ora di scendere a valle, sta per partire l’ultima funivia e non è il caso di perderla e scendere al buio per il sentiero ghiacciato.

Getto un’ultima occhiata alle montagne, così vicine, e mi imbarco.

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Sulla funivia c’è poca gente, due anziani escursionisti, una giovane coppia che ha approfittato della giornata per abbronzarsi e un uomo, in giacca, cravatta e scarpe da città, che sembra capitato lì per caso e fa domande di tutti i tipi, pieno di curiosità.

Chiede lumi sui nomi delle cime, sui tempi di percorrenza, sull’attrezzatura degli escursionisti, (evidentemente impressionato dalle ciaspole legate allo zaino) sulla ubicazionedei rifugi.

I due escursionisti si mostrano disponibilissimi, rispondono con abbondanza di particolari e, un po’ come dei pescatori, le sparano grosse, tanto nessuno li contraddice.

Il manovratore della funivia alza gli occhi al cielo e sorride sotto i baffi (metaforici).
Quando la funivia entra nella stazione a valle tutti scendono, accompagnati da un grato sospiro di sollievo.

La montagna è anche questo.

Palinsesto natalizio

Feste di Natale in montagna: fa freddino ma il tempo è splendido, c’è poca neve, una leggera spruzzata, stile zucchero a velo, sulle cime più alte.

Nelle ore più calde usciamo a camminare, ma appena il sole tramonta dietro la Grigna, ci rintaniamo in casa, accendiamo il camino (in casa, c’è il riscaldamento centralizzato, ma il camino fa più atmosfera), sorseggiamo una cioccolata al rum (con buona pace della linea, ma durante le vacanze di Natale la dieta è un pio desiderio) e guardiamo un film….

Ecco, il problema è un po’ questo, la programmazione dei film durante il periodo natalizio segue delle regole abbastanza precise:

Innanzitutto il film deve essere, possibilmente, di lunghezza spropositata (reso ancora più lungo dalle interruzioni pubblicitarie)

Il protagonista deve essere un bambino che si perde, viene abbandonato, viene dimenticato a casa dai genitori (in partenza per Parigi), allaga la casa, trova un alieno sperduto, è un alieno sperduto, ha un amico alieno, ha un animale, alleva un animale, perde un animale, viene accudito da una governante perfetta.

Se poi la governante è canterina e vola è meglio.

Ho visto per anni “Tutti insieme appassionatamente” (The sound of music) e “Mary Poppins ( si vede che Julie Andrews, per contratto deve cantare e curare minori, resi docili a furia di canzoncine), mi vergogno a dirlo, ma sono rimasta per ore incastrata davanti alla televisione, finendo persino per commuovermi.

L’unica decente eccezione alla colata di melassa natalizia e il film “I Blues Brothers che, fortunatamente, viene trasmesso puntualmente ogni anno.

Riconosco il film fin dalla prima scena, la fumosa Chicago inquadrata dall’alto, conosco a memoria l’inventario recitato dal secondino del carcere, canticchio le canzoni, mi ribalto con i nazisti dell’Illinois, faccio un tifo indiavolato nella scena finale, quando polizia, esercito, marina militare, aviazione, soldati a cavallo e delta force inseguono i due fratelli preferiti nell’ufficio delle tasse.

Ah! Che meraviglia i film di Natale.

Passata la festa…

Anche il Natale 2006 è archiviato, è stato il Natale della polemica sul Presepe e delle feste natalizie cancellate nel nome di un malinteso pluralismo religioso.

Per me è stato, come sempre, un Natale in famiglia, un’occasione per sederci tutti intorno alla tavola, senza guardare l’orologio, gli orari e gli impegni di lavoro, gli appuntamenti e le scadenze impellenti.

E’ un momento per ricordare le persone care, anche quelle che non ci sono più, per ripensare agli anni trascorsi e fare un bilancio degli affetti con un filo sottile di malinconia.
Per tradizione non ci facciamo regali importanti, ci doniamo un po’ di attenzione e di voglia di stare insieme, ci doniamo un sorriso e una parola amichevole.

Vorrei essere capace di spruzzare, su tutti i giorni dell’anno, un pizzico di magia del Natale.

ghiaccio

Buon Natale

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  • a chi ama
  • a chi non ama più
  • a chi è solo
  • a chi sta male
  • a chi sta bene, ma non dimentica chi sta male
  • a chi sta bene e non si accorge di nulla
  • a chi spera
  • a chi non sa cosa sperare
  • a chi non ha speranza
  • a chi è in pace
  • a chi non trova pace
  • a chi ha fatto tanti regali
  • a chi ha ricevuto tanti regali
  • a chi regala col cuore
  • a chi regala col portafoglio
  • a chi regala amore
  • e a tutti gli altri….

Buon Natale

C’era una volta…

Qualche anno fa i miei allievi hanno fatto una ricerca, intervistando gli anziani del paese, su come vivevano i coetanei in un passato che a loro sembrava veramente remoto.

Una delle testimonianze più attendibili e dettagliate era quella di Olga, una matura signorina, classe 1920, dalla memoria ferrea.

Tra gli innumerevoli ricordi, che affioravano dalla sua mente lucidissima, nonostante l’età, i più poetici erano quelli legati al Natale.

Il paese in cui vivo era povero, come tutti, si mangiava poco, si lavorava molto, l’unico divertimento consisteva nel riunirsi, nelle sere d’inverno, nel tepore della stalla (l’unico ambiente vivibile della cascina) dove, dopo aver recitato il rosario, mentre le donne cucivano e le ragazze ricamavano il corredo, gli uomini raccontavano storie spaventose o divertenti.

Qualche volta nella famiglia c’era un anziano, di solito un vecchio zio, che aveva letto dei romanzi (“I tre moschettieri” ,”I miserabili” o “I promessi sposi”) e li raccontava a puntate, un pezzetto per sera, interrompendosi nei momenti cruciali per tener viva l’attesa del racconto.

Per Natale i bambini ricevevano pochissimi regali che, per questo motivo, erano preziosissimi: una mela, qualche noce, due arance avvolte nella carta dorata e dei dolcetti di zucchero fra i quali spiccava la “munighèla” una figurina che ricordava vagamente una monaca.

Qualche volta le bambine ricevevano una bambola di pezza, cucita dalla mamma o dalla nonna, con la testa di porcellana che veniva acquistata, con largo anticipo, da un omino (l’uomo delle bambole), che aveva un piccolo negozio nel paese vicino.

Dopo l’Epifania i giocattoli sparivano per ricomparire, come nuovi, dodici mesi dopo.

A Natale e a Pasqua si mangiava la carne, che altrimenti era bandita dalle tavole delle famiglie contadine, dove il cibo quotidiano era zuppa di verdure, polenta e pane nero.

Forse, proprio a causa di questa estrema povertà, la festa era più festa, il dono era atteso con trepidazione, accolto con gratitudine e non deludeva mai

Una buona “Azione”

Non sto scrivendo di bond e future, e neppure di borsa…



Ho letto un post interessante su Kiva: un’organizzazione di microfinanziamenti per imprenditori dei paesi poveri.

L’idea mi sembra interessante: in poche parole si tratta di contribuire, con una cifra anche irrisoria, a finanziare un progetto proposto da una persona che vive in condizioni difficili, ma cerca, con la propria iniziativa e il proprio lavoro, di migliorare la propria situazione.

Il sito presenta le richieste di aiuto, corredate da una scheda con un volto e un nome (oltre logicamente al progetto), e l’impegno, da parte del piccolo imprenditore, a restituire il prestito in 12/18 mesi e ad aggiornare i creditori sui progressi compiuti.

Questa iniziativa ne richiama un’altra più famosa, balzata agli onori della cronaca con l’assegnazione del premio Nobel per la pace a Muhammad Yunus il banchiere dei poveri.

Forse è il caso di approfittare del Natale imminente, visto che ci sentiamo tutti un po’ più buoni, per realizzare qualcosa di concreto per e con gli altri.

Poi, una volta sperimentato il sistema, se, come credo e spero, funziona veramente, forse è il caso di fare in modo che, per qualcuno, ogni giorno sia Natale.

Venezia.

E’ difficile non essere clamorosamente banali parlando di Venezia, tutto quello che si può dire è stato già detto. Di solito la si definisce unica (bella forza: avete notato che non ha strade, ma canali).

Mi fanno un po’ tenerezza i turisti che ci arrivano per la prima volta, si aggirano ipnotizzati, senza guardare dove mettono i piedi (il che, in una città sull’acqua, può essere anche pericoloso), hanno un’espressione estatica, persa nella contemplazione dei palazzi e del loro riflesso nell’acqua.

Mi piace vagare di notte, quando la città si svuota dell’ondata di turismo giornaliero, e diventa improvvisamente silenziosa, suggestiva e misteriosa,

Eppure…

Tante volte mi sono chiesta come vivano i tanti veneziani residenti, come riescano a condurre una vita normale, tra negozi, uffici, scuole e tutto ciò che riempe quotidianamente la nostra esistenza in un contesto che, per chi viene da fuori, può sembrare un gigantesco parco di divertimento, ma è pur sempre una città con tutte le sue dinamiche.
Non credo che i veneziani facciano la spesa nei negozi di souvenir, qualche volta dovranno pur andare da un medico, in posta o in banca.

Per un turista girare a piedi Venezia è incantevole (estenuante, ma incantevole), al ventesimo ponticello a dorso di mulo il fiato diventa corto e la vista si annebbia, allora si approfitta per fermarsi, per leggere una guida turistica, per scattare una fotografia, tanto lo sfondo è sempre appropriato.

Ma chi deve reggere i ritmi di tutti i giorni come fa?

Non credo che sia semplice abitare in una cartolina (di quelle che i collezionisti definiscono animate), senza, ogni tanto, provare il desiderio di un po’ di pace e di normalità.

Questi sono i pensieri che affollano la mia mente quando mi aggiro per calli e campielli un po’ esterni ai circuiti del turismo di massa, quando mi soffermo ad osservare le case (non i palazzi signorili), evidentemente abitate da gente normale, che vive e lavora esattamente come me.

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Questo è il motivo per cui mi piacerebbe abitare, almeno per qualche mese, a Venezia.