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Cristina Trivulzio di Belgioioso

A questa donna, celebre in tutta Europa nell’ottocento per l’impegno politico e sociale e poi inspiegabilmente dimenticata, Milano ha dedicato, a 150 anni dalla morte, la prima statua che rappresenta una donna (che non sia la Beata Vergine o una santa o una personificazione allegorica), posta al centro di Piazza Belgioioso, di fronte al palazzo di famiglia e accanto a casa Manzoni. nel cuore della città, vicinissima alla Scala e alla chiesa di San Fedele.

Cristina nacque nella famiglia Trivulzio, una delle più nobili casate meneghine, e sposò giovanissima il principe di Belgioioso da cui si separò ben presto non sopportando continui tradimenti.

Per il suo impegno a favore dell’Unità d’Italia  fu perseguitata dalla polizia austriaca e obbligata a fuggire in Francia, dopo la confisca dei beni di famiglia.

A Parigi iniziò a scrivere e a partecipare al dibattito politico e culturale del tempo, aprì un salotto frequentato dai più noti intellettuali, strinse amicizia  con Heinrich Heine, Liszt, de Musset, tenne una corrispondenza epistolare con La Fayette, scrisse articoli e finanziò la pubblicazione di giornali politici e patriottici.

Dopo l’Unità d’Italia la sua presenza nella vita politica divenne marginale, si ritirò a vita privata e si dedicò ai primi tentativi di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei contadini e di istruzione gratuita per i ragazzi delle classi meno abbienti.

Era una donna indipendente, forte, determinata, anticonformista e coraggiosa tanto che Carlo Cattaneo la definì “la prima donna d’Italia”.

Sulla sua statua, che la raffigura in tono antiretorico, è incisa una frase che la rappresenta:

Vogliano le donne felici e onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori e alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata felicità!”

Milano - Statua di Cristina Trivulzio di Belgioioso

Con le mani nell’acqua.

Ieri a Pavia piovigginava, ma la città, anche se ammantata di un’atmosfera autunnale con il suo cielo grigio e le pietre del selciato lucide di pioggia, conserva sempre il suo fascino.

Varcato il ponte coperto, su un Ticino particolarmente plumbeo, mi ha colpito la statua della “Lavandaia” che non avevo mai visto anche se la sua inaugurazione risale a quarant’anni fa.

La scultura, opera dello, scultore borghigiano Giovanni Scapolla, è collocata poco lontano dall’imbocco del ponte dal lato di Borgo Ticino, il quartiere dal fascino antico e pittoresco un tempo situato fuori dalle mura cittadine, il “Burg à bass” (borgo basso in dialetto) che si affaccia sul fiume con le sue case dai colori vivaci.

La scultura celebra la memoria di queste donne del Borgo che, fino agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso, svolgevano un duro lavoro quotidiano, nei mesi più freddi e nebbiosi tutte intabarrate e con in testa la “caplina” cercando di scaldarsi con i fuochi accesi lungo le sponde.

Le donne lavoravano tutto il giorno sulla riva: di notte lasciavano i panni in ammollo  in enormi recipienti di cemento, mentre al mattino, una volta riportati a riva, li lavavano con l’aiuto della classica asse di legno, “a scagn” in dialetto.

Era compito degli uomini e dei bambini riconsegnare i panni puliti a tutta la città.

Mi piace l’idea soprattutto in questi tempi, in cui si fa un gran parlare di sculture al femminile, dalla “Spigolatrice di Sapri” alla prima statua raffigurante una donna inaugurata a Milano, che a Pavia si possa ammirare una statua dedicata a donne umili e forti che hanno contribuito a fare la storia della città.

Pavia - Monumento alle lavandaie

Non è una festa.

Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo:

Articolo 2: Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.

Costituzione della Repubblica Italiana:

Articolo 3: Tutti i cittadini hanno pari dignita` sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Oggi non è la “Festa della Donna”, perché non serve una festa per ribadire che donne e uomini sono diversi, ma uguali.

Oggi è la “Giornata Internazionale della Donna”, una giornata che dovrebbe spingerci a riflettere, un po’ più del solito, un po’ più di come dovremmo fare ogni giorno che donne e uomini “sono” uguali, anche se non sempre e non in ogni luogo hanno uguali diritti, libertà e dignità.

Fino a quando sarà necessaria una “Giornata Internazionale della Donna” la effettiva uguaglianza sarà solo una irraggiungibile utopia.

Geyre Kasabasi (Turchia)

“Serenissime” (per chi ha voglia di leggere un libro al femminile).

“Serenissime” è un libro di Alessandro Marzo Magno che racconta la vita e le opere di dodici donne nate a Venezia che dal Medioevo ai giorni nostri, in diversi modi, hanno contribuito a rendere la loro città unica, come uniche sono state le loro storie.

Si va da Marietta Barovier, la donna che per prima ha creato le perle di vetro che oggi l’Unesco ha riconosciuto nell’elenco del Patrimonio intangibile dell’Umanità, a Elena Lucrezia Corner Piscopia, la prima donna laureata al mondo, dalla stilista Roberta di Camerino a Margherita Sarfatti, ispiratrice di Mussolini, per finire con Patty Pravo.

Le dodici donne che hanno primeggiato nei campi dell’arte, della cultura, della politica, della moda, della musica hanno in comune Venezia che è una città non solo bellissima, ma ricca di cultura e, nel suo luminoso passato, prodiga di opportunità.

“Serenissime” è un libro interessante, dalla lettura godibilissima, che racconta vite “vere” tanto affascinanti da sembrare un romanzo.

Venezia

Il compito delle donne.

Ogni anno il 25 novembre ci ricordiamo della violenza contro le donne (o è meglio dire violenza di genere, così fa meno impressione?), si dedicano al problema articoli di giornale, dibattiti nei talk show, post sui social e poi viene il 26 novembre e tutto torna come prima, anzi, in epoca di lockdown, peggio di prima, come dimostra il fatto che persino oggi sono state uccise due donne, massacrate da uomini che avevano le chiavi di casa.

Vorrei vivere questa giornata con una riflessione semplice, ma spero non banale.

Molte donne, come me del resto, sono madri, madri di bambine e bambini, di ragazze e ragazzi, di donne e uomini e se siamo madri abbiamo un compito fondamentale: educare i nostri figli.

Educhiamo le nostre figlie al rispetto, all’autostima, alla gioia.

Educhiamo i nostri figli al rispetto, all’autostima, alla gioia.

Non stanchiamoci mai, se insisteremo faremo dei nostri figli e figlie delle persone migliori e più libere e se lo faremo tutte renderemo anche il mondo un posto migliore e più libero.

Cavenago - Scarpe rosse

Quelle splendide donne.

Le ho incontrate quando erano poco più che bambine, piene di dubbi, incertezze, speranze, ambizioni, alcune un po’ goffe come farfalle rinchiuse in un bozzolo che ne camuffava la grazia e la bellezza, consapevoli della loro forza e della loro intelligenza, ma non ancora pronte a fidarsi della loro intelligenza e della loro forza.

E le rivedo oggi, sui social spesso, ma anche per la strada, al supermercato, negli uffici, le vedo ormai diventate grandi e bellissime come fiori d’acciaio, alcune con il capo incoronato di alloro, alcune con un bimbo o una bimba accanto, donne che hanno trovato un posto nel mondo, che svolgono una professione che si sono assunte delle responsabilità e che, finalmente, hanno imparato ad affidarsi alla loro forza e alla loro intelligenza.

Mi piace pensare di aver percorso un pezzetto di strada con queste donne, mi piace immaginare di aver lasciato loro qualcosa che le abbia aiutate nel tempo a realizzarsi.

Vederle crescere è il raro privilegio di chi, come me, ha passato una vita tra i banchi di scuola.

Valbiandino fiori

Non una di meno.

Tutte quelle bambole sul muro sono lì a ricordarci tutte le donne uccise, uccise da uomini che dicevano di amarle, uccise da uomini incapaci di accettare un rifiuto, di sopportare un abbandono, di perdere quella che consideravano una “proprietà”.

L’uomo che usa la violenza è debole e insicuro, ma si crede forte perché usa la forza con chi è più debole e la violenza lo rende un po’ meno uomo.

Oggi, più che mai, è il momento di gridare con forza “non una di meno”.

Milano Wall of Dolls

Le responsabilità di una madre.

Domani ricorre la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” e a me viene spontaneo pensare che al di là dei discorsi, al di là delle leggi, la violenza si combatte solo con una vera e propria rivoluzione.

E la rivoluzione tocca a noi, madri di figli maschi, di futuri uomini, tocca a noi crescere i figli nel rispetto, tocca a noi la loro educazione ai sentimenti, tocca a noi insegnare loro che alla frustrazione di un fallimento non si può reagire con la violenza.

Tocca a noi insegnare che l’amore può avere tante sfumature e può persino finire, ma non può mai colpire, non può uccidere, altrimenti è “non amore” , è un sentimento malato che non è degno di un essere umano.

La nostra responsabilità di madri consiste nel crescere figli, femmine o maschi che siano, forti, liberi, generosi, buoni, persone capaci di vivere relazioni sane e libere, capaci di amare e di comprendere e di condividere.

Cavenago di Brianza - Albero rosso

Rompere il silenzio.

Per molti giorni non ho scritto neppure una parola perché sono stata a guardare, perché volevo capire, perché non amo scrivere in preda alle emozioni, ma preferisco fare chiarezza dentro di me.

Ho seguito la vicenda della Sea-Watch, l’agonia dei giorni in mare, la determinazione del comandante, ma una cosa mi ha colpito in particolare in questa storia che assomiglia a tante storie simili.

Mi hanno colpito gli insulti sessisti (forse se il comandante fosse stato un omaccione barbuto stile “Capitan Findus2 gli insulti sarebbero stati diversi?) e mi hanno colpito quelle urla che auguravano lo stupro ad una giovane donna decisa e ferma nella sua missione di condurre in porto la sua nave con suo il grave fardello di disperazione.

Riflettiamo un attimo: lo stupro visto come “punizione” giustifica lo stupro nella testa di chi proferisce quelle minacce, come a dire: “se sbagli, se non stai al tuo posto lo stupro diventa una conseguenza possibile e forse auspicabile”.

In quelle parole non c’è rispetto per le donne, per tutte le donne e non solo per la giovane tedesca al timone, perché quelle minacce raccontano di una visione della donna che non tiene in considerazione la libertà della donna e la sua dignità e il suo diritto di scegliere.

In quelle parole non c’è nulla di cristiano, non c’è nulla di umano.

Noto (Sicilia)

L’immediatezza del simbolo.

Oggi, in occasione della “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne” nel mio paese l’Amministrazione comunale ha deciso di piantare un albero rosso che simboleggi l’attenzione delle istituzioni e della comunità nei confronti di questo problema che, soprattutto in tempi recenti, ha assunto risvolti sempre più drammatici che richiedono risposte urgenti.

L’albero è un simbolo potente perché è destinato a crescere, come dovrebbero crescere le misure di protezione e di prevenzione del fenomeno della violenza.

L’albero è lì, sotto gli occhi di tutti, soprattutto dei bambini che escono dalla scuola e che, gettando un’occhiata distratta alla targa, potrebbero rendersi conto che la violenza esiste e che va combattuta anche attraverso la conoscenza e la cultura del rispetto.

Cavenago di Brianza - Albero rosso