Archivi giornalieri: 20 Marzo 2013

Serrande abbassate.

Ormai da mesi, girando per le vie di città grandi e piccole, si può vedere il triste spettacolo delle numerose serrande abbassate, con le vetrine polverose in stato di abbandono, i vetri opachi, gli scaffali, che si scorgono nella penombra del negozio, vuoti.

La piccola distribuzione non ce la fa più, schiacciata dalle spese, dalle tasse, dalla concorrenza dei grandi centri commerciali e così chiudono anche negozi storici che un tempo erano luoghi dove scorreva la vita dei quartieri: non erano solo luoghi dove acquistare pane e companatico, ma anche luoghi d’incontro, dove scambiare due chiacchiere.

Da bambina vivevo a Milano in una via sul limitare dell’Isola, il quartiere dove si respirava un’aria di paese più che di grande città, e nel giro di poche decine di metri c’erano tutti i negozi indispensabili per procurarsi il necessario e anche il superfluo.

All’angolo si aprivano le due vetrine del cervelee (il salumiere) dove troneggiavano la forma di parmigiano, il prosciutto di Parma profumato e le vaschette con le alici piccanti, i nervetti con le cipolle, la trippa, la mostarda coloratissima e la salsa verde, il negoziante indossava sempre un camice candido stretto in vita da un grembiule, in testa portava una “bustina” dal vago sentore militare e, meraviglia delle meraviglie, dietro l’orecchio spuntava sempre un mozzicone di matita con cui scriveva velocemente il conto sulla carta oleata.

A pochi metri si apriva il negozio del fundaghee (il droghiere) un po’ più scuro, ma dal caratteristico profumo che era un misto di pepe, zafferano, caffè, cacao e detersivo, un profumo pungente che pizzicava le narici mentre gli occhi si perdevano nell’ammirazione dei vasi di caramelle colorate o dei gesti veloci e quasi ipnotici delle mani del negoziante che confezionavano abili il pacchetto dello zucchero con la carta dal caratteristico blu.

Sull’altro lato della strada l’urtulan (l’ortolano) con le cassette di frutta e verdura che ingombravano il marciapiede e il prestinee (il panettiere) con il banco traboccante del profumo del pane appena sfornato mentre una rubiconda signora pesava le “michette” con le mani e il volto spruzzati di farina.

Vicino al portone di casa mia si apriva l’antro scuro del sciustree (il carbonaio) invaso di cumuli di carbone e cataste di legna.

E poi c’erano il macellaio, il cartolaio, la merciaia, il pescivendolo, il pastaio, il lattaio che offriva anche il gelato o la panna montata spruzzata di cannella profumata.

La via dove abitavo era un microcosmo dove la gente si conosceva , si incontrava, si salutava, si rincorreva da un negozio all’altro in un clima di confidenza se non di amicizia, era un mondo che non esiste più, ma che forse, per molti versi, mi manca.

Milano