Archivio mensile:Febbraio 2013

Reddito di cittadinanza.

Cito testualmente:

Ogni mese lo Stato deve pagare 19 milioni di pensioni e 4 milioni di stipendi pubblici. Questo peso è insostenibile, è un dato di fatto, lo status quo è insostenibile, è possibile alimentarlo solo con nuove tasse e con nuovo debito pubblico, i cui interessi sono pagati anch’essi dalle tasse. E’ una macchina infernale che sta prosciugando le risorse del Paese. Va sostituita con un reddito di cittadinanza.

Qualcuno mi spieghi, per cortesia, che cosa significa.

A senso mi sembra di comprendere che il mio stipendio (visto che è uno stipendio pubblico) sarà sostituito dal reddito di cittadinanza (che dovrebbe ammontare a circa 800 euro al mese).

Qualcuno mi spieghi anche perchè dovrei ostinarmi ad andare a scuola tutte le mattine.

 

Quelli che… votano.

Quelli che votano col pennarello perchè non si sa mai.

Quelli che lasciano a casa la tessera elettorale, ma tanto “mi conoscete lo stesso”.

Quelli che quando votano si commuovono come la prima volta (referendum istituzionale 1946).

Quelli che hanno tracciato una croce su tutti i simboli tranne uno (è chiara la volontà dell’elettore?)

Quelli che cercano invano un simbolo scomparso nel ’92.

Quelli che decidono dopo aver guardato la tv.

Quelli che leggono tutti i programmi, li confrontano, li soppesano e poi votano un candidato perchè ha la faccia simpatica.

Quelli che non riescono a ripiegare la scheda e riconsegnano un origami.

Quelli che “tanto sono tutti uguali”

Quelli che scrivono  la preferenza “Berlucconi” (logicamente sulla scheda della regione).

Quelli che fotografano il voto col cellulare (dopo che gli era stato chiesto di consegnarlo prima di entrare in cabina) e poi lo postano su facebook.

Quelli che si fanno venti minuti sotto la tormenta per andare in Comune a chiedere il duplicato della tessera elettorale.

Quelli che votano alle 8.05 perchè non si sa mai “potrei anche morire”.

Quelli che “scusi dov’è la scuola del paese?”

Quella che si fregano la matita.

Quelli che… “perchè tutta ‘sta gente va a scuola di domenica?”

A bazzicare intorno  ai seggi se ne sentono proprio di tutti i colori.

Keep calm and Carry on.

Non è facile mantenere la calma e l’ottimismo, ma è indispensabile andare avanti e tentare di uscire dalla situazione di ingovernabilità nella quale ci ha proiettati il week end elettorale.

E’ il momento in cui è indispensabile che i partiti che siederanno nel nuovo Parlamento si assumano le loro responsabilità senza giocare a trarre un ingiusto profitto dalla situazione di stallo in cui ci troviamo.

Fino a ieri si poteva protestare e mandare allegramente a quel paese questo e quello, oggi bisogna agire per rilanciare l’economia, per combattere la disoccupazione, per dare al Paese una legge elettorale che permetta di governare  perché è meglio un governo saldo che nessun governo, sempre ammesso che il governo con una larga maggioranza sia in grado di prendere i provvedimenti necessari  per il bene del Paese (cosa che, ultimamente non è successa).

Mentre scrivo alla televisione sento ancora discorsi stucchevoli, non è più il momento dei discorsi: si formi un governo ancorandolo ad alcuni principi irrinunciabili, si veda se riesce ad ottenere la fiducia su un programma di riforme chiaro e ben definito e, in caso contrario, si passi tranquillamente all’opposizione lasciando ad altri la responsabilità di governare o di scegliere se abbandonare il paese alla deriva.

Nessun compromesso sui principi, nervi a posto e andiamo avanti.

L’amico del giaguaro.

La campagna elettorale è stata caratterizzata, tra l’altro, dalle ardite metafore di Bersani, amplificate dalle imitazioni di Maurizio Crozza che ha simpaticamente preso in giro la propensione del segretario del PD ad esprimersi con un linguaggio volutamente semplice e diretto, che richiama i proverbi tipici del mondo contadino.

Non so da che parte sia spuntata l’espressione “Non siamo mica qui a smacchiare il giaguaro”, non ricordo se sia una creazione della fervida fantasia del comico o se sia un tweet geniale di anonima paternità, sta di fatto che ormai il giaguaro è diventato un “marchio di fabbrica” di queste ultime fasi di una campagna elettorale per molti versi paradossale, dura e definita da molti “bruttissima”.

Ora che siamo alla fine, a meno di ventiquattro ore dal silenzio elettorale, a pochi giorni dal verdetto delle urne sono curiosa di capire che fine farà il giaguaro.

 

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Gli indifesi.

Voglio sperare che ci sia un po’ di esagerazione “elettorale” nella notizia delle code di  cittadini, in prevalenza anziani, ai patronati e agli uffici postali per chiedere le informazioni e i moduli per ottenere il rimborso dell’IMU.

Voglio sperare che si sia presentato solo qualche persona distratta o qualche persona (e ne conosco tante) che davanti ad una lettera di significato non immediatamente interpretabile, ma dall’aria vagamente ufficiale, si rivolge a chi “ne sa di più” (solitamente i tanto bistrattati patronati legati alle varie sigle sindacali) per avere chiarimenti ed evitare equivoci.

Se invece sono molti coloro che sono stati tratti in inganno da una pubblicità elettorale scambiata per una comunicazione ufficiale, se sono molti coloro che ci hanno sperato nel rimborso (magari proprio coloro  a cui qualche decina di euro in più farebbe comunque comodo), se sono molti coloro che si sono sobbarcati i disagi di una coda per poi sentirsi dire che si tratta solo di promesse elettorali.

Se sono molti, allora è imperdonabile.

Andar per musei.

Mi era sfuggita la notizia che quest’anno, a causa dei tagli e della crisi, il Ministero dei Beni Culturali ha cancellato la “Settimana della Cultura”, che nel 2013 sarebbe giunta alla quindicesima edizione: quest’anno quindi non ci sarà l’apertura gratuita dei musei e dei siti archeologici nazionali.

Mi è capitato di approfittarne un paio di volte, a Roma e a Firenze durante una gita scolastica, anche se il vantaggio non è stato enorme visto che, per gli studenti, l’ingresso ai musei nazionali è comunque, almeno per ora, gratuito, ma abbiamo avuto il vantaggio indiscutibile di non fare code e di entrare liberamente agli Uffizi.

Penso che per chi ama andare per musei la “Settimana della Cultura” sia un vantaggio, un’opportunità ma non cambi sostanzialmente la situazione: se sono a Firenze non rinuncio a visitare gli Uffizi solo perchè devo pagare il biglietto.

Penso invece a tante persone in ristrettezze economiche che magari non possono permettersi di pagare per visitare un museo o un sito archeologico e che avrebbero potuto usufruire di un’opportunità di avvicinamento all’arte, alla cultura, alla   bellezza, all’immenso patrimonio di memoria e di conoscenza che fa del nostro Paese uno dei più belli e dei più amati del mondo.

Firenze

la forza e la violenza.

Settant’anni fa, il 18 febbraio 1943, veniva arrestata a Monaco Sophie Scholl insieme con il fratello Hans ed alcuni amici, tutti poco più che ventenni, che facevano parte del gruppo della Rosa Bianca.

Il gruppo si opponeva al nazismo con la stampa e la diffusione di opuscoli nei quali si incitava il popolo tedesco alla resistenza passiva e alla lotta non violenta contro la dittatura.

Per questo delitto i giovani furono ghigliottinati (non userei il termine giustiziati, perché implica l’idea di “giustizia”) pochi giorni dopo alla fine di un brevissimo processo farsa con la seguente motivazione della sentenza:

« Gli accusati hanno, in tempo di guerra e per mezzo di volantini, incitato al sabotaggio dello sforzo bellico e degli armamenti, e al rovesciamento dello stile di vita nazionalsocialista del nostro popolo, hanno propagandato idee disfattiste e hanno diffamato il Führer in modo assai volgare, prestando così aiuto al nemico del Reich e indebolendo la sicurezza armata della nazione. Per questi motivi essi devono essere puniti con la morte. »

Mi piace ricordare questi giovani che alla brutale violenza del potere hanno saputo contrapporre la forza delle proprie idee, che erano idee di pace e hanno saputo combattere con le parole, gli scritti, la logica e il cuore.

 

Manifestazioni di piazza.

Ci casco sempre perché mi piace partecipare, mi piace essere in mezzo a tanta gente, il rumore della piazza, le bandiere, le grida e gli applausi mi danno tanta energia positiva, ma, a ben guardare, non dovrei partecipare mai alle manifestazioni.

Il motivo è semplice: sono piccolina e in mezzo ad una piazza gremita di gente vedo pochissimo e stare per ore in punta di piedi per ore può essere devastante.

E’ vero, sarebbe più furbo starsene a casa, davanti alla televisione (o al pc che trasmette la manifestazione in streaming) al calduccio, con una bella tazza di caffè e con la sicurezza di vedere tutto e sentire tutto senza problemi.

Però non sarebbe la stessa cosa.

Oggi in Piazza del Duomo valeva la pena di esserci (anche se in punta di piedi).

Milano 17 febbraio

Piccole grandi opere.

Con una ineffabile puntualità ad ogni nuova campagna elettorale ricompare il Ponte sullo Stretto, un vero e proprio must, la “grande opera” per antonomasia sulla cui utilità ho sempre nutrito qualche perplessità e sulla cui fattibilità da lungo tempo nutro più di qualche dubbio.

Si tratterebbe di un’opera storica, è più che certo, un’opera che innalzerebbe il P.I.L. di un numero esorbitante e imprecisato di punti percentuali, ma il progetto ha sempre più la consistenza della “materia di cui son fatti i sogni“.

Forse sono altre le opere che servirebbero al nostro Paese e che, forse, potrebbero contribuire a muovere un po’ l’economia: si potrebbe, per esempio, allentare un po’ le maglie del patto di stabilità (almeno per i comuni virtuosi) così da permettere di realizzare piccole opere, microscopiche manutenzioni, minuscole ristrutturazioni: sarebbero piccole opere, è vero, ma avrebbero il merito di essere molto diffuse sul territorio e di dare lavoro a piccole imprese locali, si tratterebbe di una boccata d’aria per tante imprese in difficoltà.

Certo per uno “statista” è più gratificante dare il proprio nome ad un immenso ponte piuttosto che a una buca nell’asfalto.

L’unico rischio è che il Ponte resti in eterno sulla carta.

Ponte di Normandia (Senna a Honfleur)