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Per voi che non c’eravate.

Venticinque anni fa moriva Freddie Mercury, una delle prime vittime illustri di quella malattia allora un po’ misteriosa e socialmente ignorata che era l’AIDS, una malattia di cui non si poteva e non si doveva parlare.

Venticinque anni fa uno dei più carismatici frontman entrava nella leggenda.

Vorrei dedicare questo incredibile video, tratto dal mitico concerto di Wembley del luglio del 1986, a tutti coloro che non c’erano, che non erano ancora nati o erano tropo piccoli, e non hanno conosciuto la sua voce, la sua energia, la sua musica.

Io, quando lo ascolto, ho ancora i brividi.

How many roads…

Quante strade dovrà percorrere un uomo, prima di essere chiamato “uomo” ?

Sarà forse perchè tanti anni fa ho cantato spesso questi versi, con una chitarra intorno al fuoco, seduta per terra, spalla  a spalla con ragazzi e ragazze che provenivano da mezza Europa, un’Europa che allora era tagliata in due da un muro, sarà per la speranza che questi versi risvegliavano, sarà per il desiderio di pace che la mia generazione, nata dopo una guerra, cresciuta nel clima della guerra fredda, sentiva con particolare forza, sarà perchè questi versi sono legati alla mia giovinezza, sarà per tutti questi motivi che oggi ho accolto con gioia la notizia che l’autore di questi versi, cantati con una voce un po’ nasale su armonie quasi elementari, ha vinto il premio Nobel per la letteratura.

E poco importa che si siano levate, anche dalle nostre parti, voci di dissenso: il bello del premio Nobel è che non viene assegnato con il televoto, o con un referendum, o da una giuria di “esperti”, ma ad insindacabile giudizio dai membri dell’Accademia di Stoccolma (come indicato da Nobel stesso nel suo testamento) e quindi le polemiche sono prive effetto.

Anche nel 1997 ci furono accese polemiche, sempre dalle nostre parti, quando fu insignito del premio Nobel Dario Fo ed è quanto meno singolare che proprio oggi, nel giorno del Nobel al menestrello, il grande giullare sia arrivato, per dirla con i versi di Bob Dylan, a bussare alla porta del cielo.

Portone

 

Una magia immortale.

Non importa che la sera sia afosa, che le zanzare arrivino a stormi, che i treni sferraglino a poche decine di metri, non importa neppure che qualcuno nel pubblico continui a chattare e che altri applaudano tra un movimento e l’altro, e che i bambini scorrazzino per le gradinate: quando le prime note della Nona sinfonia di Beethoven cominciano a librarsi nell’aria tutto scompare, tutto si annulla e la musica potente e immortale avvolge tutto e supera tutto.

Che meraviglia il concerto regalato ai milanesi dall’Orchestra e dal Coro della Scala, che dono prezioso questa sera a Experience 2016!

Milano Experience 2016 - Orchestra e Coro della Scala

La musica nel DNA.

Da ragazza strimpellavo un po’ con la chitarra, ma avrei voluto imparare a suonare come suonava mio padre (… e come poi avrebbe fatto mio fratello), mi piaceva la musica, mi piaceva ascoltarla, mi piaceva cantare.

Mio padre suonava con passione e accompagnava le note con la sua voce limpida, la chitarra lo aveva accompagnato in Libia, durante la guerra, e in Sudafrica durante la prigionia e forse aveva contribuito a dargli un po’ di serenità in quei giorni bui, in cui era facile perdere la ragione.

Anche mio nonno strimpellava un po’: il mio nonno materno, di cui porto il nome, suonava il mandolino e anche lui amava la musica, in fondo era nato a Parma e, da ragazzino, aveva frequentato il loggione del mitico Regio.

La musica lirica gli era restata nel cuore e nelle orecchie e, benché sia morto quando ero molto piccola, ho nella mente il ricordo di mio nonno, seduto vicino alla radio, con un libretto d’opera posato sulle ginocchia e la mano che segue lieve le note.

Turandot è una delle prime fiabe che ricordo perché mio nonno me la raccontava spesso, accompagnando il racconto con il canto di alcune arie che, ancora adesso, risuonano nelle mie orecchie familiari come le filastrocche dell’infanzia.

Forse è proprio grazie a mio nonno e a mio padre che amo così tanto la musica, la amo in modo istintivo, senza saper suonare, senza saper leggere uno spartito, forse senza capirne molto, ma amo lasciarmi portare dalle note, perchè la musica per me è un luogo dell’anima, senza spazio e senza tempo, dove la mente si rasserena e tutto è armonia e bellezza.

Cavenago

Il tema di Tara.

Il tema di Tara è un brano musicale struggente che fa parte della colonna sonora del film “Via col Vento” e che sottolinea i momenti più drammatici della vita della protagonista, la capricciosa, bellissima e determinata Rossella O’Hara.

Chi ha visto almeno una volta il colossal del regista Victor Fleming non può dimenticare i fotogrammi intensi con tramonti in technicolor ed in primo piano la silhouette di Vivien Leigh, accanto ad un albero nodoso, accompagnati dalle note di Max Steiner, il compositore di moltissime colonne sonore tra le quali quella, celeberrima, del film “Scandalo al sole“.

Per noi italiani, tuttavia, il tema di Tara da  vent’anni non rievoca più le scene della guerra di secessione, la stazione di Atlanta gremita di feriti, i campi di cotone al tramonto, per noi italiani simboleggia un campanello che suona, una porta che si apre, il plastico di una scena del delitto a caso e un numero infinito di ospiti impegnati a litigare sotto l’occhio vigile e bonario di Bruno Vespa.

 

Note, parole ed emozioni.

L’emozione è palpabile nel salone gremito per il “Concerto della memoria”, un’emozione profonda, un’emozione buona che aiuta a dare forma concreta a  pensieri e memoria.

Sistemo i fogli sul leggio, do un’ultima occhiata al testo e poi, nella penombra della sala, nel silenzio che cala improvviso cerco dentro di me la forza di un’emozione per poter restituire le parole nella loro forza evocativa, perché non si perdano nell’aria, perché risuonino nelle menti e nei cuori di chi ascolta.

Sento una scarica di adrenalina, le mie mani, aggrappate al leggio, tremano un po’, ma la mia voce esce sicura, profonda poi le parole finiscono, per un attimo la loro eco vibra ancora nell’aria e poi si leva, consolatoria e rassicurante, la musica e l’emozione si stempera, cullata dalla melodia.

Non è facile “fare memoria” senza cadere nell’eccessiva enfasi o nella vuota retorica, bisogna lasciarsi guidare dalle emozioni, senza abbandonarsi troppo ad esse, bisogna permettere alla ragione di rimanere vigile, bisogna permettere ai pensieri di farsi strada sul filo delle emozioni nelle menti spesso distratte o avvezze a cercare di dimenticare.

“Fare memoria” diventa così un modo per conoscere, per capire, per condividere.

Moggio autunno;

Immagina … oggi più che mai.

Immagina non ci siano nazioni
Non è difficile da fare
Niente per cui uccidere e morire
E nessuna religione
Immagina tutta la gente
Che vive in pace….

Medito sull’incredibile attualità di queste parole scritte quasi mezzo secolo fa, un inno alla pace senza tempo e senza bandiere, parole che evocano il sogno di un mondo in cui vivere fianco a fianco.

Mi lascio cullare dalla musica, apparentemente semplice, ma sempre emozionante.

Trentacinque anni fa moriva John Lennon.

Piani di Artavaggio

Settembre.

Mi piace il mese di settembre perché ha il sapore di un nuovo inizio.

Settembre è il mese in cui inizia l’anno scolastico, ma il lavoro non mi spaventa perché le vacanze di solito mi  lasciano una scia di energia positiva, un desiderio di rinnovamento, una impazienza di ricominciare.

Mi capitava la stessa cosa quando ero bambina, ma allora le lezioni iniziavano in ottobre, e settembre era per me il mese dell’attesa, carico di aspettative di desiderio di ritrovare la mia classe, le mie compagne, la mia adorata maestra, guardavo il grembiulino bianco inamidato, guardavo il grande fiocco azzurro e non vedevo l’ora di indossarli per tornare a scuola.

Settembre è anche un mese lento nel quale la natura sembra a poco a poco assopirsi in attesa dell’autunno, un mese quieto, senza gli eccessi della calura estiva ma con un cielo ancora estivo e colori ancora vivaci e le foglie ancora verdi sui rami.

Cantava Guccini nella “Canzone dei dodici mesi“:

“Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull’ età, 
dopo l’ estate porta il dono usato della perplessità, della perplessità… 
Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità, 
come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità, le possibilità…”

Forse è proprio questa opportunità di “ripensamento” che mi rende settembre un mese così caro.

Cavenago di brianza - Le Foppe

Un po’ di musica.

Rientro in casa e le stanze mi sembrano sempre più vuote, vuote e silenziose, avvolte nella leggera penombra delle tapparelle quasi completamente abbassate per lasciare fuori il sole estivo.

Anche i miei passi sembrano silenziosi mentre mi aggiro per casa e non basta il suono delle stoviglie che tintinnano quando le ripongo negli armadietti della cucina e neppure quello dell’acqua che scorre nel lavello o che borbotta nella pentola e anche i suoni che provengono dagli appartamenti vicini mi giungono attutiti, quasi irreali.

Allora accendo la musica.

Vecchie canzoni, legate a tanti momenti della mia vita, o nuove canzoni che non riconosco mi avvolgono e riempiono il mio silenzio, canzoni belle e brutte, canzoni emozionanti o inutili poco importa, quello che importa è che la musica riempia i miei vuoti, mi accarezzi le orecchie e il cuore, mi facciano dimenticare il silenzio, quando il silenzio diventa ingombrante.

Mi muovo al ritmo della musica e intanto sbrigo le faccende domestiche senza farmi troppo coinvolgere.

Sia sempre benedetta la musica.

radio

Rain and tears.

“Rain and tears are the same…” cantava la voce potente di Demis Roussos, io, ragazzina da poco iscritta al ginnasio, mi ero innamorata di quella musica accattivante, di quei testi semplici (anche da tradurre), di quella voce particolare e (perchè no?) del fatto che il complesso si proponesse con un nome che per me, classicista in erba, era particolarmente affascinante: Aphrodite’s Child.

Poi sono cresciuta, ho cambiato gusti musicali, ho perso di vista gli Aphrodite’s Child, salvo poi scoprire che uno di loro, per l’esattezza Vangelis Papathanassiou, qualche anno dopo aveva firmato alcune splendide colonne sonore, tra le quali (tanto per gradire) i temi di “Momenti di gloria” e “Blade Ranner“.

Quelle canzoni, però, mi sono restate in mente così come mi è  restata nel cuore la voce particolarissima di Roussos.

Quella voce che oggi si è spenta.

la goccia