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Tu dimmi quando…

Mi piaceva la musica di Pino Daniele, mi piaceva quella voce acuta, mi piacevano le armonie, le sonorità, mi piaceva quel suo “cantare” Napoli fuori dalla tradizionale retorica che, nell’immaginario collettivo, solitamente caratterizza la città partenopea.

C’era Napoli, nelle sue canzoni, una città raccontata con una sorta di malinconica consapevolezza, una città lontana anni luce dal binomio “pizza e mandolino”, una Napoli simile a quella che traspariva dai racconti di Massimo Troisi, che pure era amico di Pino Daniele, che pure interpretava la propria napoletanità con una sorta di dignitoso pudore.

Grazie ad entrambi ho imparato ad amare Napoli.
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Il violinista sul tetto.

I violinisti non stanno proprio sul tetto, come nei fantasiosi dipinti di Chagall, ma affacciati alle finestre di Palazzo Reale in occasione dell’incrociarsi di due eventi culturali di grande spessore: la chiusura di “Jewish and the City” e l’inaugurazione della mostra dedicata al pittore russo.

Il violinista che suona sopra i tetti del villaggio, nell’immaginazione di Chagall, evoca la sensazione di instabilità tipica dell’esistenza ebraica, ma anche dell’esistenza umana in genere, ci racconta la ricerca di un delicato equilibrio, sempre precario.

Il violino è lo strumento principe della musica Klezmer, è la voce del ghetto, dolce e malinconica, ma anche gioiosa e saettante che accompagna tanti momenti della vita.

Mentre la piazzetta di Palazzo reale diventa buia e le voci si spengono, le finestre si illuminano ad una ad una e il canto struggente del violino invade l’aria.

E l’emozione è forte.

Milano

 

 

“Quanta strada…

…nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali” cantava Paolo Conte (ma anche Enzo Jannacci) in una delle canzoni che amo di più, una canzone dalle immagini estremamente efficaci come “quel naso triste come una salita” e “quegli occhi allegri da italiano in gita”.

Certo di strada ne ha fatta tantissima nella sua lunga vita, una vita lunga e ricca, affrontata con l’ironia pungente così tipica dei toscani che gli valse il soprannome di “Ginettaccio”, una vita di successi sportivi, alcuni mitici come la vittoria al Tour del ’48 (che avrebbe contribuito, secondo la vulgata, ad allentare la tensione dopo l’attentato a Palmiro Togliatti), ma anche una vita di scelte coraggiose che gli valsero, ad esempio, il riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem.

Nell’immaginario collettivo è rimasta la rivalità con Fausto Coppi, e l’immagine stupenda dei due campioni, che dividevano gli italiani, che si passano una bottiglietta d’acqua durante una salita del Tour del ’52.

Oggi Bartali compirebbe cento anni e il Tour si avvicina alle Alpi: auguro a Nibali (che ha, anche lui, un naso un po’ triste come una salita) di rendere omaggio al grande campione del passato con una gara eccezionale.

Ghisallo

Musica.

Comprendo che in estate il caldo e l’allungarsi delle giornate facciano venire voglia di stare fuori di casa un po’ di più, soprattutto alla sera.

Comprendo che il parco sotto casa mia sia un luogo ideale per trascorrere le serate al fresco e comprendo anche che si sia un po’ di animazione, un po’ di musica per allietare le persone che desiderano trascorrere qualche ora serena.

Comprendo anche che la musica sia ad alto volume, anche perché le finestre aperte sembrano amplificarla, e mi impedisca di leggere un libro o di vedermi un film, “pazienza” dico tra me e me, “anche ascoltare la musica può essere piacevole”.

Quello che non comprendo è perché i cantanti debbano essere così inesorabilmente stonati.

Cavenago

Emozione.

Poco fuori dall’abitato, al di là della trafficatissima autostrada A4, sorge la chiesetta di Santa Maria in Campo, un edificio quasi millenario molto suggestivo, più volte restaurato e attualmente usato solo per le funzioni religiose nel mese di maggio e per manifestazioni culturali quali, soprattutto, concerti di musica classica e religiosa.

Si tratta di una chiesa di piccole dimensioni, dalle forme armoniose e dall’acustica perfetta, visibile, per chi transita in autostrada da Milano a Venezia sulla destra, poco prima dell’uscita di Cavenago – Cambiago.

Ieri, in occasione della festa della musica, vi si sono svolti concerti dalle undici del mattino alle ventitré.

Vincendo la stanchezza (e la mia annosa pigrizia) ieri sera mi sono avviata a piedi per assistere all’ultimo concerto, ho camminato per il viottolo che porta alla chiesa guidata dalle luci che illuminavano l’edificio e sono arrivata pochi minuti prima dell’inizio.

Erano previste musiche di Verdi, Mozart e Haydn eseguite dalla corale dei Santi Pietro e Paolo.

Mi sono seduta e mi sono lasciata trasportare dalla musica in un universo di pace e armonia, rapita dalla suggestione del luogo.

Alle prime note del “Lacrimosa” dal Requiem di Mozart l’emozione è stata piena e perfetta.

Cavenago di Brianza - Concerto a Santa Maria in Campo
 

Sabato santo.

Per chi crede è un tempo di riflessione e di attesa, di tristezza e di speranza.

“Ma penso

che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano,
a una rivolta senza armi,
perchè noi tutti ormai sappiamo
che se dio muore è per tre giorni e poi risorge,
in ciò che noi crediamo dio è risorto,
in ciò che noi vogliamo dio è risorto,
nel mondo che faremo dio è risorto…”

(Francesco Guccini).

Io sono cresciuta con questa speranza tanto da credere, e forse da illudermi, di poter cambiare il mondo.

Cavenago di Brianza - Cielo di Lombardia.

 

Un lampo di luce.

La prima serata del Festival di Sanremo scorre abbastanza prevedibile con le battute a raffica della Littizzetto e la cortesia di Fabio Fazio, con l’omaggio all’inossidabile Carrà, con gli ospiti d’onore e persino con i cantanti e le canzoni (una volta era appunto il Festival della Canzone Italiana).

Non manca neppure l’irruzione nella festa del mondo reale con il disagio di una quotidianità sempre più incerta.

Ho deciso di seguire (si fa per dire) almeno la prima serata perché per poter criticare e lamentarsi bisogna almeno sforzarsi di conoscere.

Poi, all’improvviso, la serata un po’ sonnolenta è squarciata da un lampo: la voce potente di Yusuf Cat Stevens, accompagnata dagli accordi gentili di una chitarra, irrompe nel silenzio denso della sala e intona “Father and son”.

L’emozione è forte perché la canzone ha risvegliato in me ricordi ed emozioni.

Ho alzato il volume e mi sono lasciata cullare dalla melodia, canticchiando a mezza voce:  almeno non ho sprecato completamente la serata.

Una musica per tutti.

La musica ha attraversato tutta la vita di Claudio Abbado, una vita di successi artistici con le più grandi orchestre del mondo e di impegno civile, coronata dalla recente nomina a senatore a vita (nomina contro la quale le solite persone “piccole piccole” avevano avuto da ridire, ma così va il mondo).

Abbado amava la musica, una musica colta e raffinata che, tuttavia, non considerava appannaggio di una élite in grado di comprenderla appieno, ma bene comune di tutti ed il suo impegno consisteva proprio nell’avvicinare al dono divino della musica anche coloro che, tradizionalmente, ne parrebbero esclusi.

Era un uomo di cultura, di quella cultura che quando è vera e profonda sa essere inclusiva.

A lui va il mio ricordo commosso ed un ringraziamento per aver condiviso con tutti il suo immenso talento.

Come sempre…

Come negli anni scorsi, più o meno dagli anni settanta, anche quest’anno non vedrò il Festival di San Remo perchè non sopporto le polemiche prima, dopo e durante, non mi piacciono le illazioni su canzoni e vincitori, non amo la formula del concorso e, di solito, faccio fatica ad apprezzare le canzoni la prima volta che le ascolto, soprattutto se ne ascolto tante una dopo l’altra.

Amo la musica e se qualche brano avrà i numeri per sopravvivere ancora per qualche settimana dopo il festival sicuramente riuscirò ad apprezzarlo e ad affezionarmi,  altrimenti, pazienza, me ne farò una ragione.

E non m’importa neppure che i conduttori e gli ospiti siano strapagati anche con i soldi del canone che verso (fedelmente) ogni anno: sono tantissime le trasmissioni che non apprezzo e che vengono pagate col mio denaro da tempo immemorabile e non mi scandalizzo certo per così poco.

Piantiamola di fare di San Remo una questione di Stato.

Come cantava Bennato: “Sono solo canzonette”.

In piedi sulla cattedra.

Nel film “L’attimo fuggente” il professor Keating invita gli allievi,prima piuttosto stupiti e vagamente allarmati poi timidamente divertiti, a salire in piedi sulla cattedra per sperimentare l’importanza di vedere la realtà da un diverso punto di vista.

Ho molto amato quella scena anche perchè esplicitava in modo concreto e molto “visivo” un concetto che mi sembrava di conoscere e condividere da sempre.

Ogni tanto però mi distraggo e mi dimentico di cercare di interpretare ciò che mi circonda con lo sguardo di un altro.

Mi sono sempre chiesta, ad esempio, a chi potessero mai realmente interessare quei programmi, spesso trasmessi da minuscole e molto locali televisioni private, nei quali orchestrine piuttosto attempate interpretano canzoni che hanno più di mezzo secolo di vita.

Oggi, mentre facevo compagnia alla mia mamma nel saloncino della casa di riposo, ho assistito allo spettacolo di una decina di signore che intonavano, insieme all’attempata orchestrina, “Vola colomba” con un trasporto che manco Nilla Pizzi.

Ho capito, all’improvviso, che anche queste trasmissioni hanno un loro perchè.

Bisogna ricordarsi sempre di cambiare punto di vista.