Archivi giornalieri: 5 Marzo 2008

Sala d’attesa.

C’è sempre una coda estenuante in attesa di entrare nell’ambulatorio, qualcuno sfoglia una vecchia rivista, una delle riviste d’annata, lette e rilette, sfogliate da centinaia di mani, sgualcite oltre l’immaginabile, qualcuno stringe tra le mani un plico di esami clinici e, ogni tanto, rilegge i referti con una punta di inquietudine, qualcuno ne approfitta per sbrigare qualche commissione per mezzo del telefonino, mettendo al corrente tutti gli astanti dei fatti suoi.

Ci sono gli anziani che, per non aspettare troppo a lungo il loro turno, arrivano anche due ore prima dell’apertura dello studio, così aspettano molto più a lungo, ma, quando finalmente arriva il medico, provano l’impagabile soddisfazione di essere tra i primi e possono permettersi il lusso di guardare gli altri con un sorrisetto compiaciuto.

In un angolo c’è un giovane ben vestito, con una borsa voluminosa posata vicino ai piedi, sfoglia un’agenda per controllare gli appuntamenti e mentalmente fa il conto di quanti pazienti lo precedono, gli altri lo guardano con una punta d’odio, sanno che non è malato, sanno che è lì, in attesa, per lavoro e che la sua permanenza nello studio sarà fatalmente più lunga e borbottano seccati “E’ un rappresentante”.

Ci sono le due signore che si confidano i loro malanni e fanno a gara a chi sta peggio, sciorinando malattie dai nomi fantasiosi, una dichiara di avere il “sistema nervoso” (…e meno male), ritengo che si tratti di un più probabile esaurimento, l’altra è affetta “dalla diabete” (evidentemente se finisce per e deve essere femminile), ma è comunque preoccupata per”la lernia” del marito e così via, in un crescendo surreale (o surrenale).

Ogni tanto entra una signora che cerca di fare la “furba” e, accampando una scusa improbabile, tenta di saltare la coda, di solito viene metaforicamente placcata da un coro di proteste e si ritira in buon ordine.

Personalmente non vado volentieri dal medico, di solito raggruppo una serie di esami dei miei casi clinici familiari e mi faccio coraggio, mi porto un libro, mi siedo in un angolo, possibilmente illuminato dalla tristissima luce al neon, e cerco di ingannare l’attesa leggendo, ma qualche volta mi distraggo perché osservare l’umanità è sempre un gran bel passatempo.