Archivio mensile:Aprile 2008

Quel piccolo negozio.

I miei ricordi d’infanzia sono legati ad un quartiere di Milano, l’Isola Garibaldi, e ad una via in particolare, quella in cui vivevo, dove si aprivano le minuscole vetrine di tanti negozi: la merceria, vicina al portone di casa mia, il prestinaio proprio di fronte, accanto al fruttivendolo con la frutta e la verdura in bella mostra sul marciapiedi, più avanti la drogheria con i suoi aromi di spezie e di caffè, subito dopo la cartoleria dove acquistavo i quaderni, i pennini e la carta assorbente e all’angolo la salumeria con i profumi di formaggi e prosciutti che per me sono quasi come la madeleine di Proust.

I negozi non erano solo luoghi dove acquistare le merci, ma possibilità di incontro, di rapporti sociali e di aggregazione del quartiere.

Al giorno d’oggi, soprattutto nei centri meno popolosi o dove la gente vive solo nelle ore serali, magari perchè lavora in città, i negozi chiudono ad uno ad uno non riuscendo più a reggere la concorrenza con i grandi centri commerciali che sono competitivi sia per i prezzi che per l’assortimento delle merci.

Sono spariti, nel paese in cui vivo, i negozi più antichi, dove si vendeva di tutto, gestiti da negozianti entrati nella storia della comunità e i locali sono stati occupati da agenzie immobiliari, agenzie di lavoro interinale o banche, con grande dispiacere degli anziani che si trovano a disagio nei supermercati dove è praticamente impossibile scambiare quattro chiacchiere.

E’ di questi giorni la notizia che a Cavallasca, un paese di poche migliaia di abitanti in provincia di Como, non esiste più nemmeno un negozio di generi alimentari e il Comune, per venire incontro alle esigenze dei cittadini, si è lodevolmente attivato per organizzare un sistema di rifornimenti con l’aiuto degli ambulanti.

I piccoli negozi forse non rispondono più alle leggi di mercato e alla concorrenza, ma la loro chiusura è proprio un pezzo di storia che se ne va.

Differenziamo.

Nel comune dove vivo la raccolta differenziata dei rifiuti è praticata da almeno dodici anni, con un po’ di difficoltà e di riluttanza abbiamo imparato, a poco a poco, ad organizzarci, ad usare i sacchi di diverso colore, a tenere d’occhio il calendario annuale (anche se qualche volta mi capita, verso mezzanotte, di ricordarmi all’improvviso che è il giovedì nel quale devo portare in strada il sacco giallo della plastica).

Quando il Comune varò la raccolta differenziata ci fu una campagna di informazione capillare, addirittura la classe nella quale insegnavo allora fu incaricata di realizzare un filmato pubblicitario per spiegare in modo chiaro come suddividere i rifiuti e devo dire che si trattò di un’esperienza divertentissima che ebbe, per lo meno, l’indiscutibile vantaggio di chiarirci le idee.

Nonostante tutto ogni tanto, rientrando a casa di notte dopo qualche riunione protrattasi un po’ troppo a lungo, mi capitava di incontrare per strada qualcuno che si aggirava con un sacchetto di plastica da abbandonare nel luogo più “opportuno”.

Poi gradualmente le cose hanno cominciato a funzionare ed ora siamo come tanti soldatini che, disciplinatamente, accatastano i sacchi del colore giusto, nei luoghi giusti, nei giorni giusti e con i rifiuti giusti.

Ma la perfezione non è di questo mondo e ogni tanto, gettando nell’apposito bidone il sacchetto rigorosamente biodegradabile dei rifiuti umidi, mi accorgo che qualcuno vi ha deposto una bella bustona di plastica da supermercato assolutamente non biodegradabile: evidentemente la via verso la corretta differenziazione è lunga e irta di ostacoli.

La scoperta del podcast.

La mia mamma che ormai, a causa dell’improvvisa cecità che l’ha colpita circa due anni fa, vive in un mondo di suoni ha scoperto, dopo la ritrovata passione per la musica e per la lettura (grazie al libroparlato), che si può ascoltare una trasmissione radiofonica anche senza avere a portata di mano una radio in un orario fisso: in poche parole ha scoperto il mondo del podcast.

La sua trasmissione preferita, dopo diverse incursioni nella programmazione Rai, è senza dubbio “Con Parole mie” di Umberto Broccoli, che le consente di approfondire aspetti della storia quotidiana, attraverso eventi e personaggi del passato, presentati con garbo e leggerezza, anche se con rigore scientifico e accuratezza nella scelta dei documenti.

Perciò nel week-end  devo trovare un po’ di tempo per scaricare i files della settimana appena trascorsa e riversarli sull’ipod che mia madre ormai porta appeso al collo come un monile.

Poi ascolta le trasmissioni con attenzione e mi ragguaglia con estrema precisione sui fatti del passato e li confronta con il presente con acutezza ed ironia.

E’ incredibile come mia madre riesca sempre a stupirmi.

Anniversari.

Proprio in questi giorni cade il ventiduesimo anniversario dell’incidente della centrale termonucleare di Černobyl in Ucraina, fu un evento che mutò profondamente il giudizio dell’opinione pubblica sull’uso del nucleare in Italia tanto che, pochi mesi dopo, anche sulla spinta dell’ondata emotiva, un referendum popolare ne vietò l’utilizzo nel nostro paese, modificando completamente la politica energetica italiana.

A distanza di tanti anni si riapre il dibattito sul nucleare, sui suoi vantaggi in termini economici, sui possibili rischi, sui problemi relativi allo smaltimento delle scorie e, a distanza di tanti anni, sento riaffiorare tutti i dubbi, le perplessità le paure che allora mi fecero decidere per l’abrogazione.

Ricordo ancora quelle giornate di notizie confuse e frammentarie, mio figlio allora aveva cinque anni e in quei giorni di una primavera soleggiata e calda eravamo andati a Gardaland e avevamo trascorso le giornate all’aperto, in assoluta tranquillità.

Poi i telegiornali cominciarono a diffondere le prime informazioni sull’incidente, capitato in realtà quasi una settimana prima, e a dare le prime indicazioni: i discorsi tranquillizzanti si alternavano ai consigli di non stare all’aperto, di non restare sotto la pioggia, di non consumare latte e verdura di cambiarsi d’abito prima di rientrare in casa.

Mio figlio guardava la televisione con noi e una sera, mentre i notiziari trasmettevano per l’ennesima volta l’immagine di una cartina dell’Europa sulla quale si diffondeva una nuvola rosa dall’aspetto vagamente minaccioso, che rappresentava graficamente l’area colpita dalle radiazioni, all’improvviso mio figlio corse alla finestra e guardò il cielo per assicurarsi che, sulle nostre teste, la malefica nuvola rosa non ci fosse.

In quei giorni si faceva un gran parlare di radionuclidi, di cesio, di iodio, di tempi di dimezzamento e in tutti serpeggiava un senso di impotenza misto ad inquietudine, tutti volevamo sapere, capire, avere qualche certezza, benchè capissimo perfettamente che certezze non ce n’erano, ci furono le prime mobilitazioni.

Poi, come sempre succede, la vita è tornata lentamente alla normalità, abbiamo ripreso a dare latte e verdura ai bambini e a permettere loro di correre nei prati, ma, almeno per quanto mi riguarda, non mi va proprio l’idea di vivere ancora quella paura.

Ma che bella pensata!

ciliegio C’è un aspetto positivo nell’autonomia scolastica che consiste nella gestione di alcuni giorni di vacanze che ogni istituto può sistemare dove preferisce, possibilmente tenendo conto delle esigenze didattiche e delle famiglie.

Per questo motivo, nello scorso mese di giugno, perchè è in giugno che si programma il calendario scolastico, abbiamo deciso di raggruppare tutti i giorni di vacanza in questo periodo, quando le attività didattiche ormai languono, i ragazzi sono un po’ spompati (e anche gli insegnanti) e i programmi sono, per la maggior parte, in dirittura d’arrivo.

Così, dopo aver lavorato senza tante distrazioni per tutto l’anno scolastico, adesso ci godiamo un “meritato” riposo dal 25 aprile al 4 maggio per poi poter affrontare, in tutta scioltezza, l’ultimo mese di scuola.

Io ne ho approfittato per trascorrere una decina di giorni in montagna, tra passeggiate nell’aria frizzante, cure amorose ai miei fiori, performances gastronomiche (quando ho un po’ di tempo libero adoro cucinare) e tanto riposo fisico, ma soprattutto mentale.

Me ne sto qui a contemplare il ciliegio che, in questa stagione, è carico di fiori bianchissimi, me ne sto qui ad ascoltare il canto degli uccelli e il richiamo del cuculo che riecheggia in lontananza, me ne sto qui a farmi accarezzare dal tepore del sole e dalla brezza gonfia di profumi.

Mi fa bene assaporare questo preludio di vacanza.

Ora e Sempre.

Lo avrai
camerata Kesserling
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi
non con i sassi affumicati dei borghi inermi
straziati dal tuo sterminio
non con la terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non con la neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non con la primavera di queste valli
che ti vide fuggire
ma soltanto con il silenzio dei torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono
per dignità non per odio
decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo
su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi con lo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama ora e sempre
Resistenza.

(Piero Calamandrei)

bandiera e cielo

Torrechiara.

Castello di Torrechiara (Parma)

Il castello di Torrechiara (o come dice qualcuno Torchiara, da torchio) è un elegante maniero in provincia di Parma, vicino a Langhirano, costruito da Pier Maria Rossi, uomo d’arme, capitano del duca di Milano, che aveva vasti possedimenti fra la Val Taro e la Val Parma.

Durante il soggiorno a Milano conobbe Bianca Pellegrini da Arluno e se ne innamorò perdutamente, anche se entrambi erano già sposati, in seguito, tornato con Bianca nei suoi feudi, dal 1448 al 1460 fece costruire il castello, nel luogo in cui ne sorgeva uno precedente probabilmente in rovina, dove la pianura comincia a cedere spazio alle colline.

Tutta la costruzione, ma soprattutto la camera d’oro, dove il legame tra il signore e la sua dama è raccontato nelle forme dell’amor cortese, è un tributo d’affetto e di devozione di Pier Maria alla sua compagna e aggirandosi tra le numerose stanze o soffermandosi su una loggia, affacciata sulla dolcissima pianura, si ha l’impressione di poter incontrare, da un momento all’altro, i due amanti che hanno legato indissolubilmente la loro vita a quelle mura.

Come succede qualche volta anche i ragazzi si son lasciati prendere dalla bellezza e dal fascino del luogo, dalla tranquilla soavità del paesaggio verdissimo, dall’eleganza della costruzione che svetta chiara e nitida su un’altura.

Si tratta di una meta affascinante che mi sento di consigliare a tutti.

Fermate il mondo.

Un’altra giornata così e do le dimissioni da tutto.

Sveglia all’alba, preparo la colazione per tutti, disfo i letti, rifaccio i letti, nel frattempo riesco a lavarmi, vestirmi e darmi una parvenza da essere umano.

Alle otto meno un quarto entro a scuola, tra una lezione e l’altra cerco di far quadrare i conti della gita scolastica, mi arrabbio perchè il collegio docenti del pomeriggio è stato anticipato di un’ora, spiego storia (la “santa” inquisizione).

A mezzogiorno esco, corro a scegliere il colore dei mobili nuovi della cucina, così si possono ordinare per tempo, torno a casa, cucino, lavo i piatti, aiuto mia madre a lavarsi e a cambiarsi, torno a scuola per il collegio docenti (quello anticipato di un’ora), poi incontro alcuni genitori perchè è il pomeriggio dedicato ai colloqui.

Alle diciotto torno a casa, recupero mia madre, la accompagno dal medico, mentre aspetta mi fiondo a fare velocemente la spesa, raggiungo mia madre e, verso le venti torno a casa, aiuto mio fratello a caricare i bagagli che partono (beati loro) per la montagna (in attesa che io possa raggiungerli), cucino e intanto faccio un paio di telefonate, mangio (perchè bisogna pur vivere) ed esco di nuovo per un’animata riunione alla quale non si può assolutamente mancare.

Poco dopo mezzanotte rientro senza più nulla di umano e domattina sveglia alle sei perchè c’è la gita scolastica a Parma.

Ma è vita questa?

Infiorata.

Cavenago Campanile e fiori Il Paese in cui vivo, benchè si trovi a una ventina di chilometri da Milano, ha un aspetto tutto sommato ancora agreste, ci sono ampi spazi verdi, i condomini sono circondati da giardini con alberi anche di grandi dimensioni, ci sono ancora alcuni campi coltivati e soprattutto c’è una via che scende dalla piazza principale con un filare di piante, credo una varietà ornamentale di ciliegio, che, in questa stagione è un tripudio di fiori rosa.

I rami abbastanza sottili sono carichi di fiori che rendono la strada particolarmente gradevole e festosa, dovunque si posino gli occhi è un trionfo di colori accesi e camminare è un piacere per la mente e per lo spirito.

Purtroppo però si tratta di una bellezza quanto mai effimera, in questa stagione, infatti, non è infrequente che ai primi tepori si alternino giornate ventose o piogge insistenti, come sta succedendo proprio ora, che in un brevissimo volgere di tempo strappano i petali delicati dai rami e li scagliano a terra pesti e sgualciti.

Allora il marciapiedi diventa un’infiorata, ma calpestare i petali mette un po’ di tristezza perchè è un vero peccato vedere tanta bellezza consumarsi così: la primavera ha mostrato per un breve momento il suo splendido volto per poi nascondersi di nuovo tra le pieghe tetre di questo aprile piovoso.

Eppure la primavera è qui: ho visto le rondini ricostruire i nidi.

infiorata

Ciao bella.

La notizia del giorno è che il Sindaco di Alghero avrebbe (uso il condizionale perchè mi sembra ancora incredibile) proibito alla banda cittadina di suonare “Bella Ciao” durante le celebrazioni del futuro 25 Aprile per non alimentare divisioni.

Se (…e sottolineo se) la notizia corrisponde al vero mi chiedo allora che senso abbia continuare a celebrare il 25 Aprile, in fondo anche l’anniversario della Liberazione del paese dal nazi-fascismo potrebbe alimentare divisioni, per esempio divisioni fra chi si richiama ai valori della Resistenza e a chi li nega.

Di questo passo tra un po’ di tempo qualcuno potrebbe pensare di proibire anche la canzone “Addio mia bella addio” : in fondo anche il Risorgimento italiano potrebbe … alimentare divisioni.