Archivio mensile:Agosto 2009

Il limite.

Mi ha abbastanza colpito l’intervento del ministro a proposito dei limiti di consumo di alcool per chi si mette alla guida: due bicchieri di vino non fanno un ubriaco (…e questo può essere anche vero) e d’altra parte anche gli antistaminici provocano sonnolenza e possono compromettere l’attenzione di chi guida, quindi non è il caso di criminalizzare il vino.

Appunto: qui non si tratta di criminalizzare il vino e di assolvere i medicinali che possono provocare un calo nell’attenzione, si tratta di evitare che chi non è in grado di guidare in modo sicuro si metta al volante.

Non credo che il proibizionismo risolva il problema, credo che sia indispensabile educare le persone a non mettere in pericolo la propria e l’altrui vita.

Siamo un paese strano: non appena viene varato un provvedimento c’è subito qualcuno che fa il furbo e cerca di aggirarlo (mi ricordo ancora le cinture di sicurezza stampate sulle magliette), come se fosse furbo aggirare i provvedimenti che si propongono di aumentare la sicurezza sulle strade.

Personalmente mi basta un bicchiere di vino per notare un calo nei riflessi (ho la pressione bassissima), così come mi addormento con un antitaminico, per questo motivo mi guarderei bene dal mettermi alla guida dopo aver ingerito l’uno o l’altro e penso che se è vero che ciascuno ha un limite, dovuto all’età, al peso, al metabolismo e via dicendo, è più saggio evitare di bere prima di partire.

In fondo si tratta di un piccolo sacrificio che si può limitare decidendo di bere a turno (basta che nel gruppo ci sia uno che, di volta in volta, eviti di bere) oppure, meglio ancora, munendosi di amici rigorosamente astemi e non allergici.

Aria condizionata.

Tornare a casa dopo due mesi di vacanze è evidentemente traumatico, ma tornare a casa una domenica mattina e scoprire il “deserto dei tartari” nel frigorifero è ancora peggio.

Dopo aver consumato un piatto di ipercaloriche lasagne, acquistate tra i monti prima di partire, si è resa necessaria un’incursione nel più vicino centro commerciale aperto (in realtà l’ultima domenica di agosto sono tutti aperti per rendere un po’ mno drammatico il rintro dei vacanzieri).

Il parcheggio era pieno all’inverosimile, il che mi ha fatto paventare code chilometriche alle casse, ma, una volta entrata, ho scoperto con un po’ di sconcerto che pochissime persone spingevano un carrello, vuoto o pieno che fosse, la maggior parte delle persone vagava senza meta, dando un’occhiata alle vetrine o assiepandosi intorno ai giochi per bambini.

All’interno del supermercato c’erano pochi clienti e il numero delle casse aperte decisamente limitato, così ho potuto acquistare derrate alimentari per un esercito in relativa tranquillità prima di rituffarmi nei corridoi strapieni.

Non mi ero mai resa conto di quanta gente trascorra la domenica pomeriggio così: sarà per l’aria condizionata?

Sulla via del ritorno.

A volerli vedere i segni ci sono tutti: il sole che percorre un tragitto più breve nel cielo, come se avesse fretta di tuffarsi dietro i monti, qualche timido colchico (che da queste parti si chiama anche settembrino)  fa capolino fra i fili d’erba, quando ero piccola i primi teneri fiori violacei annunciavano il momento di tornare a scuola, anche se in realtà la scuola iniziava molto più tardi, solo all’inizio di ottobre.

Fa ancora caldo, un caldo insolito per la fine di agosto, che sembra voler smentire il proverbio “la prima aqua d’agust la rinfresca el busch” che di solito è incontrovertibile, infatti abitualmente basta una breve pioggia perchè l’aria sia percorsa da un brivido autunnale.

Fa ancora caldo eppure è ora di chiudere le valigie e la casa, di accostare le imposte e nascondere la vista del bosco e di scendere verso la pianura, la vita quotidiana, il lavoro e tutte le incombenze che mi aspettano.

Peccato….

colchico

Non facciamoci distrarre.

Un mio conoscente, che sta trascorrendo qualche giorno di vacanza in montagna, nella casa dei suoceri, ieri si è fermato a chiacchierare con me e con un sorriso un po’ forzato mi ha raccontato i suoi guai: cassa integrazione da tre mesi, la moglie disoccupata (perchè la ditta, in crisi da mesi, ha definitivamente chiuso) e il figlio iscritto al primo anno di liceo e poi il mutuo, le spese condominiali, le bollette e le scadenze e i quattro soldi risparmiati negli ultimi anni che si dileguano alla velocità della luce.

“Per fortuna ci sono i nostri genitori che ci danno una mano” sussurra a mezza voce e nel tono c’è tutto lo sconcerto di ritrovarsi a quarant’anni a gravare sulle spalle dei genitori pensionati.

Me ne sto lì ad ascoltarlo, senza trovare nulla da dire e mi viene anche un po’ di rabbia: quanti al ritorno dalle vacanze si troveranno in difficoltà, con le ditte in crisi, con la cassa integrazione o la mobilità o addirittura assolutamente privi di quelli che con una espressione bruttissima chiamiamo “ammortizzatori sociali”?

…. ma i telegiornali sono pieni di notizie diverse, di scontri fra questo o quel politico, di polemiche, di veline, di pagine su facebook, di giochini razzisti, di vincite multimilionarie.

Non facciamoci distrarre da tutta questa cortina fumogena, dalle polemiche d’agosto, dalle notizie non-notizie balneari:  è ora di preoccuparci di argomenti più seri.

La laicità dello Stato.

Il concetto di laicità dello Stato è di questi tempi quanto mai ondivago: a molti è sembrato perfettamente naturale che la Chiesa facesse sentire la propria voce a proposito delle cellule staminali e della tutela degli embrioni o che si esprimesse durante i drammatici ultimi giorni di Eluana Englaro con forza.

Si è detto che non si trattava di un’ingerenza nelle scelte di uno stato laico, ma del legittimo dovere di tutelare la vita in ogni suo momento, dal concepimento alla fine naturale.

Se però le stesse gerarchie ecclesiastiche si esprimono criticando provvedimenti che mettono in pericolo vite adulte (quelle degli immigrati, per intenderci) e invitando all’accoglienza e alla solidarietà, allora si invoca la laicità dello Stato e si considerano le critiche una intollerabile ingerenza.

La Chiesa, da parte sua, non può non difendere la vita in ogni momento, anche la più umile e reietta, perchè se si crede nel valore di ogni singola vita umana si deve prendere posizione, d’altra parte uno Stato moderno deve scrivere le proprie leggi in perfetta autonomia senza timidezze e senza soggezione: la convivenza civile consiste anche in questo delicato equilibrio.

Cara scuola.

Che la scuola sia cara (nel senso di costosa naturalmente) è la notizia del giorno, ne parlano i telegiornali facendo i conti in tasca alle famiglie italiane.

Al costo dei libri di testo, si sa, ha provveduto un decreto che mette un tetto ai limiti di spesa (provvedimento che, a dir la verità, esiste da diversi anni) e diverse scuole, come quella dove insegno, si stanno attrezzando per sostituire i testi con sistemi alternativi (nella mia classe, per esempio, i ragazzi non dovranno acquistare l’antologia, la grammatica italiana e il libro di geografia).

Ma la spesa veramente fuori controllo, alla quale nessun ministro può mettere un limite, è quella degli accessori, che spesso i nostri ragazzi pretendono rigorosamente griffati.

Un ragazzo che si accinge a mettere piede in aula di scuola media ha bisogno di  zaini e zainetti,  astucci, diari (più o meno alla moda), matite, colori a tempera, pennelli, righe, squadre, compassi, quaderni, astucci, fogli da disegno, quaderni pentagrammati, tute e scarpette da ginnastica (i ragazzi crescono in fretta) e poi atlanti e dizionari e chi più ne ha più ne metta.

E’ evidente che tutti questi accessori (…e altri meno indispensabili) hanno prezzi variabili e, per una strana legge non scritta, i ragazzi tendono a scegliere i più costosi, anche se non necessariamente i più idonei, in base a mode e a passaparola sotterranei, ma efficientissimi, che raggiungono il bersaglio meglio di mille spot pubblicitari.

Forse un po’ di spazio di manovra per risparmiare c’è e consiste nell’educare i ragazzi a una maggiore sobrietà: si tratta di contrastare una mentalità imperante, la mentalità che ci fa pensare che una persona conta per quello che ha e non per quello che è.

Alla faccia del colesterolo.

Siamo tornati al Rifugio Tavecchia in Val Biandino, nella splendida conca verde ai piedi del Pizzo dei Tre Signori, perché, anche se abbiamo trascorso lassù qualche giorno poco prima di ferragosto, non appena qualcuno viene a trovarmi non trovo niente di meglio che condividere con gli amici questo angolo di paradiso e così ho una buona scusa per tornare in questa vallata.

Dopo un pranzo sontuoso (come sempre del resto) abbiamo fatto quattro passi nel vicino alpeggio per acquistare del formaggio da una simpatica signora di Pasturo che trascorre tra i monti i mesi estivi e lavora il latte appena munto con metodi tradizionali.

Mentre la signora, evidentemente appassionata al proprio lavoro, ci illustrava, con entusiasmo e passione, il processo di produzione del taleggio, mi aggiravo nella piccola casera tra paioli di rame lucidissimi e profumate forme in fase di stagionatura.

Così, alla fine della breve visita, mi sono ritrovata nello zaino alcune forme di fragrante formaggio che, se non consumate con attenzione, potrebbero rappresentare un attentato ai miei livelli di colesterolo.

D’altra parte io adoro il formaggio e poi alla mia età il calcio aiuta a tenere insieme le ossa quindi, anche se con qualche rimorso preventivo, mi accingo a consumarne quantità tutt’altro che omeopatiche.

Valbiandino - alpeggio

Antichi mestieri.

Taceno è una cittadina in fondo alla Valsassina (“in dentro” come dicono qui) dove la strada di fondovalle comincia a inerpicarsi verso Margno, Casargo e Premana, mentre, nell’altra direzione, scende verso Bellano e il lago, un tempo era una rinomata località termale con le terme di Tartavalle che ora cercano di rinverdire i vetusti allori.

Nel nucleo più antico, fatto di case in pietra che si affacciano su anguste stradine in salita, di recente sono spuntati degli splendidi affreschi che raccontano gli antichi mestieri, quelli che, tradizionalmente, permettevano di guadagnarsi la vita in un ambiente duro come quello della montagna.

Camminando per le viuzze si riscoprono il casaro, il ciabattino, il maniscalco, il fornaio, le lavandaie e poi donne che raccolgono castagne e funghi, uomini seduti intorno ad un tavolo dell’osteria con le carte in mano.

La visita non richiede molto tempo, ma riserva scorci deliziosi e scoperte ad ogni angolo.

Taceno Affresco

Ci vuole un fiore.

Si può non apprezzare il turismo mordi e fuggi che sempre più spesso caratterizza queste vallate, un turismo che si disperde in mille rivoli a fondovalle, tra animazione e sagre paesane, un turismo rumoroso fatto di ondate improvvise, di folla, di auto ammassate nei parcheggi che, alla sera, si incolonnano più o meno disciplinatamente verso la pianura.

Si può non condividere una mentalità che spinge a concentrare le forze sulle attività di fondovalle e trascura i sentieri che vengono lasciati alla cura di gruppi di volontari mal coordinati anche se ricchi di entusiasmo.

Chi, in questa estate, si è spinto in alto o lontano dalle mete più accessibili si è reso conto che lo stato dei sentieri è spesso precario, alcuni sono mal segnati, invasi dalla vegetazione o dilavati dalle piogge delle prime settimane di luglio.

Può non piacere questa situazione e si può anche decidere di protestare, in tanti modi, più o meno civili e può succedere che qualcuno decida di mettere in atto una forma di protesta civilissima e persino poetica: così è successo che qualche giorno fa, per attirare l’attenzione sullo stato delle montagne, qualcuno abbia avuto la bella pensata di far spuntare, in mezzo ad un pascolo, una gigantesca stella alpina, visibile da mezza valle.

Mi sembra un modo geniale di far valere le proprie ragioni che ha l’indubbio merito di costringerci ad alzare lo sguardo verso le cime.

Piani di Bobbio - Stella alpina

Sì ma quale?

Sarà il caldo di questo torrido agosto, sarà la penuria (vera o presunta) di notizie di maggior rilievo, ma si torna a parlare di dialetto nelle scuole.

Francamente la cosa non mi preoccupa e non mi appassiona anche perchè ho imparato dalle mie nonne ad esprimermi nella lingua di Carlo Porta fin dalla più tenera infanzia, leggo e scrivo il milanese senza grandi dificoltà e ho una discreta conoscenza della cultura della mia regione.

Quello che invece mi preocupa è quale dialetto usare a scuola visto e considerato che non esiste un dialetto “padano” e nulla è più lontano dall’idioma meneghino del dialetto bergamasco (della città che pur dista solo una ventina di chilometri o bresciano, o pavese per parlare solo della Lombardia.

Siamo un popolo individualista e campanilista, ogni paesetto ha una sua particolare pronuncia, usa parole diverse per concetti analoghi: basti pensare che quassù in montagna la parola “noi” suona “Nu” senza dieresi a Barzio e con la dieresi a Moggio (tre chilometri di distanza).

Forse è il caso che si lascino perdere queste idee e ci si concentri di più sull’insegnamento dell’italiano, lingua negletta e misconosciuta, dalla grammatica spesso oscura ma bellissima: quando saremo in grado di esprimerci in modo corretto nella lingua nazionale sarà possibile fantasticare sui dialetti….in questo momento mi sembra prematuro.