Archivi categoria: il piacere del cibo

Un anno in più per Parma.

Parma, una delle città più eleganti e vivibili d’Italia, patria di una gastronomia d’eccellenza, Parma dove aleggia ancora lo spirito di Maria Luigia, Parma capitale della musica e del bel canto, ricca di monumenti di grande bellezza e valore storico e artistico era stata pesantemente penalizzata dall’epidemia che ha sconvolto il mondo, infatti era stata proclamata Città Italiana della Cultura per il 2020, per quest’anno non a caso bisestile, in cui i viaggi, le visite guidate, il turismo sono stati annullati e i musei chiusi.

Parma non meritava una sorte simile perché è una città che vale sempre la pena di visitare sia per chi non c’è mai stato, sia per chi, pur conoscendola bene, ne è tanto innamorato da provare il desiderio di tornare di tanto in tanto.

Il Decreto “Rilancio” appena varato , anche se non ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, sana questa ingiustizia ai danni della città che quindi sarà Capitale Italiana della Cultura anche per il 2021.

Sono sicura che Parma saprà cogliere questa occasione per mettersi in gran spolvero e attirare visitatori e “innamorati” nonostante le difficoltà del momento.

E in fondo la città ha tutti i numeri per farcela.

Parma

Baklava.

So di essere una persona molto fortunata perché ho un figlio che ha la passione per la cucina, per cui vivo la fantastica condizione di avere un cuoco a domicilio.

Solitamente cucina piatti molto tradizionali come un bel risotto allo zafferano o le trofie col pesto o una pizza rigorosamente Margherita, ma di tanto in tanto si sbizzarrisce con esperimenti di cucina più esotica, prova cibi che abbiamo assaggiato in viaggio e che hanno il potere di risvegliare una serie di ricordi.

Così ieri è stato il turno della Baklava, un dolce a base di miele e frutta secca, pistacchi e mandorle soprattutto, che ho assaggiato in Turchia, in Grecia e in Azerbaijan e che comunque è diffusissimo, in diverse varianti, nei paesi che facevano parte dell’Impero Ottomano e nelle zone limitrofe.

La versione di casa è stata un po’ meno dolce di quella tradizionale, ma la variante non è un difetto, anzi ha contribuito ad esaltare il gusto delle mandorle e della cannella.

Assaggiare la Baklava mi ha fatto venire solo un po’ di nostalgia e, come le Madeleine di Proust, mi ha riportato per un attimo sul Bosforo e ho rivisto i palazzi eleganti sulla sponda asiatica e là, all’orizzonte, la sagoma delle moschee e dei minareti e ho sentito di nuovo i suoni e i profumi di Istanbul.

Istanbul

Il piacere di un caffè.

Mi spiace, ma per me bere un caffè al bar significa sedermi ad un tavolino e magari scambiare quattro chiacchiere (… da bar, appunto) con gli altri avventori e dare un’occhiata al giornale lasciato negligentemente su un tavolo vicino, bere un caffè significa concedermi una piccola piacevole pausa tra una corsa e l’altra.

Neanche da Starbucks riesco ad acquistare un caffè da asporto, non riesco a bere dai bicchieri di carta “con il coperchio”, a meno che non mi trovi in un aeroporto o a bordo di un aereo dove, qualche volta per ingannare il tempo, ordino un bicchierone di beverone scuro (caffè “americano”, lo chiamano) che si raffredda sul tavolino, mentre l’aereo scivola nell’aria.

Di conseguenza, in attesa che sia possibile bere un caffè seduta ad un tavolino, magari all’aperto, a debita distanza dagli altri avventori, verosimilmente senza mascherina (altrimenti sarebbe una bella impresa), rinuncio al caffè da asporto, anche perché sarebbe un problema berlo camminando per strada (sono un’imbranata cronica) e probabilmente, dovendo berlo a casa, dopo aver percorso un certo tratto di strada, dopo essermi tolta le scarpe, dopo essermi cambiata d’abito, dopo aver gettato guanti e mascherine e dopo essermi lavata accuratamente le mani, il caffè sarebbe irrimediabilmente gelido.

Milano - Caffetteria

Di prima necessità.

Siamo chiusi in casa praticamente da due mesi, ma non per questo dobbiamo fare penitenza visto e considerato che anche la Quaresima è passata.

Ci dicono che, visto il poco movimento, non dobbiamo mangiare molto ed è meglio limitarsi nel consumo del vino, ma questo non significa mangiare e bere male, piuttosto significa privilegiare la qualità rispetto alla quantità.

E così, in questi giorni, a casa nostra è arrivato un olio buono buono da Imperia, sono arrivati formaggi freschi e profumati e tutte le settimane una coloratissima cassetta di frutta e verdura allieta la nostra cucina.

Anche i profumi, gli aromi, i sapori e i colori sono beni di prima necessità, ci rallegrano, ci fanno stare bene nonostante il forzato isolamento.

E così (perché no?) abbiamo ordinato del vino da un produttore delle Langhe (ho un’amica da quelle parti che mi ha dato le dritte giuste) e, visto che non possiamo andare nelle cantine, Dolcetto e Barolo sono venuti a casa nostra.

Anche la gioia è un bene di prima necessità.

La Morra (langhe)

Cambusieri per necessità.

Una volta alla settimana, più o meno, mio figlio si arma di coraggio, autocertificazione, guanti e mascherina e va al vicino supermercato per fare la spesa, forse potrebbe farlo un po’ meno spesso, ma ogni tanto preferisce muovere l’automobile per evitare che si formino le ragnatele sul motore.

Prima della partenza prepariamo una lista ragionata delle derrate alimentari cercando di conciliare le esigenze di una settimana con il rischio, non remoto, di trovare alcuni scaffali vuoti (la farina, ad esempio era introvabile settimana scorsa, ma non mi stupisco a giudicare dalle quantità industriali di dolci, pasta fresca e prodotti da forno vari fatti in casa che vedo sui social).

Evitiamo accuratamente alcuni prodotti come il lievito di birra (lievito madre fatto in casa), l’acqua minerale (va bene anche quella del sindaco) e dolci che in questo periodo di mobilità quasi nulla e di cucina da masterchef potrebbero rivelarsi una scelta fatale ((alla fine della quarantena vorrei poter passare dalle porte).

Per il resto abbiamo scorte sufficienti per sfamare un piccolo villaggio, anche se non ci siamo mai abbandonati alla tentazione del saccheggio che nei primi giorni di quarantena ha contagiato molti.

Siamo un po’ come gli scoiattoli che si preparano all’inverno accumulando cibo nelle tane, senza però precludersi la libertà di movimento: la nostra dispensa è fornita, ma non strapiena anche perché ci darebbe veramente fastidio se andasse sprecato qualcosa.

Londra - St. James's Park

Prosecco on demand.

Anche se hanno votato per la Brexit e hanno sancito il divorzio dall’Europa e dal suo mercato gli inglesi, o per lo meno i londinesi, non hanno ancora rinunciato al “made in Italy” e soprattutto alla passione per il Prosecco.

Che il Prosecco sia di gran moda a Londra risulta subito evidente se si entra in un ristorante o in un pub o se, più semplicemente, ci si limita a dare un’occhiata alla lavagnetta posta all’esterno del locale.

E’ tanto amato il vino italiano che, dalle parti di Victoria Station, ha fatto la sua comparsa un distributore automatico, una sorta di “Proseccomat”, che eroga calici di vino ai passanti.

 Da Treviso è partita una protesta in merito (cito testualmente) “all’illegittimo riferimento alla denominazione Prosecco apparso sul distributore londinese. Con l’occasione il Consorzio ribadisce che, al netto di quanto accaduto nel Regno Unito, agirà in tutte le sedi contro chiunque, in Italia e all’estero, continuerà a somministrare del vino alla spina vendendolo come “Prosecco”, cosa non ammessa in alcun modo dal disciplinare vigente.

Perbacco, ci vuole un po’ di rispetto.

Ornago

In trattoria.

Ormai il gruppetto di amiche, ex colleghe e pensionate, che al mercoledì si concede una scorribanda turistico-culturale a Milano ( e dintorni) si è consolidato: a seconda degli impegni siamo più o meno cinque “sciure” che, lasciata l’auto al parcheggio di Cascina Gobba, si avventurano nella città sempre ricca di luoghi da visitare, di musei, di gallerie, di eventi, di occasioni per conoscere qualcosa di nuovo.

Poco dopo mezzogiorno comincia a serpeggiare un certo languorino, favorito dalla inevitabile scarpinata (la cultura mette appetito, si sa) e allora ci mettiamo alla ricerca di una trattoria dove mangiare bene (e possibilmente bere meglio).

Milano è ricca di questi locali, dove raramente si incontrano turisti, posizionati in qualche strada un po’ defilata, con un arredamento decisamente poco “glamour”, ma una cucina di tutto rispetto, ingredienti di buona qualità e un servizio cortese e sorridente.

Quando siamo entrate nella sala, lo scorso mercoledì, l’ambiente era vuoto e francamente un po’ triste, ma dopo pochissimi minuti si è riempito di signore e signori, evidentemente clienti abituali, visto che i camerieri li salutavano chiamandoli per nome, piuttosto in età, alcuni molto eleganti, probabilmente attirati dalla buona cucina e dai prezzi più che onesti.

Abbiamo mangiato bene, ci siamo sentite a casa, ci siamo appuntate il nome della trattoria perché, quando saremo in zona, vi torneremo sicuramente: chi trova una buona trattoria trova un tesoro.

Milano - In trattoria

Frutta secca.

Arachidi, noci, nocciole e mandorle ormai sono onnipresenti, in tutti i mesi dell’anno, sui banchi dei fruttivendoli e nei supermercati e insieme ad esse sono comparsi altri frutti di provenienza più esotica e dal sapore meno consueto.

Un tempo, invece, comparivano sulle tavole solo nel periodo natalizio, insieme ai mandarini, che riempivano le sale da pranzo del loro profumo, e alle arance avvolte nella carta dorata e ai fichi secchi (carnosi e saporiti come quelli che ho assaggiato a Smirne).

Non mi ricordo quando è successo che la frutta secca ha smesso di essere un sapore solo natalizio, non mi ricordo quando è comparsa sulle nostre tavole, a tutte le ore, dalle mandorle della prima colazione alle arachidi dell’aperitivo, ma penso che questo fatto abbia contribuito a togliere un po’ di magia al cenone in famiglia.

Dopo le varie portate e le abbondanti libagioni si sparecchiava la tavola, si puliva la tovaglia dalle briciole e comparivano le ciotole di frutta secca e gli schiaccianoci che restavano lì, tutto il pomeriggio, a far compagnia alle chiacchiere oziose della famiglia nell’attesa che facessero la loro trionfale apparizione il panettone e il torrone ( che allora era solo friabile, un vero attentato per i denti).

Non ho tanto nostalgia di quei sapori , che ormai sono diventati abituali, ma di quell’atmosfera di festa, di quella gioia di stare insieme, quando la nostra famiglia era tanto più numerosa, di mio padre che si cimentava a spaccare le noci tra le mani (come mi pareva forte allora), della nonna che sbriciolava il torrone per riuscire a gustarlo, di noi bambini che con i gusci delle noci facevamo precarie barchette, di una felicità che stringevamo fra le mani e non sapevamo di avere.

Marocco - Fes

Come e perché rinunciare alla dieta.

In realtà non sono proprio a dieta, ma cerco di controllare quello che mangio per evitare di debordare, per riuscire a continuare a salire le scale di corsa, perché sentirmi leggera mi piace e mi fa stare bene.

D’estate, di solito, ci riesco anche perché faccio tanto movimento e mangio frutta e verdura e cibi leggeri.

Poi viene l’autunno, comincia a piovere e a fare un po’ più freddo, e allora vengo presa improvvisamente dal desiderio di mettere sotto i denti qualcosa di più caldo, più ricco e confortante e comincio a vagheggiare piatti di polenta accompagnati da funghi e formaggi fusi, brasati e stracotti annaffiati da un buon bicchiere di vino rosso.

I mesi autunnali preludono anche alle feste di fine anno, alle cene con gli amici, ai cenoni, ai dolci natalizi, ai brindisi di capodanno e di conseguenza la dieta diventa un pio desiderio.

Forse basta solo ignorare la bilancia per un po’.

Piani di Artavaggio

Desiderio d’autunno.

Dopo il caldo dell’estate attendo sempre l’autunno con impazienza, perché è una stagione che, forse per i suoi colori e i suoi profumi, che mi riempie di allegria e mi fa star bene.

Se riesco ad organizzarmi, ogni anno, mi ritaglio il tempo per un week end fra le mie montagne, perché in ottobre, di solito, fa fresco, ma non fa ancora freddo, e, se il tempo è sereno, il cielo è di un azzurro acceso e le pendici dei monti si vestono di una tavolozza di colori dall’incredibile varietà.

Il paese è vuoto ed è piacevole passeggiare senza incontrare nessuno, lasciando scivolare lo sguardo su un panorama che muta ad ogni passo.

Mi siedo a tavola ed il clima autunnale attenua i miei sensi di colpa davanti ad uno stracotto profumato e ricco di colori e sapori, accompagnato da una generosa porzione di polenta, annaffiato da un calice di buon vino rosso.

Non mi preoccupo della linea perché so che la passeggiata tra i boschi mi aiuterà a smaltire le calorie di troppo e anche questa considerazione consolatoria contribuisce a farmi stare particolarmente bene.

Ho gli occhi pieni di gialli, di rossi, di tutte le sfumature del marrone, dell’ultimo tenero verde, ho le orecchie piene degli ultimi cinguettii, ho il naso pieno di profumi, ho l’anima piena di luce.

Autunno in Valsassina (Moggio)