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Formaggio bruno, mora bianca, salmone, merluzzo e gamberetti.

E’ da molto tempo e da molti viaggi che ho deciso che non devo più acquistare souvenir, a meno che non si tratti di qualcosa di commestibile o di indossabile.

Anche durante il mio recente viaggio alle isole Lofoten sono rimasta rigorosamente fedele al mio intento e, dopo aver assaggiato alcuni piatti locali (soprattutto a colazione) ho riportato a casa con me i sapori del mio viaggio.

Innanzitutto c’è il formaggio bruno (quello di solo latte vaccino si risponde all’impronunciabile nome di Fløtemysost), che propriamente formaggio non è, infatti viene preparato facendo bollire il siero del latte fino a quando gli zuccheri non caramellano fornendogli un sapore dolce e una consistenza cremosa, oltre a un colore particolare dalle tonalità marroni più o meno accentuate.

Poi c’è il salmone al naturale, affumicato, alla piastra che a colazione dà una vera e propria sferzata di energia e ha un sapore che a poco a che vedere col salmone che ci troviamo a consumare alle nostre latitudino.

Anche i gamberetti sono una vera squisitezza, mentre il pesce più pescato è sicuramente il merluzzo che, messo sulle rastrelliere a seccare, diventa lo stoccafisso, ma che si può trovare confezionato in lattine di patè dal gusto deciso.

Per finire c’è la confettura di mora bianca (non si tratta di un ossimoro ma della “polar berry”) un frutto simile alle nostre more molto aromatico.

Portare sulla mia tavola questi cibi inusuali mi permette di risvegliare, anche attaverso il gusto, il ricordo di un viaggio che ha lasciato dentro di me un’impronta profonda.

I profumi di dicembre.

Ci sono dei profumi che risvegliano nella mia mente un’ondata di ricordi, ricordi che mi riportano a momenti della mia infanzia legati al Natale e alle feste.

Spesso mi basta sbucciare un mandarino per rivedermi con la mia famiglia in una stanza calda illuminata dalle luci intermittenti dell’albero di Natale, la tavola ormai sparecchiata dopo il pranzo e le bucce profumate che finiscono nella stufa per avvolgerci con il loro aroma intenso, mentre dal panettone appena affettato mi giunge il profumo dei canditi e dell’uva passa.

La stessa sensazione affiora quando sento il profumo della cannella che mi ricorda i pomeriggi invernali trascorsi nella latteria affacciata sulla piazzetta del mio quartiere, la cannella spruzzata sulla panna montata che si mescolava al profumo di lavanda della mia nonna e mi regala un senso di calore affettuoso.

E poi c’è il profumo un po’ bruciato dello zucchero filato che assaporavo praticamente solo una volta all’anno quando, per sant’Ambrogio, andavamo alla “Fera di Oh Bej Oh Bej”, il mercatino intorno alla basilica milanese, dove acquistavamo le statuine per il presepe e i decori per l’albero.

I profumi sono potenti agganci della memoria e per questo motivo, soprattutto in questo periodo dell’anno, amo circondarmi di cose buone che mi permettono di ricordare, senza nostalgia, ma con gioia i momenti della mia infanzia che mi riempiono di serenità.

Moggio

Tra tortelli di zucca e mostruosi giganti.

Non so se questa fine di ottobre dal clima quasi estivo sia effetto del riscaldamento globale e quindi se sia un fatto positivo o una iattura, ma comunque sia questi giorni sereni, questo sole ancora caldo invitano ad uscire di casa e ad andare a spasso.

E così ieri, approfittando della bella giornata, il nostro gruppetto di “pensionate d’assalto” ha deciso di realizzare un’escursione progettata da tanto tempo e di fare una bel giro in quel di Mantova.

Siamo Partite da Palazzo Te dove abbiamo potuto ammirare le opere di Giulio Romano, incantate dalla splendida Sala dei Giganti completamente decorata con le figure mostruose che tentano invano la scalata all’Olimpo.

Poi, dopo una lunga passeggiata verso il centro cittadino, ci siamo concesse un piatto di tortelli di zucca grondanti di burro fuso profumato di salvia e un calice di Sangiovese, all’aperto, sedute al tavolo di una trattoria dall’aria un po’ retrò, coperto da una allegra tovaglia a quadrettoni rossi.

Nonostante il pasto abbondante abbiamo trovato sufficiente lucidità per visitare anche lo spendido Palazzo Ducale, la residenza della potente famiglia dei Gonzaga, che conta, tra le sue meraviglie, l’incredibile “Camera degli Sposi” realizzata dal Mantegna.

La giornata autunnale così poco autunnale ci ha regalato una gita e la gioia di condividere tanta bellezza.

Mantova - Palazzo Te

Chi ha inventato il “Burger Pharaon”?

In una delle prime teche del “Museo Nazionale della Civiltà Egiziana” ci sono dei resti di pane molto interessanti che ci raccontano della quotidianità degli abitanti della terra dei Faraoni di tanti secoli fa.

Tra le forme più usuali, simili tutto sommato alle nostre, ce ne sono due in particolare che hanno attirato la mia attenzione.

Si tratta di due cupolette ormai completamente disidratate (ma cosa possiamo aspettarci dopo svariati millenni?) che ricordano i panini nei quali, in molti fast food, vengono serviti gli hamburger.

I ricercatori hanno ritrovato, tra le fette di pane, dei resti di carne praticamente mummificati che ci fanno pensare che doveva trattarsi del pranzo (direi un classico hamburger) di un contadino o di un lavoratore che, prima di recarsi al lavoro, si era preparato la “schiscetta”

A suffragare l’ipotesi del “cibo da asporto” ci sono dei segni di legatura che dovevano servire a tenere insieme il panino.

Il mio viaggio in Egitto ha dimostrato, se ce n’era bisogno, che noi uomini “moderni” abbiamo inventato veramente ben poco.

Museo Nazionale della Civiltà Egiziana - Il Cairo - Egitto

Papanasi.

Il mio recente viaggio in Romania è stato particolarmente piacevole anche perché, avendo viaggiato con amici romeni, abbiamo potuto visitare luoghi stupendi anche se non particolarmente noti ai turisti che prediligono solitamente visitare località più celebri, ma soprattutto abbiamo potuto assaggiare i piatti tipici della cucina locale, guidati dai consigli dei nostri ospiti.

Fra tutti i cibi che ho assaggiato che mi hanno colpito particolarmente i Papanasi che sono, in buona sostanza, delle frittelle a base di farina, uova e formaggio fresco (quasi senza zucchero) che vengono serviti ben caldi, coperti di panna acida e confettura di frutti di bosco.

Di solito nel piatto ne vengono presentati due, ma poco assicurare che anche uno solo è sufficiente per alzarsi da tavola sazi, perché sono particolarmente sostanziosi e bastano a completare un pasto a base di ciorba (la ricca minestra di verdure, carne, funghi o legumi che usa da queste parti).

“Devi assaggiare i Papanasi”, insistevano i miei compagni di viaggio e devo dire che l’esperienza è stata indubbiamente positiva.

Romania - Sibiu

Oltrepò

La gita a Pavia in una giornata un po’ uggiosa di inizio ottobre, proprio nel periodo della vendemmia, non poteva concludersi che con una deviazione nell’Oltrepo’ , il territorio a sud della provincia pavese votato alla viticoltura, e con una degustazione in una azienda vinicola, quella dei Fratelli Guerci a Casteggio, nata nel 1924 e ormai giunta alla quarta generazione di viticultori e vinificatori.

Veniamo accolti con calore dai proprietari dell’azienda che ci illustrano, con l’entusiasmo e la passione di un lavoro ben fatto, tutte le fasi della vinificazione dalla vendemmia all’imbottigliamento e ci rendiamo conto che l’immagine della pigiatura fatta con i piedi nei tini e delle botti allineate in cantine buie e umide è solo un ricordo del passato, ora invece il processo è molto complesso e rigidamente controllato in tutti i suoi passaggi.

Solo così il vino può fregiarsi a buon diritto della denominazione DOCG e presentare tutte le garanzie di qualità.

Dopo le spiegazioni è ora che parli il vino e così, dopo esserci accomodati intorno ai tavoli imbanditi con formaggi e salumi locali, è il momento della degustazione.

Uno dei vini che mi ha colpito di più è il “222 a.C.” (la data della battaglia di Casteggio) uno spumante Brut Metodo Classico da uve Pinot Nero dal colore giallo paglierino carico e che al palato presenta note di lievito e un leggero sentore di frutta matura.

Nonostante il clima grigio e la pioggia il pomeriggio è trascorso tra profumi e sapori genuini, tra buon vino e buon cibo conditi con un’accoglienza cordiale che ci ha scaldato il cuore.

Casteggio

I confetti di Sulmona.

Sulmona, che si stende alle pendici del Morrone, nel cuore dell’Abruzzo, è la capitale dei confetti che fin dal 1400  venivano lavorati presso il Monastero di Santa Chiara dove le monache con dei fili di seta, legavano i confetti per decorare fiori, grappoli, spighe, rosari.

Con un atto a firma del notaio Ventresca, nel  maggio 1783, si ufficializza la nascita dell’azienda Pelino ad Introdacqua, un villaggio nei pressi di Sulmona, che oltre alla commercializzazione della mandorle avviò la produzione dei confetti e successivamente di liquori.

Oggi l’azienda esiste ancora ed è un fiorente centro di produzione di confetti di ogni forma, colore e qualità oltre che sede di un minuscolo, ma interessantissimo, museo che racconta la storia di questa assoluta eccellenza.

Entrando nell’edificio si viene avvolti dal profumo e ci si perde tra le infinite qualità di confetti anche se, devo dire, io preferisco di gran lunga quelli tradizionali, candidi scrigni che avvolgono una mandorla pelata profumatissima, che permettono di comprendere ed apprezzare l’altissima qualità del prodotto.

Ma siccome “anche l’occhio vuole la sua parte” è facile farsi catturare dalle composizioni lucide e coloratissime di confetti dalle mille sfumature e dai mille sapori.

Sulmona

Frittatona di cipolle… come da tradizione.

Questa sera, in occasione di Inghilterra – Italia dal mitico stadio di Wembley ci siamo attrezzati con “frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato e rutto libero!” di Fantozziana memoria.

A parte il “rutto libero” che in casa nostra non gode di particolari simpatie il resto c’è perché una partita del genere (anche per me che non sono una patita del calcio) richiede un particolare rituale, richiede una cena un po’ “accampata” sul tavolino del salotto, di fronte alla televisione, richiede un tifo indiavolato e, vada come vada, rappresenta un’occasione un po’ speciale di stare insieme e di condividere le emozioni.

Un po’ come l’11 luglio 1982, la sera della finale mondiale di Madrid, quando ci siamo ritrovati tutti nella casa in montagna e c’erano ancora i miei genitori e mio marito, e io e mio fratello eravamo così giovani e mio figlio, che allora aveva solo un anno, stava acquattato sotto il tavolo della cucina, un po’ preoccupato per le urla che provenivano dagli adulti di famiglia in genere così pacati.

Ricordo ancora l’entusiasmo, le magliette bianca, rossa e verde appese al balcone in mancanza di una bandiera e la gente vociante per strada e la banda del paese vicino che percorreva la valle suonando a ripetizione l’inno nazionale.

Frittatona e birra, quindi, ma anche una merenda sostanziosa per accompagnare, qualche ora prima, un’altra finale storica, quella che vedrà impegnato Berrettini a Wimbledon.

Comunque vada so già che sarà emozionante e bellissimo.

Piani di Artavaggio

Il “Dolceriso” del Moro.

Vigevano è una gran bella città e passeggiare nella sua splendida piazza, in una giornata di sole, è come fare un tuffo nel passato e ritrovarsi in un’atmosfera rinascimentale di grande fascino che colpisce tutti i sensi, anche quello del gusto.

E proprio a proposito del gusto come non assaggiare un dolce che affonda le proprie radici in un passato tanto ricco?

Una specialità di Vigevano è il “Dolceriso” del Moro, un dolce a base di riso, mandorle, cedro candito e acqua di rose che sarebbe stato creato, secondo la tradizione, proprio da Beatrice d’Este nel 1491.

La storia (o forse la leggenda) racconta che Beatrice, la sedicenne sposa di Ludovico il Moro, gelosa del marito che spesso si allontanava dalla corte, creò questo dolce come una sorta di “elisir d’amore”, infatti tra gli ingredienti c’è l’acqua di rose che si pensava avesse poteri particolari contro i tradimenti e le pene d’amore.

Purtroppo la duchessa non poté sperimentare a lungo gli effetti della sua creazione perché morì pochi anni dopo all’età di ventidue anni, per le conseguenze del parto.

Della duchessa ci restano i ritratti che la raffigurano bellissima e giovanissima, il monumento funebre conservato nella Certosa di Pavia che la rappresenta accanto al marito, con delle calzature dalle zeppe altissime che le permettevano di non sfigurare al fianco del consorte e questo dolce dal sapore antico e particolare.

Vigevano - Dolceriso del Moro