Archivio mensile:Febbraio 2020

Le sirenette.

Nel Parco Sempione, a Milano, c’è un angolo molto pittoresco, un piccolo corso d’acqua attraversato da un ponte in ghisa ornato da quattro sirenette abbastanza prosperose che i milanesi, con la loro proverbiale ironia, avevano soprannominato “Sorelle Ghisini (o Ghisetti).

Il ponte, costruito tra il 1840 e il 1842 ed inaugurato da Ranieri Giuseppe d’Asburgo Lorena, viceré del Regno del Lombardo-Veneto, attraversava il Naviglio, oggi coperto, in via Visconti di Modrone.

Nel 1930 il ponte, divenuto ormai inutile a causa della copertura del corso d’acqua, fu accorciato e spostato nel parco dove ancora oggi fa bella mostra di sé tra il verde degli alberi e l’azzurro del cielo.

Durante la guerra le sirenette furono colpite e in parte distrutte durante i bombardamenti che devastarono la città e così, nel 1954, furono create due copie delle statue superstiti che tornarono ad ornare il ponte.

Oggi il ponticello è meta di turisti, famigliole e innamorati che, tra un lucchetto e un selfie, si scambiano qualche tenerezza.

Milano - Parco Sempione

La nuvoletta nel blu.

C’era vento oggi a Milano, un vento non freddissimo, ma impetuoso che ha ripulito il cielo accendendolo di un azzurro intenso.

Passeggiare nel Parco “Biblioteca degli Alberi” a Porta Nuova era un’impresa non da poco, soprattutto quando le raffiche si facevano così intense da strapparmi il cappello, che solitamente porto ben calzato in testa, ma era comunque piacevole se non altro per la bellezza del cielo e l’eleganza dei riflessi sulle grandi superfici splendenti dei grattacieli.

In cielo non c’era neanche una nuvola, in compenso ne è spuntata una nel parco, una nuvoletta gonfia e un po’ buffa, messa lì, quasi per caso, a far ombra ad una panchina azzurra.

E’ una nuvoletta bianca e ingenua, di quelle che compaiono nei disegni dei bambini, una nuvoletta che metteva allegria,

O forse l’allegria nasce dal senso di libertà gioiosa che una passeggiata nel sole e nel vento può regalare.

Milano - Parco Biblioteca degli alberi (Porta Nuova)

Il caucus dell’Iowa

Ieri sera è iniziata ufficialmente la fase delle primarie del Partito Democratico, che porterà alla scelta dello sfidante di Trump per la corsa alla Casa Bianca, con i Caucus dell’Iowa.

Anche se lo stato non è tra i più grandi o popolosi il risultato dell’Iowa è tradizionalmente quello che mostra gli orientamenti dell’elettorato e, per i candidati più deboli, è l’occasione per capire se è il caso di tornarsene a casa o se invece è il momento di cominciare a raccattare i fondi per una campagna elettorale lunga e costosissima.

La parola Caucus deriva da un’espressione dei nativi americani che letteralmente significa “stare seduti per terra a gambe incrociate davanti alle tende” ed era un sistema per discutere e prendere decisioni.

Per noi italiani (ed europei) abituati a elezioni più formali il Caucus può apparire singolare e pittoresco, ma in fondo è una forma di democrazia partecipativa che ha un suo perchè.

Le riunioni si svolgono in chiese, palestre, scuole e talora anche in case private, gli elettori si “iscrivono” sottoscrivendo un generico programma, senza statuti, senza tessere, senza pagamenti di quote anzi (cosa che per noi può sembrare incomprensibile) può registrarsi anche il sostenitore di un partito diverso e l’iscrizione dà automaticamente diritto al voto.

Le riunioni si svolgono in modo abbastanza vivace, in ogni angolo della sala i “rappresentanti” dei vari candidati nei illustrano i programmi e le posizioni cercando di raggruppare un numero sufficiente di elettori, talvolta salgono anche su tavoli e sedie e chiamano a gran voce amici e parenti per convincer
li a spostarsi da un altro gruppo.

Alla fine si vota per alzata di mano o scrivendo il nome del prescelto su un foglietto.

Ieri sera qualcosa è andato storto e, contrariamente a quanto succede di solito, i risultati sono ancora in alto mare: restiamo in attesa di capire quale piega prenderanno queste primarie.

Milano-Expo 2015

Il panettone di San Biagio.

San Biagio, secondo la tradizione, fu vescovo e medico a Sebaste in Armenia, andò incontro al martirio intorno al 316 e viene venerato come protettore della gola da quando, secondo l’agiografia, durante la prigionia salvò un ragazzo da una lisca di pesce conficcata nella trachea.

A Milano la venerazione è particolare perchè si narra che una donna portò un panettone ad un frate affinché lo benedicesse per il Natale, il frate, che si chiamava Desiderio, pregò la donna di tornare il giorno seguente perché era molto impegnato.

La donna si dimenticò del panettone e Desiderio, cedendo alla tentazione della gola, cominciò a sbocconcellarlo fino a consumarlo tutto.

Quando la massaia, ricordatasi molto tardi del panettone, tornò a reclamarlo era il 3 febbraio, il frate aprì il fagotto che conteneva le poche briciole avanzate e, meraviglia delle meraviglie, ritrovò il panettone intatto.

Da questo avvenimento (leggenda o miracolo che sia) i milanesi hanno tratto la tradizione di avanzare un pezzetto del panettone tagliato nel giorno di Natale per mangiarlo il 3 febbraio in onore di San Biagio.

Anche in casa mia abbiamo fatto così: le tradizioni si rispettano.

Il panettone di San  Biagio

Fo’ geneer gh’è scià febreer

Gennaio se ne va e arriva febbraio, in coincidenza con i “giorni della merla”, tradizionalmente i più freddi dell’anno oltre che quelli da cui trarre auspici per l’avvento della primavera.

Tra le mie montagne questo è il week end in cui si accendono i falò per “bruciare” l’inverno e a Moggio, in particolare, si tramanda la leggenda della merla che, rifugiatasi in un camino per sfuggire al gelo, ha visto le piume bianche mutarsi in nere e poi si accendono le fiaccole e agitando campanacci e battendo sui coperchi si insegue l’inverno che fugge spaventato.

Arrivati alla catasta di legna le fiaccole appiccano il fuoco e poi si sta lì, tra un vin brulè e una fetta di panettone, ad osservare le fiamme che si alzano verso il cielo godendosi il calore del falò che è già un preludio e una promessa dei tepori primaverili.

Tanto tempo fa, quando gli inverni erano più rigidi e facevano più paura con il lungo buio e con il gelo, il rito di “scacciare” Gennaio con il fuoco e il rumore assordante era quasi consolatorio, era un modo per esorcizzare l’inverno e per propiziare la primavera.

Era un rito semplice, ma carico di gioia, di promesse, di voglia di vivere.

Moggio - Falò di fine inveno
Moggio - Falò di fine inveno