Archivio mensile:Gennaio 2020

La testimonianza del dolore.

Tra pochi giorni ricorderemo i settantacinque anni della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, ad opera del soldati dell’Armata Rossa, e ritroveremo nelle parole dei pochi sopravvissuti tutto l’orrore che l’apertura del campo, quasi fosse un mostruoso vaso di Pandora, ha rivelato al mondo che non aveva saputo o voluto vedere.

Ascolteremo le parole dei testimoni e ci indigneremo o forse ci allontaneremo infastiditi o resteremo persino indifferenti perché i loro racconti parlano di avvenimenti del passato che non ci riguardano più (o forse ci illudiamo che non ci riguardino).

Eppure dovremmo soffermarci ad ascoltare con reverente rispetto perché i testimoni non raccontano solo dei fatti, ma raccontano un dolore profondo che hanno provato sulla loro pelle e che resta impresso nell’anima e nel corpo come il numero tatuato sul braccio.

Dovremmo comprendere che ogni volta che un testimone parla il dolore e l’orrore tornano a galla, e riemerge il ricordo di chi non è tornato e serpeggia la sottile inquietudine di chi, scampato alla morte, ancora si chiede perchè questa “fortuna” sia toccata proprio a lui.

Ma forse chi è tornato dalla morte comprende meglio che la vita è un dono e come tale va usato bene e che testimoniare è un segno di gratitudine ed è un modo per usare bene il dono ricevuto.

Proprio per questo motivo dovremmo stare ad ascoltarli in silenzio.

Auschwitz - Birkenau

Un film per sorridere e riflettere.

Si sorride assistendo al film “Jojo Rabbit”, anzi a tratti si ride di gusto, ma si trova anche il tempo per pensare.

Johannes, detto Jojo, è un bambino di dieci anni, cresciuto in un villaggio di una Germania immaginaria a tinte pastello, circondato dall’amore della madre Rosie (una Scarlett Johansson in gran spolvero), una donna forte e indipendente che, non condividendo l’entusiasmo del figlio per il nazismo in cui è cresciuto, cerca di liberarlo dalla sua ossessione con l’entusiasmo, la gioia di vivere, ma senza imposizioni.

Jojo ha un amico immaginario, uno sgangherato Hitler che lo consiglia e lo guida, si pavoneggia nelle sue divise, si ciba di unicorni e il nazismo, visto attraverso gli occhi del bambino è mitico e grottesco al tempo stesso.

Il film racconta la crescita del bambino attraverso esperienze dure che lo portano a comprendere la realtà: egli scopre che la madre nasconde in soffitta una ragazza ebrea, compagna della sorella morta, e a poco a poco passa dalla paura al disprezzo all’innamoramento, assiste all’impiccagione della madre come oppositrice del regime e vede la dissoluzione della Germania sconfitta e distrutta.

La guerra finisce e Jojo con la sua amica si ritrovano per strada, finalmente liberi e possono danzare.

Il film denuncia il negazionismo, il razzismo, il sovranismo e l’elogio della violenza sbeffeggiandoli con rara grazia e un humor che lascia il segno.

Spero che, nella notte degli Oscar, il film riceva i riconoscimenti che, a mio parere, merita.

Berlino - Topografia del Terrore

Magici ingranaggi.

Da poco più di un mese sono state aperte al pubblico, all’interno del “Museo Nazionale Scienza e Tecnologia” di Milano, le “Gallerie Leonardo da Vinci”, una grande mostra permanente che percorre i vari aspetti della creatività e del genio di Leonardo attraverso più di 170 opere, 39 installazioni multimediali e una superficie espositiva di oltre 1.300 metri quadrati.

La città ha voluto così omaggiare, per celebrare i cinquecento anni dalla morte, Leonardo che tanto ha vissuto e lavorato alla corte degli Sforza, che qui ha lasciato disegni, progetti e il meraviglioso dono del Cenacolo.

Il percorso spazia  dalla giovinezza nella bottega del Verrocchio alla passione per le macchine e i meccanismi, esplora lo studio delle macchine belliche, racconta l’attitudine e l’uso del disegno visto come metodo di indagine, conoscenza e comunicazione, per giungere agli studi sul volo, all’osservazione e alle soluzioni per rendere fruibili le vie d’acqua lombarde al contributo all’architettura e alla pittura del tardo Rinascimento e infine, negli ultimi anni, all’intuizione di un cosmo governato da leggi immutabili.

Si tratta di un’esposizione affascinante e ricchissima che offre spunti di riflessione e di studio, ma che sa catturare anche la fantasia con istallazioni fantastiche come gli ingranaggi, che girano quasi in un moto perpetuo, nella sala dedicata alla “Festa del Paradiso”.

Milano - Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia "Leonardo da Vinci"

Una piccola cosa.

Ci sono dei versi, come quelli di Trilussa, che ho letto per la prima volta da bambina e che, ogni tanto, mi tornano in mente e mi fanno riflettere per la loro semplice sincerità:

“C’è un’ape che se posa su un bottone de rosa:
lo succhia e se ne va…
Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa.”

Meditate, gente, meditate.

Palanga (Lituania) - Museo dell'Ambra

Il “Toti”

Sembra ieri eppure sono passati già quasi 15 anni da quando il sottomarino “Enrico Toti” ha percorso le vie di Milano per trovare la sua definitiva dimora nel cortile del “Museo della Scienza e Tecnologia – Leonardo da Vinci”, dove finalmente può riposare tra la curiosità e l’ammirazione dei visitatori.

Visitare il “Toti” è un’esperienza unica, innanzitutto per le dimensioni anguste degli ambienti dove, comunque, trova spazio tutto ciò che serve per navigare, per vivere a bordo e, se necessario, per ingaggiare un combattimento.

La visita parte dalla sala motori per proseguire lungo uno stretto corridoio dove si trova un minuscolo bagno, la zona del marconista e il sonar.

Si arriva poi alla plancia di comando, dove si può dare un’occhiata attraverso il periscopio, e si prosegue fino ai tubi di lancio dei siluri passando accanto alle cuccette (a scomparsa) che possono lasciare lo spazio ai tavoli e agli sgabelli dove il personale non in servizio poteva trascorrere il tempo riposando o concedendosi una partita a carte.

Il sottomarino poteva imbarcare ventisei uomini di equipaggio e, francamente, questo mi pare l’aspetto più sorprendente visto che noi visitatori, pur essendo solo sette, continuavamo ad intralciarci e a tirare sonore testate contro i soffitti bassissimi dei passaggi tra un ambiente e l’altro.

Milano - Il Toti al Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia "Leonardo da Vinci"

Te la ricordi la nevicata del 1985?

Erano i primi giorni dell’anno, faceva freddissimo e, al rientro a scuola (al piano superiore di Palazzo Rasini) avevamo trovato le tubature saltate e le aule allagate e così il Comune decise di consegnare la nuova scuola media con un po’ di anticipo.

Con le attività didattiche sospese iniziammo il trasloco di quanto era necessario per cominciare le lezioni e così, mentre i giorni trascorrevano, con il cielo sereno e le temperature al di sotto dello zero, finì la settimana.

Alla domenica pomeriggio ricordo i primi fiocchi di neve, radi e leggeri, che volteggiavano nell’aria e ricordo mio figlio, che allora aveva quasi quattro anni, eccitato e felice in attesa di poter giocare con la neve che, intanto, cominciava a scendere con grandi fiocchi lenti.

La nevicata continuò per tutta la notte e poi per i tre giorni successivi, il paese si coprì di uno spesso manto candido e su tutto scese un grande silenzio rotto solo, di tanto in tanto, dal rumore dei mezzi che tentavano, con scarsi risultati, di ripulire le strade.

Dopo un po’ di ore cominciò a saltare la corrente, le case divennero fredde e buie, ma, almeno in casa mia, c’era una sorta di gioia perchè potevamo uscire per strada, con i nostri abbigliamenti da sci, e portare nostro figlio al parco a rotolarsi nei cumuli di neve come se fosse una sorta di vacanza inaspettata.

Poi smise di nevicare, la vita tornò alla normalità, le auto cominciarono a muoversi, la scuola riaprì e si cominciò a fare il conto dei danni.

Della leggendaria nevicata del 1985, che iniziò proprio come oggi, ormai ho dimenticato i disagi e mi resta solo il ricordo di quel senso di festa, di quel silenzio ovattato, di quel buio rischiarato solo dal bagliore della neve proprio come succede in alta montagna.

Cavenago di Brianza Dicembre 2012

La famiglia.

Sulla consolle, in salotto, ci sono le foto di famiglia, foto vecchie, alcune decisamente antiche, immagini di tante persone che sono venute prima di me, di alcune che hanno condiviso con me un tratto breve o lungo della loro e della mia vita, alcune a cui sono legata da ricordi sbiaditi, altre che sono ben vive nella mia memoria e nel mio cuore, ma tutte importanti.

Sono alcune delle immagini di una famiglia, la mia famiglia, immagini di donne forti, come la mia bisnonna materna, che non ho mai conosciuto, una donna coraggiosa che, rimasta vedova giovanissima, agli inizi del ‘900, quando il marito, il mio bisnonno, morì di colera in seguito al terremoto di Messina (lavorava alla ricostruzione della città devastata), allevò due bambine di otto e quattro anni con enormi sacrifici e dedizione.

C’è anche la foto dell’altra bisnonna materna, la madre di mio nonno, che amavo tantissimo e con la quale, quando ero già adolescente, trascorrevo tanto tempo ascoltando i suoi racconti e i suoi ricordi appannati dallo scorrere del tempo.

Ci sono le foto dei miei nonni da bambini, bambini serissimi e un po’ “ingessati”, nei loro abiti della festa.

E poi c’è la foto di mio padre, serio ed elegante come lo ricordo, con la sue eterna cravatta e la camicia candida.

Infine c’è la foto che preferisco: mio marito, mio figlio ed io, in ghingheri durante una festa, sorridenti e sereni e ogni tanto la osservo e ritrovo gli anni felici della nostra vita insieme e sento di nuovo la quieta gioia del nostro essere famiglia.

Forse non ricordo tutti i volti, ma tutti i nomi e le storie sono scritte in modo indelebile nel mio cuore e nella mia mente e le foto sono lì, come un nodo al fazzoletto, per aiutarmi a non dimenticare.

Cavenago di Brianza - Foto di famiglia

Meraviglioso.

Meraviglioso è starsene lì, sul balcone, al freddo e al buio per osservare la luna che scivola leggera nella penombra della prima eclissi dell’anno.

L’ombra impalpabile non nasconde il volto della luna, ma al contrario ne esalta i dettagli e così i crateri sembrano più netti e i rilievi si stagliano con più precisione rispetto a quando la osservo, luminosissima, nelle notti di plenilunio.

Eppure scoprire tutti i particolari non attenua il mistero di questo corpo celeste che, da sempre, ha affascinato gli uomini e ha ispirato loro leggende e racconti e versi immortali.

“O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.”

Così cantava il Leopardi, forse proprio in una notte di plenilunio come questa, perdendosi nel suo dialogo silenzioso con la luna, muta testimone delle vicende dolorose della sua vita.

A pensarci bene la luna è sempre lassù, silenziosa e quasi indifferente, su di lei proiettiamo i nostri sogni, le nostre speranze, le nostre sofferenze e forse, quando ci perdiamo nella contemplazione del suo volto, in realtà percorriamo i più segreti sentieri della nostra anima.

Cavenago di Brianza - Eclissi di Luna del 10-01-2020

Il “Vulturul negru”

Sulla piazza principale di Oradea, la bellissima Piața Unirii, si affaccia un edificio, costruito nel 1907, in stile Sezession (o art nouveau, o liberty che dir si voglia), formato da due corpi asimmetrici riccamente decorati collegati da un elegante passaggio coperto, una galleria luminosa dall’andamento sinuoso.

La facciata, le finestre, i tetti, l’inaspettata torre sono aggraziati, colorati, pensati per stupire, forse un po’ esagerati, ma affascinanti, come è affascinante la grande aquila nera, da cui deriva il nome del palazzo, che spicca il volo sulla vetrata colorata dell’ingresso che tutti i turisti si sentono in dovere di fotografare.

Il “Vulturul negru” era, ed è, un albergo e la galleria ospitava locali e negozi prestigiosi, oggi, dopo un attento restauro, è in buona parte ancora vuota, ma sicuramente merita di ospitare caffè e negozi che potrebbero restituirle un’atmosfera mitteleuropea, un po’ da operetta, un po’ da fiaba.

Passeggiando lungo la galleria, con un po’ di fantasia, sembra di sentire la musica di un valzer viennese e il profumo di una pasticceria dai cristalli appannati e dalle porcellane preziose, sembra di rivivere il calore e l’eleganza di un’epoca passata che può tornare.

Oradea (Romania) - Vulturul Negru
Oradea (Romania) - Vulturul Negru

Una casa museo.

Sono appena tornata da un breve viaggio in Romania dove ho trascorso le vacanze di Capodanno ospite di amici carissimi ad Oradea e sono stati giorni felici durante i quali abbiamo passeggiato insieme, abbiamo parlato, abbiamo festeggiato in piazza l’inizio del nuovo anno, abbiamo ravvivato un’amicizia che dura ormai da tanti anni.

L’ultimo giorno, prima di partire, la mia amica mi ha fatto un regalo splendido ed assolutamente inaspettato: mi ha accompagnata a casa di un suo anziano collega che, nei lunghi anni della sua vita, ha collezionato un’infinità di oggetti di uso quotidiano, con i quali ha letteralmente coperto le pareti della casa in cui vive ( oltre a diversi ambienti in uno spazio offertogli dalla parrocchia).

L’anziano signore ci ha accolto con gioia ed una punta di orgoglio in quella che, a buon diritto, può essere definita una casa museo, un appartamento all’ultimo piano di un edificio in puro stile sovietico.

Sulle pareti si allineano, in un disordine solo apparente, ma molto armonioso, orologi, utensili da lavoro, pipe, icone, oggetti recenti e antichi, umili o preziosi ed ogni oggetto ha una storia affascinante che il nostro ospite ci ha raccontato rigorosamente in lingua ungherese (idioma che, per fortuna, la mia amica sa comprendere e tradurre alla perfezione).

Sarei stata per delle ore ad ascoltare le sue storie, ma purtroppo mi attendeva il volo di ritorno, ma mi sono ripromessa di tornare perché tanta passione deve essere conservata e tramandata, perché la memoria, veicolata da tanti oggetti collezionati in una vita, è un bene prezioso che non può andare perduto.

Orqadea - Casa Museo
Orqadea - Casa Museo