Archivio mensile:Febbraio 2012

Quando c’è la passione.

Passeggiando per Vicenza, poco prima di andare a pranzo per poi fare ritorno a casa, ci siamo imbattuti, in piazza del Duomo, in un piccolo cancello chiuso su cui campeggiava la scritta “Criptoportico Romano. Visite guidate gratuite al sabato mattina”.

Visto che il cancello era chiuso e non c’era in giro anima viva, ci stavamo allontanando quando due gentilissime signore ci hanno avvicinato e ci hanno chiesto e volevamo visitare il monumento.

Inizialmente ci siamo schermiti dicendo che avevamo poco tempo a disposizione, ma le signore hanno cortesemente insistito affermando che sarebbe bastata una decina di minuti, allora abbiamo accettato.

Le signore ci hanno guidato lungo una cala ripida e attraverso i corridoi silenziosi e oscuri, regalandoci particolari sulla storia dell’edificio, sulle ipotesi degli studiosi, sui lavori di ripristino, sui reperti ritrovati durante gli scavi raccontando con competenza e passione e rispettando al minuto il tempo che avevamo a disposizione.

E’ bello incontrare persone appassionate e desiderose di condividere la loro passione: abbiamo bisogno di persone così.

Grazie di cuore.

Oltre il buio.

Immaginate sei ragazzini di seconda media muoversi a tentoni nel buio più nero del nero, con l’aiuto di un bastone, delle mani e degli altri sensi, guidati dalla voce sicura e rassicurante di una accompagnatrice della quale è impossibile conoscere il volto e l’aspetto, si può solo cercare di immaginare.

Immaginate le loro voci un po’ emozionate, impaurite forse, con i toni troppo alti e le battute un po’ stupide che tradiscono un nervosismo che vorrebbero poter nascondere nel buio.

E immaginate la loro gioia nello scoprire un oggetto, le forme, i rumori, i profumi, la gioia di scoprire che ciò che si vede con gli occhi è solo un aspetto della conoscenza della realtà.

Questo è “Dialogo nel buio“: un’esperienza multisensoriale, un gioco per sperimentare un diverso modo di vedere.

Sono contenta che i miei ragazzi oggi abbiano avuto l’opportunità di vivere questa esperienza.

Piccoli gioielli segreti.

Le nostre città d’arte sono scrigni preziosi e lo sanno bene le migliaia di turisti che ogni giorno le visitano: è fin troppo facile farsi prendere dalla bellezza di chiese, palazzi, monumenti tanto celebri da essere entrati nell’immaginario collettivo.

E poi ci sono i piccoli gioielli segreti, quelli che non attirano tanto l’attenzione, ma che possono donare l’immenso piacere della scoperta.

Nella nostra ultima toccata e fuga a Venezia abbiamo dedicato la mattinata ad una visita un po’ più attenta al Ghetto e alle sue sinagoghe, nascoste negli antichi palazzi, speso identificabili solo grazie ad una teoria inusuale di finestre o a una piccola cupola che spunta fra i tetti.

Il Ghetto è quieto e silenzioso, un po’ defilato rispetto al flusso inarrestabile dei visitatori diretti a Rialto o a San Marco, ma offre angoli deliziosi, carichi di storia.

Abbiamo visitato le sinagoghe con una guida appassionata e competente che, visto che eravamo solo noi due, si è attardata a descriverci i più minuti particolari ricreando davanti ai nostri occhi la storia della comunità ebraica veneziana.

E’ stata un’esperienza ricca di suggestioni, una cosa rara e preziosa.

Venezia Sinagoga

Sono tornata.

Torno a questo blog dopo molti giorni di latitanza, ma sono stati giorni così intensi da non lasciarmi neppure il tempo di respirare.

Innanzitutto lunedì corso è arrivato a casa mia un amico che non vedevo dal 1979: allora era un ragazzo che viveva a Berlino est e che potevamo incontrare solo attraversando il muro o viaggiando insieme in paesi come la Polonia, l’Ungheria o la Cecoslovacchia (sì perchè allora c’erano due Germanie e una Cecoslovacchia).

E’ molto difficile spiegare cosa abbia significato per me questo tuffo nel passato, è difficile comprendere la strana sensazione di essere sbalzati indietro nel tempo, di ritrovarsi giovani in un corpo che non lo è più, di comunicare con una strana lingua babelica fatta di inglese, italiano e tedesco usati un po’ a casaccio, di raccontarsi in poche ore una vita nel tentativo di saldare passato e presente.

E poi giovedì, mio marito ed io, siamo partiti per una fuga a Vicenza (con una breve puntata a Venezia) e ci siamo ritrovati in quella dimensione un po’ sospesa che è l’esperienza del viaggio in cui il tempo diventa elastico e si allenta e si accorcia a seconda dei momenti

Ora, tornata a casa e all’oggi, qui e adesso, posso fermarmi e trovare il tempo giusto per riassaporare il senso di questi giorni intensi.

Venezia

Non solo partire.

Il compagno della mia vita ed io siamo sempre stati dei viaggiatori incalliti: di noi si diceva che avevamo la valigia sempre pronta sotto il letto visto che non perdevamo un’occasione, nonostante il lavoro, la famiglia, le scarse disponibilità economice, per andarcene a zonzo.

Oggi viaggiare è diventato un po’ più difficile: siamo un po’ più anziani, siamo un po’ meno sani e, a causa della grave infermità di mia madre, ogni viaggio richiede un accurata programmazione per riuscire a conciliare il mio tempo libero (il marito pensionato non ha problemi) con gli impegni della badante, le visite mediche etc.

Riusciamo, tuttavia, a ritagliarci qualche giorno ogni mese per darci alla fuga.

Si tratta di viaggi brevissimi, in località a portata di mano, raggiungibili con pochissime ore di treno (sia benedetta sempre l’alta velocità), ma che ci permettono di socchiudere una piccola finestra nel trantran della quotidianità.

Il viaggio, però, comincia molto prima della partenza.

Prima di tutto c’è la scelta della meta e in questo accettiamo suggerimenti da un articolo di giornale, da trasmissioni come “Sereno variabile, dal racconto di un amico.

Poi viene la scelta dell’albergo che deve essere comodo, non necessariamente lussuoso, abbastanza vicino alla stazione e in questo mi viene in aiuto la rete.

Espletata la fase “prenotazioni varie” cominciamo a studiare itinerari e a leggere libri e guide turistiche per poter cogliere, pur nella brevità del viaggio, l’essenza dei luoghi che andremo a visitare.

Poi c’è la fase “preparazione del bagaglio” che deve essere leggero, comodo da trasportare (visto che lo devo trascinare io), ma completo (se in viaggio dovessero assegnarci il Nobel per la pace non mi troverebbero impreparata).

Alla fine si parte, ma questo è solo un dettaglio.

(Per la cronaca Giovedì prossimo, in occasione della chiusura della scuola per il carnevale, andremo a Vicenza)

Milano Stazione Cadorna

Il Pecorino, questo sconosciuto.

Ha fatto scalpore la notizia della pubblicazione sul sito del Miur di un bando della facoltà di agraria di Firenze nel quale il nome del celebre formaggio viene tradotto (ma a chi verrebbe in mente di tradurre il nome di un formaggio?) in inglese con una espressione che definire “imbarazzante” sarebbe un gentile eufemismo.

Quando la smetteremo di fare figuracce planetarie?

Sul sito è comparso un articolo nel quale ci si scusa per questo e altri strafalcioni e questo mi sembra un buon segno visto che, in occasione di recenti neutriniche cantonate,  ci si era arrampicati sugli specchi per dimostrare l’indimostrabile, tuttavia, mi sembra il caso di metterci un po’ più di attenzione.

Sanremo.

Ieri sera non ho visto il festival (avevo una riunione), questa sera gioca il Milan e, almeno fino al novantesimo minuto, di cambiare canale non se ne parla, nei prossimi giorni mi troverò qualcosa di meglio da fare.

Oggi ho letto qualcosa sulla performance di Celentano, ho sentito le solite critiche sulle canzoni, e, mentre bevevo il caffè, i commenti di tutti coloro che affermavano di non aver visto il festival, pur essendo informatissimi su tutti i particolari.

Come ogni anno si ripete un fenomeno che ha del paranormale nessuno vede il festival, ma l’auditel sforna statistiche da urlo.

Quando ero una giovane liceale, in zona ’68 o giù di lì, faceva “figo” snobbare Sanremo, anche se allora le alternative erano pochine: o vedere il secondo canale (solo due erano ai tempi) o buttarsi sulla traduzione di Tacito per portarsi avanti con i compiti.

Ricordo che, durante il viaggio interminabile in autobus, tutti noi (che affermavamo scandalizzati di non aver visto il festival) dissertavamo con incredibile competenza della pochezza delle canzoni, persino durante l’edizione in cui fu presentata “Un’avventura” cantata da un giovane Lucio Battisti in coppia con un immenso Wilson Pickett.

Questa volta, però, non l’ho visto davvero!

La signora Auditel è pregata di prenderne nota.

Scelta responsabile.

Gli ultimi giorni di agosto del 1960 la radio diffondeva una canzoncina, dal sapore vagamente marziale, dal titolo “Welcome to Rome” (cantata, credo, da Joe Sentieri) era la sigla ufficiale dei giochi della XVII Olimpiade (quella di Roma per intenderci).

Io avevo sette anni, ero in vacanza fra le mie montagne (allora le vacanze duravano fino alla fine di settembre, visto che la scuola iniziava nel mese di ottobre) dove non si vedeva la televisione, canticchiavo il motivetto orecchiabile, ma di giochi olimpici capivo poco.

Solo più tardi mi sarei affezionata ai personaggi come Berruti, che taglia il traguardo con gli occhiali ben piantati sul naso, o Abebe Bikila che corre a piedi nudi sui sassi antichi della città eterna.

Quella del ’60 fu un’Olimpiade dal sapore quasi epico, ammantata dall’inevitabile retorica, stile cinegiornale dell’Istituto Luce, che allora era ancora in voga.

Per una decisione, che io ritengo seria e responsabile, del nostro Governo, Roma non si candiderà ad ospitare l’Olimpiade del 2020: forse non è più il tempo delle imprese epiche, ammantate di retorica, forse è il momento di lavorare con sobrietà per contribuire a ricostruire questo Paese.

Meglio la partita.

Da un po’ di tempo a questa parte tra campionato, coppe assortite, anticipi, posticipi e recuperi ho l’impressione che, ogni sera, ci sia come minimo una partita in televisione o almeno questo è quello che mi fa credere il compagno della mia vita.

In realtà la faccenda mi appassiona così poco che non ho ancora metabolizzato l’idea che non si giochi solo alla domenica e, qualche volta,  al mercoledì la Coppa dei Campioni (esatto per me si chiama ancora “Coppa dei Campioni”).

Essendo milanista (più per tradizione di famiglia che per convinzione) se non gioca il Milan mi disinteresso completamente della partita così come, in genere, mi disinteresso di molte delle cose che trasmette il maledetto elettrodomestico (sto parlando della televisione, non della lavatrice naturalmente).

In questo momento, per esempio, stanno affannandosi in campo il Siena e la Roma

Durante l’intervallo il compagno della mia vita si abbandona ad un po’ di zapping e così do un’occhiata distratta a ciò che succede sulle altre reti (naturalmente televisive).

Su Rai2 imperversa “L’isola dei famosi”, su Canale 5 impazza il “GF 12”:  praticamente i palinsesti, con una originalità che sfiora l’avanguardia pura, ci offrono i reality a reti unificate.

Decisamente meglio la partita.

Una spolverata di neve.

L’ennesima ondata di gelo siberiano ha investito solo di striscio Milano: fa freddissimo, ma la neve caduta nella notte è veramente solo una spolverata sottile che regala alla città un fascino fatato, senza quei disagi al traffico che precipitazioni più abbondanti avrebbero inevitabilmente provocato.

Oggi era prevista una uscita didattica di sapore leonardesco: le macchine del genio di Vinci al museo della scienza e della tecnologia, il soffitto della Sala delle Asse al Castello Sforzesco e, naturalmente, il Cenacolo.

Visto che la prenotazione del Cenacolo, per sessata ragazzi, richiede un largo anticipo e estenuanti telefonate sarebbe stato impensabile rimandare e quindi, nonostante i gelo e il nevischio, ci siamo avventurati in città.

Così abbiamo potuto godere dello spettacolo della città ammantata di bianco, con le fontane ghiacciate e i tetti immacolati.

Abbiamo sofferto un gran freddo, ma siamo stati abbondantemente ripagati.

Milano sotto la neve