Archivio mensile:Ottobre 2008

Che bel film!

In un mondo invaso da ziggurat di immondizia, desolato e battuto da tempeste di sabbia, il piccolo Wall-E continua solerte il suo lavoro, si relaziona con un insetto praticamente indistruttibile, colleziona paccottiglia e guarda il cielo.

Dal cielo arriva Eve, bianca colomba ipertecnologica, inviata dalla gigantesca astronave, un po’ stile “Star Wars” un po’ arca di Noè, in cerca di un indizio di vita che permetta al genere umano di ripopolare la terra.

Intanto il genere umano, imbarcatosi sull’astronave per un viaggio quinquennale, da settecento anni non ha fatto ritorno: gli uomini e le donne sono incredibilmente grassi, incapaci di muovere un passo, incapaci di guardarsi attorno, di comunicare, di vedere.

Grazie ai due robot, fra i quali intanto è sbocciato un umanissimo sentimento, tra una strizzata d’occhio a “Titanic” e una citazione di “2001 Odissea nello spazio” l’umanità riuscirà a ritrovare la strada di casa.

Come tutti i film della Pixar offre diverse chiavi di lettura: è un cartone animato per bambini che fa riflettere gli adulti.

Qualche volta succede….

“Ma ce n’è un’altra che mi piace pure: la maestrina della prima inferiore numero tre, quella giovane col viso color di rosa, che ha due belle pozzette nelle guancie, e porta una gran penna rossa sul cappellino e una crocetta di vetro giallo appesa al collo. E’ sempre allegra, tien la classe allegra, sorride sempre, grida sempre con la sua voce argentina che par che canti, picchiando la bacchetta sul tavolino e battendo le mani per impor silenzio; poi quando escono, corre come una bambina dietro all’uno e all’altro, per rimetterli in fila; e a questo tira su il bavero, a quell’altro abbottona il cappotto perché non infreddino, li segue fin nella strada perché non s’accapiglino, supplica i parenti che non li castighino a casa, porta delle pastiglie a quei che han la tosse, impresta il suo manicotto a quelli che han freddo; ed è tormentata continuamente dai più piccoli che le fanno carezze e le chiedon dei baci tirandola pel velo e per la mantiglia; ma essa li lascia fare e li bacia tutti, ridendo, e ogni giorno ritorna a casa arruffata e sgolata, tutta ansante e tutta contenta, con le sue belle pozzette e la sua penna rossa.“(da Cuore di Edmondo de Amicis “Le maestre” 17 dicembre sabato)

Poi qualche volta succede che persino la Maestrina dalla Penna Rossa, nonostante l’entusiasmo e la passione, si stanchi di essere considerata solo una spesa superflua o peggio uno spreco e decida di scendere in piazza.

Oggi c’è lo sciopero generale della scuola.

E’ andata.

Il tanto vituperato, temuto, criticato, interpretato, frainteso, esecrato, aborrito, condiviso, applaudito decreto (non riforma, per cortesia) Gelmini è ufficialmente legge dello Stato.

Come tutti i decreti e le riforme che investono la scuola ha lasciato e lascia perplessi, ma la scuola è tradizionalmente capace di adeguarsi a tutto, nel bene e nel male.

Ora staremo a vedere le conseguenze dell’introduzione del maestro unico, staremo a vedere se il tempo pieno verrà mantenuto, come tutti si sono affrettati a proclamare, o si trasformerà in un doposcuola (di antica memoria) che ha più una funzione di custodia dei minori, che una valenza educativa.

Forse non ne risentirà la quantità del tempo scuola, ma “solo” la qualità o forse no, lo scopriremo solo vivendo, forse tutti quelli che hanno protestato e sono scesi in piazza non hanno veramente capito nulla e verranno clamorosamente smentiti dalla storia o spazzati via dall’oblio che, in questi nostri giorni, tutto macina e nasconde.

Forse dal prossimo anno scolastico scopriremo di riuscire ad elevare la qualità della scuola pubblica con meno risorse e ci sentiremo tutti più virtuosi e più ricchi, tutto sarà ordinato, col voto di condotta sparirà il bullismo (ma come abbiamo fatto a non pensarci prima?) sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno, anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno.

Invidio chi, nei giorni scorsi, ha elogiato il decreto dicendosi assolutamente sicuro dei suoi effetti benefici sulle finanze dello Stato e sulla qualità dell’educazione, invidio chi ha solo certezze, io non ci riesco, io mi faccio sempre delle domande, ma forse appartengo ad una “vecchia scuola”.

Io, per ora, mi tengo tuti i miei dubbi e i miei scetticismi e mi siedo sulla riva del fiume in attesa di veder passare le conseguenze, spero solo di non dover ripetere, come già mi è capitato in passato, “l’avevo detto io”.

scuola

Malinconia.

Guardo il cielo bianco e uniforme, il selciato umido invaso dalle foglie multicolori portate dal vento: l’autunno è proprio arrivato, forse un po’ in ritardo sullo scorso anno, ma ormai è qui.

Sarà il cambio dell’ora che ha portato tenebre fredde e precoci, sarà l’avvicinarsi di novembre, ma sento il desiderio di mandare in letargo il corpo e la mente, l’esigenza di raggomitolarmi come un gatto sorseggiando caffè caldo percorsa da un sentore di ozio che, peraltro, non posso assolutamente permettermi.

Quando ho un po’ di tempo, prima che venga buio, me ne vado in fondo al paese, nell’angolo di terra dove riposano tanti che ho conosciuto e che non sono più, mi siedo sul muretto davanti alla lapide di mio padre e mi sembra di ritrovarlo, così com’era, sorridente davanti alle sue montagne che gli fanno da sfondo, cristallizzato nel momento felice di una passeggiata insieme tra i boschi e sento crescere dentro un’acuta malinconia per quel passato ormai così lontano, per le cose che si potevano dire e che ormai non ci diremo più, per i fili lasciati in sospeso.

Non è proprio dolore, il mio, è piuttosto un sentimento di privazione e di vuoto.

foglia

Per i miracoli ci stiamo attrezzando.

Come responsabile delle “nuove” (sic) tecnologie dell’istituto spesso e volentieri mi capita di dover far ripartire i nostri carrettoni antidiluviani: alcune macchine sono state acquistate sette o otto anni fa (il ricordo si è perso nella notte dei tempi) e allora, come succede sempre per l’hardware, “sembravano” macchine avveniristiche e continuarono a sembrare tali per almeno dieci minuti, basti pensare che, come sistema operativo, avevano istallato “Windows Me“.

Inutile dire che oggi lavoriamo con dieci o nove (a seconda dei giorni e della luna) macchine che definire obsolete è un simpatico eufemismo, macchine sulle quali cercano di imparare il disegno geometrico o di navigare in rete o di creare la presentazione di una ricerca quasi due centinaia di ragazzini i quali, a casa loro, hanno computer sicuramente più recenti (più antichi mi sembra difficile).

D’altra parte stare al passo con le tecnologie e il progresso è un’impresa ardua per chiunque,  ma per una scuola media è addirittura una misione impossibile (visti gli stanziamenti statali e non a disposizione) anche se qualche volta possiamo contare su qualche munifico sponsor che ci rifila “regala” i pc dismessi.

E così si tira avanti arrabattandosi come meglio si può, visto e considerato che l’informatica è entrata a far parte dei programmi, si entra in laboratorio chiedendosi quante e quali macchine si accenderanno, quali si bloccheranno sul più bello impedendo di salvare il lavoro di un’ora, quali si rifiuteranno categoricamente di collegarsi al server dove sono conservati i dati necessari per avviare qualsiasi attività.

Quando riesco a far ripartire un pc che proprio non voleva saperne mi sento un po’ “l’ingegnere dei miracoli“.

E due!

Oggi questo blog compie due anni, due anni durante i quali per me è stato un appuntamento quasi quotidiano, una finestra aperta sulla blogosfera, un’occasione preziosa di incontro e di scambio di opinioni.

Ringrazio i lettori affezionati di ieri e di oggi, alcuni dei quali, nel corso dei mesi, sono diventati amici, ringrazio anche coloro che, capitati qui per caso, guidati da un motore di ricerca, hanno lasciato una traccia del loro passaggio in un commento o in un messaggio personale.

Mi piace stare qui, qui si sta bene

Sono stufa!

Sono stufa di vedermi applicare etichette da chi non mi conosce, sono stufa delle generalizzazioni, dei giudizi approssimativi, dei salotti dove si discute di tutto partendo dalla banalità del pregiudizio, senza un reale desiderio di approfondire e comprendere.

Qualche mese fa, in quanto blogger, mi sono sentita definire come una persona fragile, potenzialmente pericolosa, persa in una disperata ricerca di autostima e di visibilità.

Negli ultimi mesi, in quanto insegnante, mi sono sentita definire stanca e depressa, nella migliore delle ipotesi, e fannullona nella maggioranza dei casi.

Ultimamente i media hanno scoperto facebook (come al solito tutti insieme, come al solito in ritardo) e allora come utente, non particolarmente attiva per fortuna, ho scoperto di essere una persona sola, incapace di relazioni “vere”, in perpetua fuga dalla realtà.

Ma basta!

Quel particolare profumo.

Avete mai provato a sfogliare un libro tanto vecchio da essere considerato antico?

Nella mia vastissima biblioteca ce ne sono alcuni, preziosissimi (almeno per me) che hanno più di cent’anni, le pagine ingiallite e fragili, scampati ai bombardamenti, alle devastazioni di una guerra mondiale, conservati gelosamente e arrivati fino a me in un passaggio di mani premurose, libri che stavano nel salotto della mia bisnonna, libri della prozia che vantava quarti di nobiltà e frequentazioni con il bel mondo milanese dell’inizio del ‘9oo.

Quando li apro, con infinita attenzione, come quando, da studente, all’Ambrosiana, avevo la fortuna di consultare codici plurisecolari, mi arriva un profumo particolare, di muffa e di chiuso, di umidità e di infinite stagioni trascorse, un profumo che sa di storia e di civiltà.

Lì dentro non ci sono solo nozioni, magari ironicamente superate dal volgere degli eventi e dal progresso, c’è anche una tradizione di amore per la lettura e di rispetto per la pagina scritta che ha attraversato la mia famiglia per decenni, di generazione in generazione.

Ed è con immenso piacere che osservo, di tanto in tanto, mio figlio il quale, abbandonato per un momento il lettore di e-book supertecnologico che porta sempre con sè, sfoglia con un’attenzione assorta, la stessa che aveva mio padre, quei vecchi volumi.

Allora so che questa tradizione che ci portiamo dentro da sempre non andrà perduta.

Sorpresa!

Sono così abituata, in questi giorni, a sentirmi ripetere intorno che la scuola italiana fa pena, non insegna niente, sforna ignoranti “a manetta” che rischio di farmi suggestionare anch’io, così quando, come oggi, la giornata scorre straordinariamente liscia e i ragazzi dimostrano di aver voglia di apprendere e di impegnarsi va a finire che mi stupisco.

Li guardo mentre ascoltano attenti, composti, silenziosi o alzano ordinatamente la mano per dire la loro e mi stupisco, poi mi stupisco del mio stupore: i miei ragazzi, in fondo, sono quasi sempre così.

La polemiche e le discussioni degli ultimi giorni hanno sortito l’effetto di rendermi più esigente del solito (e di solito sono molto esigente con me stessa e con i ragazzi) e loro mi stanno dietro, magari arrancando un po’, magari chiedendosi cosa diavolo sia successo, ma non perdono un colpo.

Io li osservo: sanno sempre sorprendermi positivamente con la loro capacità di dodicenni di ragionare su idee più grandi di loro.

Incontri.

L’altra sera, in una delle mie rare incursioni in un centro commerciale, mi sono fermata a mangiare un panino in un fast food; mi capita raramente di farlo, ma quando ho fretta e sono a stomaco vuoto da parecchie ore non guardo tanto per il sottile.

Alla cassa, solitamente, ci sono delle ragazze e dei ragazzi svelti, precisi, professionalmente inappuntabili che, quasi senza alzare lo sguardo, ricevono le ordinazioni, preparano il vassoio, ritirano il denaro e si dedicano, gentilissimi, ma freddi, al cliente successivo.

In una parola sono efficienti e cortesi, ma nulla di più, d’altra parte chi cerca un rapporto umano alla cassa di un fast food?

L’altra sera, invece, alla cassa c’era una ragazza, evidentemente disabile, che ha alzato lo sguardo e, probabilmente contravvenendo ad una regola non scritta, mi ha rivolto la parola sorridendo e mi ha chiesto conto della frase ricamata sulla mia felpa, alla mia risposta ha cominciato a chiacchierare amabilmente strappandomi, nonostante la fretta e la stanchezza, un sorriso un po’ stupito.

Per una volta ho avuto la netta sensazione di avere a che fare con un essere umano, magari non efficiente e professionale, ma sicuramente “umano”.