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Blogger a settant’anni.

In realtà, visto che il mio blog ha compiuto da poco diciassette anni, quando ho iniziato a scrivere i miei post non ero proprio una ragazzina, ma, nel frattempo, il blog è invecchiato e io pure, anzi… di più.

Non ho mai avuto grandi pretese di pololarità, non desideravo e non desidero tuttora diventare un’influencer, ma mi fa piacere quando qualcuno legge le mie righe e, magari, me lo fa sapere, o mi rimprovera bonariamente quando sto tanto tempo senza scrivere.

All’inizio scrivevo soprattutto di scuola, visto che la scuola occupava una grande parte della mia vita poi, dopo essere andata finalmente in pensione, ho cominciato a parlare dei miei viaggi, dei musei che mi piace visitare, delle mie letture, dei film, della musica e di tutte le piccole grandi esperienze che ora occupano la mia vita.

Scrivere il mio blog era ed è un buon modo per riflettere, per fare chiarezza, per pensare e per ricordare.

Per questo consiglio anche ai miei coetanei di frequentare la rete, di essere social, ma con attenzione, con il desiderio di conoscere, di comprendere la complessità di ciò che ci circonda, di decodificare i linguaggi, di non farsi ingannare dalle mille voci discordanti che circolano liberamente.

Essere social può essere utile e interessante, ma bisogna ricordare sempre che se, come una volta, “l’ho sentito in tv” non era una garanzia di verità, anche “l’ho letto in internet” non sempre è dà la certezza dell’affidabilità.

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Videogame.

Abbiamo provato, in classe, qualche simulazione di prova Invalsi online e, dopo un iniziale momento di sconforto di fronte alle difficoltà delle domande di grammatica e alla lunghezza del test, i ragazzi si sono un po’ rincuorati quando hanno scoperto che la prof. (in uno dei suoi sempre più frequenti momenti di “imbranamento”) aveva erroneamente caricato una prova delle scuole superiori.

Sì perché quest’anno la prova Invalsi si svolgerà in aprile (e non durante l’esame), ma soprattutto, novità delle novità, i ragazzi dovranno rispondere alle domande direttamente sui pc (il che, per dei nativi digitali, dovrebbe essere solo un vantaggio).

Che dire?

Speriamo che tutto funzioni, che la connessione regga, che il server non si intasi e che la prova si svolga in modo regolare,per lo meno per quanto attiene alla parte tecnica della situazione, per il resto bisogna fidarsi dei nervi saldi dei ragazzi e di quanto hanno imparato in questi anni.

Io mi sono limitata a consigliare loro di utilizzare le prove come dei videogame, come delle sfide in cui cimentarsi (magari con i compagni) giusto per prendere confidenza con i test, per velocizzarsi un po’, per imparare a controllare la paura.

Comunque in bocca al lupo ragazzi.

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Mai dire “mai”

Quando, meno di un anno fa, ho dovuto acquistare uno smartphone per poter utilizzare la mia identità digitale (lo Spid per intenderci) pensavo che non sarei mai riuscita a servirmi dell’aggeggio incriminato: “schermo troppo piccolo”, mi dicevo “… e polpastrelli troppo imbranati per usare la tastiera”.

Poi ho imparato e, adesso, faccio fatica persino a ricordarmi come riuscissi a sopravvivere nella mia vita precedente.

Ma la vita è sempre ricca di sorprese e, dopo aver realizzato che il portatile è un po’ troppo ingombrante per viaggiare con me mentre lo smartphone è un po’ troppo minuscolo per permettermi di leggere i documenti che ho bisogno di leggere, mi sono resa conto che sarebbe stato interessante entrare in possesso di un “tablet”.

E allora tablet sia.

E’ entrato in casa mia in punta di piedi, abbastanza leggero da stare in borsetta, con lo schermo abbastanza grande da non attentare alla mia vista, con una penna che mi permettere di prendere appunti senza usare la tastiera (ricorda quasi una “tabula” la tavoletta ricoperta di cera e dotata di stilo su cui scrivevano gli antichi romani).

E così mi trovo circondata da macchine che dialogano fra loro in modo abbastanza inquietante, qualche volta anche indipendentemente dalla mia volontà: si scambiano testi, immagini, e forse (chissà?) anche pensieri, idee, sensazioni.

Questa vita 2.0 mi affascina, ma un po’ mi spaventa… anche.

 

Pulizie di (quasi) primavera.

Il portatile nuovo è sul tavolo, lustro e velocissimo anche perché inesorabilmente vuoto.

A poco a poco carico i programmi che sono abituata ad usare, le icone familiari compaiono sulla barra del desktop.

Di fianco c’è un hard disk esterno con tutti i file che da secoli ho accumulato sul vecchio portatile (andato a riposo dopo anni e anni di onorato servizio) e adesso mi tocca l’ingrato (o grato) compito di fare un po’ di ordine tra tutti quei documenti, quelle immagini, quei testi, magari solo abbozzati e lasciati lì, in attesa di tempi migliori.

Ogni file mi riporta indietro, anche di parecchi anni, ritrovo relazioni finali e piani di lavoro di classi ormai uscite dalla scuola da tanto tempo, rileggo i nomi e rivedo i volti, e sento le voci, e mi vengono in mente episodi buffi.

Ogni foto mi ricorda viaggi e momenti felici e luoghi di grande bellezza.

E’ incredibile che anche fare pulizia in un vecchio hard disk possa essere un’occasione per lasciarsi andare ai ricordi.

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Neologismi.

Dematerializzazione è il vocabolo che gira a scuola in questi giorni, dematerializzazione è un vocabolo un po’ inquietante (la somiglianza con “smaterializzazione” è fin troppo evidente) che, in buona sostanza, per noi significa la scomparsa del buon vecchio registro cartaceo sostituito dal registro digitale.

Dematerializzazione significa risparmio di carta e inchiostro (sembra poca cosa, ma provate a moltiplicare il poco per tutte le scuole italiane).

A prima vista potrebbe sembrare una cosa buona e giusta se, per esempio, nel nostro istituto la connessione wi-fi funzionasse in modo decente e non si incontrassero nei corridoi personaggi con lo sguardo spiritato e il tablet o l’iphone proteso verso il cielo in cerca di non si sa bene cosa.

Sarebbe un’innovazione geniale se i computer posizionati in ogni classe (per gestire le lim) non fossero antidiluviani e dalla vita precaria (forse più precaria dei docenti precari stessi).

Ho l’impressione che, per quanto mi riguarda, la dematerializzazione significherà annotare su fogli e foglietti assenze e voti e poi aggiornare il registro a casa, alla sera, con il mio pc e la mia connessione.

Perchè ho sempre l’impressione che, nella scuola italiana, si vogliano fare le nozze con i fichi secchi?

Disintossicarsi almeno un po’.

Mi piace, quando sono in vacanza, concedermi i piccoli lussi che, durante l’anno scolastico, mi sono preclusi: mi piace uscire quando voglio, passeggiare lentamente, sedermi al bar (o su una panchina se l’ultimo acquazzone l’ha lasciata praticabile) a leggere il giornale, cucinare qualcosa che richieda più di un quarto d’ora del mio preziosissimo tempo, fermarmi a chiacchierare oziosamente con qualche amico (o conoscente).

Mi piace dilatare i tempi senza la schiavitù dell’orologio, e mi piace persino, con tutta questa abbondanza di tempo che mi è stata regalata, non trovare il tempo per accendere il computer.

In vacanza imparo, a poco a poco, a disintossicarmi da tutte le mie abitudini frenetiche: non casca il mondo se per sei ore non controllo la posta elettronica o non sfoglio un giornale online, non casca il mondo se non sono aggiornatissima sugli ultimi sviluppi della politica planetaria o sugli ultimi tweet di amici e parenti.

Fare i conti con una connessione non velocissima (e a traffico limitato) mi aiuta a risistemare le mie priorità: per questo motivo probabilmente questo blog non sarà aggiornato sempre puntualmente.

Mi sto disintossicando.

Digitalizzando.

Udite, udite:  da settembre entreranno in vigore i registri digitali.

Basta con i quintali di carta, basta con i vecchi registri (branditi come una clava nella quotidiana impari lotta tra insegnanti e studenti), basta con l’appello fatto scorrendo l’indice lungo una teoria di nomi.

La scuola italiana finalmente si modernizza.

Peccato che, come al solito, si tenti di fare le nozze con i fichi secchi: se non ci sarà, da settembre, un pc (o un tablet) su ogni cattedra gli insegnanti dovranno munirsi di un numero spropositato di fogli e foglietti dove prendere appunti provvisori che poi dovranno riversare, in un secondo momento, nel computer preposto alla bisogna allogato, immagino, in aula professori (logicamente non in orario di servizio).

E che dire delle prove di evacuazione?

Bisognerà fare l’appello dei presenti a memoria? o trascinarsi appresso il pc?

Qualche dirigente paventa anche una scarsa dimestichezza con il mezzo da parte del personale docente (il che non è del tutto escluso), ma io temo che il vero problema sia infrastrutturale.

Chi mi conosce sa che non ho problemi nell’uso del computer, sa che ho imparato a gestire la Lim con entusiasmo, sa che ormai leggo praticamente solo e-book (anche a scuola): in sostanza io sono una fautrice delle “nuove” tecnologie, ma solo quando mi semplificano la vita.

Se me la complicano o mi obbligano ad un lavoro supplementare il mio gradimento crolla.

Io sto con Emma.

Intendiamoci: in molti casi sono una fan accanita di tutti quei giochini tecnologici che possono semplificarci la vita infatti uso un ebook-reader (che mi permette di leggere ovunque senza trascinarmi appresso volumi pesantissimi) e a scuola non riuscirei più a fare a meno della LIM (che mi permette di organizzare le lezioni con immagini, schemi, filmati e link e mi consente di salvarle e condividerle con i miei allievi).

Grazie al portatile prenoto alberghi, acquisto biglietti per il treno, interagisco con la pubblica amministrazione e in molti casi la mia vita risulta semplificata.

Tuttavia sto dalla parte di Emma.

Emma è una donna intelligente, accudisce la prole, ma dedica il tempo anche alla lettura e ai giochini di logica matematica, si occupa dell’amministrazione della casa e del lavoro anche se, probabilmente, preferisce ancora usare la carta, leggere un libro o un giornale con pagine di carta, disegnare con il suo bimbo su fogli di carta, incollare post-it sul frigo, piuttosto che usare un tablet.

Emma ha un solo difetto: un marito ipertecnologico e leggermente rompiscatole che non perde occasione per irridere la sua propensione all’uso del supporto cartaceo e che non capisce che, qualche volta, la carta può essere indispensabile.

Per questo solidarizzo con Emma e, all’occasione, mi comporterei proprio come lei.

L’affidabilità della rete.

Ieri, mentre davo un’occhiata veloce alla posta, ho trovato una mail simpaticissima, apparentemente (ma neanche tanto) inviata dalla mia banca, che mi chiedeva di cliccare su un link (quasi identico a quello del servizio clienti, tranne che per un trattino) con un linguaggio tra il formale e l’amichevole.

Logicamente non mi sono lasciata trarre in inganno anche perchè il gioco era abbastanza scoperto, ma forse, in un momento di distrazione o di stanchezza avrei anche potuto abboccare.

Per ovviare a possibili guai mi sono data alcune regole: per esempio uso solo carte di credito prepagate, utilizzo password diverse per i servizi più delicati, non inserisco dati sensibili (a meno che non si tratti dei siti istituzionali) e tanti piccoli accorgimenti (che non sto a raccontare) che fino ad ora mi hanno permesso di evitare spiacevoli sorprese.

Che la rete non sia assolutamente sicura e priva di rischi è fin troppo evidente, che i sistemi possano essere violati è altresì evidente, perciò non mi scandalizzo e non mi stupisco che ci siano stati dei tentativi di violare le Quirinarie, non foss’altro per dimostrare che non esistono sistemi sicuri al cento per cento.

Credo che la democrazia in rete abbia ancora tanta strada da percorrere.

 

La rete non mente.

Sta girando su Facebook un post, creato evidentemente da qualche simpaticone in vena di goliardate carnascialesche, che  avverte della chiusura del sito per “manutenzione server” nei giorni 29, 30 e 31 febbraio.

Logicamente l’avviso  è accompagnato dall’invito a condividere il messaggio  dandogli la massima diffusione in modo che tutti possano essere informati della ferale notizia.

Che si tratti di una divertente bufala è evidentissimo, quello che mi ha fatto riflettere è che, a giudicare da qualche commento, qualcuno ha avuto il coraggio di prendere per buona (con conseguente paranoia) la notizia.

Questa piccola “parabola” ci dice che spesso il nostro approccio alla rete è distratto, superficiale, acritico e ci spinge a diffondere contenuti non sempre verificati e verificabili come fossero “vangelo”.

Un tempo bastava che una informazione comparisse sulla stampa per essere considerata genuina (“è scritto sul giornale” si diceva), poi è stata la volta della televisione (“l’ho visto in tv”), oggi la rete è diventata la depositaria della verità con una variabile in più: la diffusione delle panzane può diventare capillare, globale e veloce come la luce.