Luci (quasi spente) a San Siro

Quando ero bambina mio padre, a domeniche alterne, mi portava a San Siro (allora lo stadio Giuseppe Meazza si chiamava così) per veder giocare il Milan che era la sua (e la mia) squadra del cuore.

Allora la “Scala del Calcio” era di dimensioni più ridotte, non c’era infatti il terzo anello, le tifoserie erano mischiate e anche se capitava qualche litigio gli scontri erano solo verbali e i posti erano divisi tra “distinti” e “popolari”.

Per me le domeniche allo stadio erano una festa, anche se non capivo molto di calcio, perché mio padre per tenermi tranquilla mi comprava il gelato o l’aranciata (cosa che non capitava spesso in casa mia).

Nella prima giovinezza San Siro ha rappresentato per me la stagione dei concerti, la musica, lo stare insieme, il gusto di una libertà conquistata, i ritorni a casa fortunosi a bordo di una 500 completamente inaffidabile.

In seguito sono tornata qualche volta allo stadio con un’amica che aveva due abbonamenti (primo anello rosso) e, di tanto in tanto, condivideva con me l’emozione della partita, ma l’atmosfera era cambiata, rispetto alla mia infanzia, l’enorme catino, pieno di rumori e di fumo, era praticamente blindato e mi comunicava una sensazione vagamente inquietante.

Oggi, in vista della costruzione di un nuovo stadio, si parla insistentemente di abbattere San Siro e la cosa ha sollevato proteste da più parti perché San Siro non è solo uno stadio, ma è un simbolo della città, un luogo caro non solo a “bauscia e casciavit” , ma a quanti vivono Milano con la sua storia e le sue tradizioni.

Milano - Palazzo della Regione Lombardia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.