Qualche giorno fa si è spento in un ospedale romano Pingping, l’uomo più piccolo del mondo, diventato celebre, nel nostro paese, per la partecipazione allo “show dei record”.

Mi era capitato di vederlo, in uno dei miei annoiati zapping, e mi aveva sconcertato per l’ambiguità di fondo degli atteggiamenti suoi e degli altri protagonisti della trasmissione.

Era un uomo con la statura di un bambino, ma con lo sguardo da adulto, un essere umano in miniatura, trattato come una bambola o un pupazzo, con la voce pigolante e l’espressione ammiccante, un “fenomeno da baraccone” che suscitava una tenerezza vischiosa, pronta a mutarsi in derisione.

Mi infastidiva non tanto il personaggio, ma la situazione e, pur nel dispiacere per la morte di un essere umano e la pena per una vita che, ad onta della notorietà, non deve essere stata facile,  sono sollevata all’idea di non assistere più a performance che mi intristivano e mi imbarazzavano senza riuscire ad incuriosirmi o interessarmi.