Archivio mensile:Luglio 2009

Magico incontro.

Il bosco è pieno di presenze invisibili, quando si cammina lungo i sentieri si ha spesso l’impressione di non essere soli e non sto parlando di gnomi ed elfi, ma di tutti gli animali che lo popolano e che si mimetizzano, con estrema cautela, tra le foglie ed i cespugli.

Ogni tanto il fruscio insistente delle fronde o lo scricchiolio di un ramo spezzato attirano la mia attenzione, ma spesso riesco a cogliere solo un movimento veloce.

Ieri invece, camminando ai Piani dei Resinelli, con la coda dell’occhio ho scorto una macchia di colore che si confondeva tra le luci e le ombre del bosco, una macchia che si muoveva lentamente a pochi metri da me, quasi senza far rumore.

Mi sono fermata di colpo e ho aguzzato lo sguardo, tra le foglie brucava tranquillo un capriolo che non sembrava disturbato dalla mia presenza, anzi ha alzato la testa e mi ha fissato per un lungo istante, poi ha ripreso a brucare con la stessa tranquillità.

Ecco queste sono le magie del bosco che mi riempiono di stupore.

Piani dei Resinelli

Lezione di eleganza.

Il nostro ministro del turismo ha offerto alla coppia di turisti giapponesi che avevano pagato un conto salatissimo in un ristorante, durante la vacanza nel nostro paese, un soggiorno gratuito come risarcimento per la brutta esperienza.

I protagonisti della storia hanno opposto un cortese (cosa ci si poteva aspettare da due giapponesi?), ma fermo rifiuto spiegando che si sarebbe trattato di un inutile costo per le tasche dei cittadini italiani che, in fin dei conti, avrebbero finanziato, con le loro tasse, l’operazione.

Questo comportamento mi sembra estremamente elegante e penso che i due turisti abbiano dimostrato sensibilità e senso dello Stato: credo che, di questi tempi, comportamenti simili stiano diventando merce sempre più rara.

Se la realtà supera la fantasia.

Qualche anno fa, scherzando con un collega di matematica pugliese, lo incitavo ad imparare il dialetto milanese perché, dicevo, non si sa mai.

Facevamo esercizi di pronuncia e la mia frase preferita era “tri oeuf cot in sul foeugh”, frase che, a mio parere, condensa alcuni dei problemi di fonetica più ostici per un non-padano: ne risultavano effetti esilaranti che ricordavano una gag d’annata di Aldo, Giovanni e Giacomo.

Immaginatevi la mia sorpresa quando ho sentito annunciare al telegiornale la proposta di un fantomatico “esame di dialetto” per gli insegnanti (fantomatico anche il dialetto visto che, dalle nostre parti, paesetti che distano tre chilometri uno dall’altro hanno pronunce diverse per la stessa parola).

Fortunatamente oggi apprendo che si tratta di una “bufala” , ma, a pensarci bene, quasi quasi mi dispiace un po’: avrei avuto un futuro assicurato come formatore.

Anche oggi abbiamo timbrato.

Non si tratta della presenza sul lavoro (io sono in vacanza e mio marito in pensione) ma della tessera del Girarifugi, la manifestazione che ogni anno coinvolge rifugi, alpeggi e impianti dell’enel.

Si tratta di una tessera dove vanno apposti dei timbri ogni volta che si raggiunge un rifugio o un alpeggio poi, alla fine dell’estate, riconsegnando la tessera si possono ottenere dei premi.

In realtà non riconsegniamo mai la tessera, ma la timbriamo ugualmente: all’inizio di luglio andiamo a ritirare l’elenco dei rifugi aderenti e la cartina con i sentieri, poi studiamo le passeggiate cercando di raggiungere i luoghi che conosciamo di meno, alla fine la tessera, con tutti i timbri, diventa un souvenir dell’estate, viene riposta, con le altre degli anni scorsi, e ogni tanto ci serve per ricordare momenti felici, ascensioni massacranti, rifugisti ospitali o mangiate particolarmente memorabili.

Anche oggi abbiamo timbrato, al rifugio Riva, un rifugio del quale ho parlato in passato dove il panorama è stupendo, l’ospitalità è cordiale e il cibo genuino.

Un altro timbro, un altro ricordo.

Rifugio Riva

Ascoltar musica.

In un angolo del mio salotto c’è ancora un vecchio giradischi che ha, più o meno, la mia età, si tratta di una scatola di legno che, all’interno, cela il piatto, il braccio con la puntina (ancora miracolosamente funzionante), alcune manopole di foggia decisamente antiquata e il selettore dei giri: 16, 33, 45, 78.

Alla domenica pomeriggio spesso i fratelli di mio padre (con relativi fidanzati e fidanzate) venivano a casa nostra e ascoltavamo musica con quel giradischi che, allora, era un apparecchio all’avanguardia.

I settantotto giri erano dei dischi grandi, pesanti e fragilissimi, mio padre ne appoggiava uno sul piatto poi, tirando leggermente il braccio del pick-up il disco cominciava a ruotare, allora si doveva posare con delicatezza ( e mano ferma) la puntina nello spazio libero dai solchi e poi cominciava la musica che ascoltavamo in silenzio.

La canzone, accompagnata dagli immancabili fruscii e crepitii, riempiva l’aria e a me sembrava una macchina meravigliosa perchè non riuscivo a capire da che parte del complicato marchingegno si formassero le note e allora stavo lì, quasi ipnotizzata dal movimento circolare del diso, fino a quando la puntina andava a sbattere contro l’etichetta e il motore si fermava.

Oggi che ascolto la musica con il mio i-pod (senza fruscii e crepitii e senza comunque capire come funzioni il marchingegno) ho perso lo stupore di allora e non mi faccio più tante domande, ma l’incanto della musica resta.

Sereno.

E poi succede, dopo un temporale notturno, che la sorte ci regali una giornata tersa, con il cielo più azzurro che mai e il verde di prati splendente.

Succede anche che una brezza leggera e frizzante tenga lontana la foschia e che il cielo resti di un azzurro quasi trasparente anche nelle ore più calde.

E poi viene la sera e il cielo, se possibile, diventa ancora più limpido, con le montagne che si stagliano scure contro l’azzurro cupo che si accende di mille sfumature, mentre una falce di luna splendente si arrampica lungo i fianchi del monte.

Tutta quella bellezza, quella incredibile serenità ti entrano dentro e d’improvviso ti senti bene.

Valsassina

Alla Culmine.

Poco sopra il paese, percorrendo una strada di una mezza dozzina di chilometri, si raggiunge il passo Culmine di San Pietro (“la Culmine”, per gli autoctoni, detto così, al femminile).

La salita è abbastanza dura tanto è vero che da queste parti, nel mese di maggio, si è inerpicato il Giro d’Italia, il che ha sortito l’effetto di migliorare notevolmente il manto stradale.

Si sale tranquillamente in poco più di un’ora e ci si trova su una stupenda balconata sulla valle e sul Resegone, in mezzo a pascoli verdi popolati da placide mucche.

Sul passo c’è un’antica chiesetta e due ristoranti, uno dei quali ha un po’ più l’aspetto di un rifugio di montagna, così abbiamo optato per quest’ultimo, ci siamo seduti a un tavolino all’aperto in vista della vallata e delle montagne all’orizzonte e abbiamo chiesto un tagliere di formaggi e salumi.

Subito siamo stati raggiunti da una splendida bimba di tre anni, figlia dei gestori, vivace e spigliatissima con la quale abbiamo chiacchierato a lungo, mentre mangiucchiava alcuni ghiaccioli sottratti proditoriamente dal frigorifero vicino al bancone.

E’ stato uno spuntino delizioso, concluso con un caffè e con squisiti biscotti fatti in casa, al termine del quale, non senza qualche rammarico da parte della bimba (e da parte nostra), abbiamo ripreso la via di casa.

Culmine di San Pietro

Sognare non costa nulla.

Oggi c’è stata l’ennesima estrazione a vuoto del superenalotto, e il jackpot raggiunge la mostruosa cifra di 105 milioni (…e spicci) di euro.

Intorno al bar della valle dove è possibile tentare la fortuna non si parla d’altro e i discorsi ruotano intorno a ciò che ciascuno farebbe con tutto quel mucchio di soldi.

C’è chi garantisce che si darebbe alla fuga, chi (forse per attirarsi la buona sorte con un gesto generoso) promette che farà della beneficenza, c’è chi assicura che la vincita non gli cambierebbe la vita, chi elenca una lunga serie di acquisti, chi giura che manderebbe a quel paese il capufficio.

Intanto il numero dei giocatori aumenta e aumenta l’ammontare delle cifre giocate anche se, in realtà, basterebbe una combinazione da un euro (logicamente quella giusta) per fare il colpaccio.

Personalmente anch’io avrei tanti sogni da realizzare, ma forse, se voglio avere qualche possibilità, dovrei decidermi a provare a giocare.

Quella “mitica” estate.

L’estate del 1969 non fu solo l’estate della luna, ma anche l’estate di Woodstock, l’evento musicale e di costume del quale noi adolescenti di provincia forse non eravamo in grado di comprendere la portata, almeno non immediatamente, ma che ha influenzato il nostro gusto musicale negli anni seguenti.

Come molti della mia generazione avevo acquistato l’album con la registrazione del concerto e lo conservo ancora religiosamente.

Sulla copertina c’è una foto che è entrata nell’immaginario collettivo: una giovane coppia, in piedi, avvolta in una coperta, che si abbraccia teneramente, quasi il simbolo di quella pace e di quell’amore che Woodstock voleva rappresentare.

La buona notizia è che quei due giovani di quarant’anni fa sono ancora una coppia e in questi giorni sono stati fotografati di nuovo, avvolti in una coperta, un po’ più grassi, decisamente invecchiati, ma ancora abbracciati.

Non so perchè, ma la notizia mi ha dato tanta gioia.

L’innocenza perduta.

Mi ha profondamente colpito la notizia di un bambino napoletano pesantemente sbeffeggiato dai compagni (a quanto racconta la madre) in una scuola di Treviso perchè considerato “diverso”.

So per esperienza che i bambini non hanno pregiudizi poi, crescendo, assorbono dalla famiglia e dall’ambiente circostante modi di pensare, talvolta sbagliati, frutto di mentalità chiuse.

Così chi per i più svariati motivi è (o appare) diverso diventa bersaglio dei compagni: succede ai bambini stranieri, ai bambini portatori di handicap, ai bambini che provengono da altre regioni.

Dovremmo sempre ricordarci, quando parliamo con i nostri figli, che i nostri pensieri possono essere presi alla lettera, che i bambini non sanno leggere le sfumature di significato, ma tendono a dividere il mondo in buoni e cattivi, in giusti e sbagliati proprio in base ai nostri discorsi.

Quando parliamo con i nostri figli dobbiamo essere consapevoli delle grandi responsabilità che ci assumiamo.