Archivio mensile:Giugno 2011

Il secondo stipendio.

Che siano i più deboli a pagare la crisi purtroppo è evidente a tutti, ma che una impresa scelga, scientificamente, di licenziare solo il personale femminile mi sembra ingiusto oltre che vagamente incostituzionale.

Tanto quello che portano a casa le donne è il “secondo” stipendio (ammesso che in famiglia ce ne sia un “primo”), quello che serve per le spese superflue: le vacanze alle Maldive, per esempio, o un braccialetto da Tiffany per Natale.

Nella scelta su chi lasciare a casa la discriminante non sarebbe quindi la professionalità, o il merito, o la competenza, o l’esperienza, o l’anzianità, ma semplicemente il sesso (anche se l’azienda nega ogni forma di discriminazione).

Come era logico prevedere i lavoratori (quelli maschi per intenderci), in un primo momento, hanno aderito alle forme di protesta programmate, ma poi sono andati regolarmente a lavorare e, francamente, come si fa a biasimarli?

La crisi ha scatenato una guerra tra poveri e le difficoltà economiche sono un terreno poco fertile per l’equità e la solidarietà.

(Anche qui)

Sono stato frainteso.

Durante le ultime fasi della campagna elettorale del 2008, proprio durante l’ultimissimo appello agli elettori, l’attuale Presidente del Consiglio promise, a metà legislatura, l’abolizione del bollo auto.

Nulla ci disse, tuttavia, del ritorno a sorpresa del superbollo (più o meno a metà legislatura).

Forse ci siamo distratti.

O forse, come spesso avviene, abbiamo frainteso.

Le città perdute.

Una cara amica pubblica su Facebook, quasi quotidianamente, delle vecchie foto di Roma che hanno il sapore della nostalgia.

Quella di oggi rappresenta Piazza San Pietro senza Via della Conciliazione, con la Spina di Borgo intatta e, guardandola, mi sono chiesta che incredibile spettacolo dovesse essere, per il romani di allora, sbucare da una stradina e trovarsi al cospetto dei marmi sfavillanti della basilica.

Si tratta di immagini di una città che ormai sopravvive solo nella memoria di alcuni, una città perduta, forse non più bella dell’attuale, ma sicuramente diversa.

Anch’io spesso mi faccio prendere dalla nostalgia, mi incanto davanti alle vecchie foto della mia Milano e ho l’impressione che, con i suoi palazzi austeri, i suoi giardini segreti e lo scorrere dei navigli fosse una città affascinante.

Domenica scorsa ho ceduto all’insana mania di fare un tuffo nel passato e i tornare all’Isola, il quartiere dove ho trascorso la mia infanzia e dove sono nati e cresciuti mio padre e i suoi fratelli.

A ben guardare qualche amico mi aveva sconsigliato dal farlo affermando che fosse preferibile che conservassi i miei ricordi intatti, ma io sono un tipo testardo.

La mia scuola c’è ancora e anche la mia casa, ma le viuzze che conferivano al quartiere il suo fascino sono in parte sventrate, la casa di mia nonna ha lasciato il posto ad una voragine e tutto l’abitato è circondato da una selva minacciosa di gru e sovrastato dal nuovo palazzo della Regione che sembra caduto dallo spazio.

E’ vero che indietro non si torna e non bisogna mai legarsi troppo al passato e ai ricordi, ma è triste ripercorrere i luoghi della propria infanzia e non ritrovarsi.

Milano

Il piacere dell’ozio.

Da quando, un quarto di secolo fa più o meno, sono diventata la mamma di uno scolaro e ho cominciato il cimento dei compiti estivi, ho iniziato a comprendere che razza di iattura possano essere e, di conseguenza, a ridurre drasticamente quelli che assegno ai miei ragazzi.

Di solito mi limito a consigliare una lista di libri da leggere (senza pretendere schede di comprensione, relazioni, riassunti e altre amenità) e ad assegnare due temi e qualche (pochi) esercizio di grammatica da svolgere: in questo modo, di solito, ottengo il risultato di non attirarmi le maledizioni e gli anatemi delle famiglie e di non ritrovare i miei allievi completamente analfabeti al ritorno sui banchi di scuola.

D’altra parte anche durante l’anno non assegno mai troppo lavoro a casa: preferisco che gli esercizi li svolgano in classe, in mia presenza, alla fine della lezione teorica, in modo da verificare subito che cosa è stato compreso e cosa necessiti di un’ulteriore spiegazione o approfondimento.

Questo comportamento spesso mi attira gli strali di chi è convinto che la scuola “seria” è quella che obbliga ad un lavoro personale estenuante e che gli insegnanti “seri” sono quelli che assegnano tanti compiti, ma io penso che i ragazzi abbiano il diritto al loro tempo libero, allo svago, al divertimento, anche all’ozio (perchè no?) per poter vivere esperienze e fare scoperte che non siano solo legate all’ambito scolastico perchè, neppure a dodici anni, la scuola non può (e non deve) essere un’esperienza totalizzante.

La mia esperienza personale mi ha insegnato che, a settembre, ritrovo ragazzi contenti di tornare a scuola, desiderosi di condividere il proprio vissuto e, soprattutto, non già stanchi e annoiati prima di cominciare.

Milano

Colpi di fortuna.

Ogni tanto il destino cinico e baro mi risparmia i suoi strali e, quest’anno, devo dire che mi è andata benissimo perchè, visto che insegno in una prima e in una seconda, non mi è toccato in sorte di correggere la “famigerata” prova Invalsi (quella con la maschera elettronica sbagliata, per intenderci).

In compenso ho visto le espressioni disperate delle mie colleghe e non è stato uno spettacolo edificante.

L’unica mia preoccupazione è che, tra un anno (e anche tra due) toccherà a me e non riesco neppure a immaginare quali ulteriori trascurabili disguidi mi obbligheranno a fare notte a scuola.

A meno che non decida in tutta fretta di cambiare mestiere.

Le cappe dorate.

Dante, nel XXIII canto dell’Inferno, rappresenta gli ipocriti che camminano trascinandosi pesantemente, abbigliati con una cappa, simile al manto dei monaci cluniacensi, dorata, all’esterno, ma all’interno foderata di piombo: l’apparenza di bontà e onestà che cela una realtà di malizia e perversione.

L’immagine è potente e rivela tutto il genio del poeta che ha saputo, con pochi tocchi, rappresentare uno dei comportamenti umani più inaccettabili.

Quando ho a che fare con gli ipocriti io, che di solito sono molto diretta, provo un senso profondo di fastidio e di impotenza perchè non è facile rapportarsi con chi si ammanta di falsità, si scandalizza di comportamenti altrui che, normalmente, gli appartengono, insinua fingendo di dire e non dire.

E’ più forte di me: l’ipocrisia mi spiazza e mi disturba e, di fronte ad essa, non posso che condividere le scelte del sommo Poeta.

Che vadano all’inferno.

La solitudine del re.

Se il grido “il re è nudo” svela gli inganni del potere e la piaggeria del seguito di adulatori sempre pronti a smarcarsi quando il vento gira, la frase “il re è solo” sembra quasi un lamento.

La solitudine, per il potere, è una condizione quasi naturale: si è soli quando si decide, quando si assumono delle responsabilità, ma si tratta di una solitudine interiore, quasi mai fisica, si è soli in mezzo a uno stuolo di consiglieri, aiutanti, servitori, ma raramente di amici perchè il potere raramente ha amici veramente disinteressati.

Quando la solitudine diventa fisica, quando intorno non c’è più nessuno allora il potere svela la sua inconsistenza, una inconsistenza spesso improvvisa come un rovescio di pioggia, inimmaginabile fino a poco prima.

La mia riflessione nasce da due immagini che si sono susseguite in un breve volgere di ore: una impietosa telefonata trasmessa in una sala quasi deserta e l’arrivo al tribunale di Milano senza il solito gruppo di sostenitori , ma, quel che è peggio, senza neppure gli oppositori, un arrivo celebrato nella più totale indifferenza.

Penso proprio che sia l’indifferenza ciò che spaventa di più il re perchè forse si può regnare senza neppure un applauso, ma senza fischi e contestazioni no.

Se 58 vi sembran pochi…

Cinquantotto anni … e sentirli proprio tutti, almeno a giudicare da come mi trascino, stroncata dalla prima afa quasi estiva, da scuola a casa e da come sonnecchio in metropolitana durante il tragitto che mi porta al San Raffaele (celeberrimo ospedale milanese) per passare qualche ora con mio marito che si sta riprendendo da un delicato intervento chirurgico.

Poi c’è una punta di sgomento per quel fatidico numero (sessanta) che ormai incombe in modo preoccupante.

Il giusto rigore.

Ultimo aggiornamento su statali e internet:

L’onorevole protagonista del post precedente invoca punizioni esemplari per i dipendenti statali che, in orario di lavoro, usano internet per postare i video di Repubblica.

Sono assolutamente d’accordo: tutti i dipendenti statali, ma proprio tutti, devono astenersi dall’usare il pc per scopi privati quando sono in servizio.

A scanso di equivoci vorrei precisare che io sono un dipendente statale, ma, visto che è quasi mezzanotte, non sono in servizio.