Archivio mensile:Dicembre 2020

Caro amico ti scrivo…

… così mi distraggo un po’
E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò
Da quando sei partito c’è una grande novità
L’anno vecchio è finito, ormai
Ma qualcosa ancora qui non va

Si esce poco la sera, soprattutto quando è festa, anzi non si esce proprio e anche di giorno non si scherza.

Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando

Già stiamo aspettando soprattutto le vaccinazioni che forse riporteranno la nostra vita alla normalità che, ormai da dieci mesi, abbiamo quasi dimenticato.

L’anno che se ne sta andando ci ha portato via tante persone e tante cose, abbiamo detto addio a Luis Sepùlveda, a Sean Connery, a Gigi Proietti, a Paolo Rossi, a Diego Armando Maradona, a Franca Valeri, a Gianrico Tedeschi, a Pierre Cardin e al meraviglioso Ezio Bosso, ma quest’anno terribile ci ha portato via anche tante persone care che magari non erano famose, ma che erano “importanti” per molti di noi.

Quest’anno ci ha tolto il piacere di viaggiare, ha chiuso per molto tempo negozi, ristoranti, musei, teatri, cinema, palestre, ha confinato nella solitudine i nostri cari che vivono nelle residenze per anziani, ha fatto sì che si morisse in solitudine.

Quest’anno ci ha fatto indossare le mascherine, ci ha fatto scoprire la categoria dei virologi, ci ha insegnato nuove parole, ci ha mostrato come il distanziamento fisico può diventare un distanziamento “sociale”.

Non credo che avremo nostalgia del 2020 e se e quando lo ricorderemo lo faremo con quei sentimenti che contraddistinguono coloro che hanno attraversato una grande tribolazione e, guardandosi alle spalle, riescono finalmente a vederla con distacco.

Attendiamo fiduciosi il 2021, ma senza farci troppe illusioni e senza grandi aspettative, forse solo così non resteremo delusi.

Oradea (Romania) - Notte di San Silvestro

Mai contenti.

“Che Natale è senza neve?”, dicevano, ma se poi nevica e anche abbondantemente, come ha fatto la notte scorsa e stamattina, non se ne sopportano i disagi.

Certo la neve sarebbe più “poetica” se cadesse sui tetti, sugli alberi e sui giardini, ma lasciasse pulite strade e marciapiedi così da potersi muovere comodamente ammirando il paesaggio, ma la neve cade dove capita e non si può ammirare il paesaggio se bisogna guardare dove si mettono i piedi.

Già dalla notte giravano i mezzi spazzaneve e persino un mio vicino, molto solerte, armato di pala, fin dalle prime ore del giorno ha tracciato un sentiero che permettesse di uscire di casa in sicurezza, ma la neve lo ha subito ricoperto così come ha ricoperto le strade spalate dai mezzi e purtroppo è inevitabile: siamo in zona arancione, si muovono poche auto e la strada non resta pulita a lungo se continua a nevicare come se non ci fosse un domani.

Poi quando passa lo spazzaneve e accumula a bordo strada la neve, magari bloccando le auto parcheggiate, allora si levano proteste all’indirizzo di chi “non sa fare il suo mestiere” (come se la neve se la potessero mangiare).

E come non parlare dei superesperti che, standosene in piazza a guardare il panorama, pontificano sul sale che “andava sparso prima” o “va sparso dopo” a seconda delle correnti di pensiero e comunque non viene mai sparso “al momento giusto”.

Ma soprattutto “che fine hanno fatto i volontari?”, appunto i volontari che, in quanto volontari, invece di starsene a letto al calduccio sono in giro dalle sei del mattino a dare una mano e, invece di un po’ di gratitudine, si beccano solo critiche.

La neve era prevista, certo, ma “prevista” non vuol dire inevitabilmente “evitabile” e, di solito, qualche disagio bisogna metterlo in conto perché non viviamo in una cartolina, ma nel mondo reale.

Chi non si lamenta sono i cardellini che, senza nemmeno le scarpe adatte, zampettano sui rami in cerca di cibo e forse potrebbero insegnarci qualcosa.

Cavenago di Brianza - Nevicata del 28 dicembre 2020 (Cardellino)

Diverso, ma come ogni anno.

E’ stato un Natale diverso , non abbiamo abbracciato parenti e amici sul sagrato della chiesa dopo la Messa di mezzanotte e dopo la Messa della luce non c’erano i volontari ad accoglierci con panettone e cioccolata bollente, non abbiamo fatto una passeggiata sui Navigli o in Piazza del Duomo o a Porta Nuova al pomeriggio di Natale con la zia e, soprattutto, non abbiamo cominciato a preparare le valigie per il viaggio di Capodanno o per qualche giorno di relax in montagna.

Ma, per altri versi, ho ritrovato anche quest’anno sensazioni simili a tanti giorni di Natale passati: ho ritrovato la commozione nell’ascoltare i canti tradizionali in chiesa, la tranquillità di pranzi e cene consumati con il gusto della lentezza, il torpore dovuto un po’ all’eccesso di cibo e alle libagioni che ti fa sedere sul divano per guardare pigramente un film natalizio (che dire della solita ennesima replica di “Una poltrona per due” la sera della vigilia?), ho ritrovato una quiete serena anche quest’anno che è così poco sereno, ho scambiato telefonate di auguri con gli amici lontani che, quest’anno, mi sembrano più lontani e quasi irraggiungibili.

E’ stato un Natale diverso, ma in fondo uguale, un Natale che quest’anno ci ha portato un filo di speranza in più legato all’attesa di un vaccino che scacci la paura e ci riporti alla normalità.

Panettone

I doni sotto l’albero.

Quest’anno acquistare dei regali per Natale è un po’ più difficile del solito sia perché scegliere il regalo “giusto” non è mai un’impresa semplice, sia perché viviamo in una precarietà economica che non aiuta, sia perché non è consigliabile affollare le vie dello shopping in un tempo in cui, invece, dovremmo stare il più possibile lontani gli uni dagli altri.

Eppure è proprio questa forzata “lontananza” che quest’anno, più che negli anni precedenti, mi ha fatto venir voglia di fare dei piccoli regali a tante persone che mi sono care e che, di solito, ho l’occasione di incontrare più spesso, come se il regalo “tangibile” fosse un mezzo per rendere concreta una vicinanza che, almeno fisicamente, non c’è.

Allora mi sono sforzata di scegliere piccole cose scelte con cura, andando per negozi in orari strategici e mai molto lontano da casa, che simboleggino in qualche modo il mio affetto, piccoli segni che raccontino che, anche se non sono lì, io ci sono.

E poi ho preparato con cura i pacchetti e pregusto già la gioia di fare un giro, in stile Babbo Natale, per consegnare i miei doni che, in realtà, sono pensieri.

Visti i tempi difficili che stiamo vivendo non entrerò nelle case, ma mi fermerò sulle soglie, farò i miei auguri senza abbracci, senza baci, ma con un sorriso e con il cuore.

Milano (Natale) - Il Quadrilatero

Il vuoto intorno.

Ci sono pochi momenti dell’anno come il periodo natalizio durante il quale siamo spinti a ritrovarci e a cercare di stare vicini anche alle persone a cui pensiamo meno spesso, ma quest’anno sarà un tempo diverso, un tempo di vuoto e lontananza .

C’è il vuoto intorno, il vuoto del distanziamento, il vuoto delle restrizioni dei movimenti, ma non dobbiamo perderci d’animo (lo ripeto prima di tutto a me stessa) e dobbiamo sforzarci di cancellare il senso di vuoto che potremmo sentire dentro di noi.

Se siamo fisicamente soli abbiamo però un mondo di affetti che, proprio in questi giorni, dobbiamo coltivare e rafforzare con tutti i modi che abbiamo a disposizione dal telefono, alle video chiamate, al richiamare alla mente i ricordi che possono essere una consolazione.

Sono tempi duri, ma se chiudiamo gli occhi possiamo sentire i sentimenti e i pensieri dei nostri cari che, anche se fisicamente non sono con noi, sappiamo che ci pensano e ci sono vicini in altri modi non meno importanti.

Se sapremo ritrovare dentro di noi la ricchezza dei nostri affetti allora sarà un Natale dolcissimo e la solitudine, che non possiamo cancellare, ci peserà un po’ meno.

Milano  - Natale 2016

“Serenissime” (per chi ha voglia di leggere un libro al femminile).

“Serenissime” è un libro di Alessandro Marzo Magno che racconta la vita e le opere di dodici donne nate a Venezia che dal Medioevo ai giorni nostri, in diversi modi, hanno contribuito a rendere la loro città unica, come uniche sono state le loro storie.

Si va da Marietta Barovier, la donna che per prima ha creato le perle di vetro che oggi l’Unesco ha riconosciuto nell’elenco del Patrimonio intangibile dell’Umanità, a Elena Lucrezia Corner Piscopia, la prima donna laureata al mondo, dalla stilista Roberta di Camerino a Margherita Sarfatti, ispiratrice di Mussolini, per finire con Patty Pravo.

Le dodici donne che hanno primeggiato nei campi dell’arte, della cultura, della politica, della moda, della musica hanno in comune Venezia che è una città non solo bellissima, ma ricca di cultura e, nel suo luminoso passato, prodiga di opportunità.

“Serenissime” è un libro interessante, dalla lettura godibilissima, che racconta vite “vere” tanto affascinanti da sembrare un romanzo.

Venezia

Al centro commerciale.

Oggi, più o meno dopo sei mesi, sono entrata in un centro commerciale per risolvere un piccolo problema di telefonia (in questi tempi, si sa, il telefono deve funzionare alla perfezione perché è uno dei pochi modi che abbiamo per stare vicino ai nostri cari).

Ho scelto un orario che immaginavo poco gettonato ed infatti non c’era una gran folla e, per fortuna, si poteva mantenere bene il distanziamento e non ho visto pericolosi assembramenti.

Quello che ho visto, invece, sono state le numerose saracinesche abbassate, le luci spente e i negozi, in cui spesso ho fatto acquisti, inesorabilmente chiusi.

Oggi ho visto concretamente, se ce n’era bisogno, la misura della crisi e ho avuto la chiara percezione di quanto sarà duro tornare alla “normalità”.

Londra - Covent Garden

Assembramenti natalizi.

Dopo le chiusure, le zone rosse e arancioni, gli ospedali in sofferenza a due settimane dal Natale tutta l’Italia è ridiventata zona gialla, i negozi hanno riaperto, i ristoranti e i bar hanno riaperto, anche se con le dovute limitazioni, ci si può muovere da un comune all’altro, da una regione all’altra e, come era prevedibile, la gente si è mossa, ha affollato le vie dello shopping e le vallate alpine piene di neve e di sole.

Chi deve decidere si trova stretto tra la necessità impellente di tutelare la salute di tutti e, contemporaneamente, di permettere all’economia di galleggiare, in un precario equilibrio reso ancora più difficoltoso dalla consapevolezza di scontentare tutti, reso ancora più precario dalle critiche ed osservazioni di chi ha buon gioco a puntare il dito sulle mancanze, a schierarsi dalla parte di chi vorrebbe (forse giustamente) ritrovare la “normalità”, tanto poi, alla fine, il ritornello è sempre “cosa è stato fatto per prevenire la pandemia?”.

E’ inutile stracciarsi le vesti se la gente fa ciò che le è permesso fare come è inutile lamentarsi per gli assembramenti e per la possibile (probabile?) recrudescenza del virus in un futuro non proprio remoto.

D’altra parte se le persone stanno in luoghi aperti, ad una discreta distanza e continuano ad indossare le mascherine anche la Piazza del Duomo piena di gente non mi sembra una situazione così rischiosa, o almeno non più rischiosa di una coda alla cassa di un supermercato o di un viaggio in metropolitana.

Non credo che siano necessarie misure oltremodo restrittive, non penso che chi ci governa debba comportarsi come una babysitter, ma penso che dovremmo essere abbastanza adulti per capire come è meglio comportarsi e che dovremmo capire che se riusciamo a sfuggire alle maglie strette delle regole non siamo “furbi”, ma stiamo danneggiando noi stessi e i nostri cari.

So che le mie sono osservazioni banali, ma, nel mare di banalità e di fake news in cui siamo immersi, è solo una banalità in più.

Milanoc- Luci di Natale in Galleria

El palpiroeu de Natal.

Le mie nonne, che parlavano rigorosamente in dialetto, lo citavano abbastanza spesso e, come ho scoperto solo studiando, si tratta di un’espressione vecchissima e vagamente colta visto che il Porta, l’illustre poeta milanese, lo cita ne “La nomina del Cappellan”, alludendo ad una sorta di “tredicesima”.

Il “palpiroeu” era il pacchettino che mi facevano trovare sotto l’albero a Natale e che io, nell’intento di scoprire dalla forma cosa contenesse, “palpavo” con attenzione per prolungare l’attesa della sorpresa che avrebbe celato.

Quei brevi momenti, prima di strappare la carta e vedere il contenuto, erano forse i più gioiosi perché era un tempo sospeso in cui la fantasia poteva scatenarsi e far immaginare regali sontuosi e preziosissimi, poi l’apertura del pacchetto svelava la realtà che quasi mai corrispondeva alle ambiziose aspettative, ma pazienza “a caval donato non si guarda in bocca”, mi ripetevano i miei anche per consolarmi dell’ennesima sciarpa fatta con lane di recupero.

Milano (Natale 2019) - Piazza Gae Aulenti

12 Dicembre 1969

Ogni anno, quando ritrovo questa data sul calendario, mi sento il cuore invaso dal gelo.

Ogni anno mi rendo conto che non posso dimenticare quel giorno di tanti anni fa, un giorno che, fino a quando non abbiamo acceso la radio in auto, era stato un giorno sereno, passato tra amici di lunga data, in un clima festoso come lo può essere quello del tempo natalizio, quando ci si ritrova con persone care che magari non si vedono da tanto tempo.

L’annuncio dell’esplosione nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano piombò nell’auto e sulla nostra gioia come una cascata di gelo, i miei genitori ammutolirono e persino mio fratello, che allora era un bambino molto vivace, si calmò di colpo.

Ogni 12 dicembre risento quella sensazione di gelo e di silenzio, ogni 12 dicembre torna quel dolore sordo e quella sensazione di disperata impotenza.

Oggi è il 12 dicembre e come ogni anno non dimentico la strage di Piazza Fontana.

Milano - Palazzo Morando - "Milano negli anni '60"