Archivio mensile:Aprile 2011

Royal wedding.

Alla vigilia del matrimonio del secolo non ne posso quasi più: capisco l’importanza dell’evento, capisco la risonanza mondiale delle nozze, capisco il peso che avrà sul legame tra il popolo britannico e la monarchia, capisco persino la curiosità sull’abito della sposa, sugli addobbi, sugli invitati, tutto capisco, ma mi sembra insopportabile che qualsiasi notizia di politica estera o interna, di economia, di finanza e persino di sport passi in seconda linea nei telegiornali di casa nostra (che pure non siamo sudditi di Sua Maestà).

I preparativi minuto per minuto ci sono stati forniti con dovizia di particolari e accuratezza dei dettagli: mi è successo persino di ricevere importanti informazioni su quanta acqua dovranno bere le Coldstream Guards per non accasciarsi al suolo sotto il canicolare sole di Londra o su che tipo di shampoo dovranno usare per lavare il tradizionale colbacco il giorno prima delle nozze reali.

Finalmente mancano pochissime ore e poi si celebreranno le fatidiche nozze.

Spero solo che poi si parli d’altro.

Il diario ai tempi di facebook.

Uno dei problemi degli allievi di prima media è imparare a districarsi tra compiti e lezioni assegnati da insegnanti diversi per giorni diversi, se non compilano immediatamente il diario corrono il rischio di dimenticarsi il lavoro che devono svolgere o il materiale che devono portare con la conseguenza immediata di non poter seguire le lezioni in classe e, nella peggiore delle ipotesi, di beccarsi una nota.

I ragazzini più diligenti ( o meglio organizzati) non dimenticano quasi niente e arrivano a scuola con i compiti svolti, le lezioni studiate, i libri giusti e il materiale necessario, gli altri sfogliano sconsolati il diario alla ricerca di un appunto che non è mai stato scritto.
Nella mia classe un gruppetto di ragazzi con particolari doti manageriali  ha aperto un gruppo su facebook (al quale logicamente si sono iscritti tutti i compagni) dove vengono riportati compiti, lezioni e impegni quotidiani.

Il rischio grosso è che, se gli amministratori si dimenticano di aggiornare i post, nessuno fa i compiti, ma, in compenso, non ci sono molte scappatoie.

Ultimamente è stato postato un evento in stile strettamente fb: “Verifica di epica: parteciperai sì, no, forse”.

Peccato che anche la prof di lettere sia iscritta al gruppo.

Passare per scemi.

Non è che non avessimo capito che l’annullamento del programma nucleare del governo fosse solo una moratoria in attesa di calmare le acque, dopo l’ondata emotiva dell’incidente di Fukushima, un tentativo fin troppo scoperto di rimandare un referendum dall’esito quasi scontato.

Oggi però il premier ce l’ha proprio detto che ci considera un po’ scemi, incapaci di ragionare in modo razionale perchè paralizzati dalla paura di quanto capitato in Giappone e quindi ha giocato a carte scoperte affermando che il programma nucleare è solo rimandato a tempi migliori (quando ci saremo dimenticati di aver avuto paura).

Ha trattato molti di noi come se non avessimo ragionato su una tecnologia costosa, potenzialmente pericolosa (anche considerando la sismicità di vaste aree del nostro paese) e insicura perchè gli appalti per la costruzione della centrali saranno sicuramente oggetto di interesse da parte di operatori del settore a dir poco disinvolti (me la vedo una bella centrale con i muri addizionati con sabbia sullo stile dell’ospedale dell’Aquila).

Francamente non mi piace passare per scema e vorrei ricordare che, anche ammesso che il referendum non si svolga, avremo sempre l’opportunità di dire la nostra quando dovremo scegliere a chi affidare la guida di questo paese.

Comunque mi piacerebbe che chi si appella così spesso alla volontà popolare avesse il coraggio di interpellarla anche su questioni controverse.

Il popolo sovrano.

Peccato: mi piaceva tanto quella “sovranità” che “appartiene al popolo”, anche se, con l’attuale legge elettorale, le liste bloccate e via dicendo la sovranità è sempre più limitata, tanto limitata che tanto vale cancellarla dalla Carta Costituzionale, come ha proposto un esponente della maggioranza.

La sovranità quindi non apparterrebbe più al popolo, ma ai suoi rappresentanti che, guarda caso, il popolo non elegge (almeno non personalmente), ma accetta in blocco senza poter neppure eccepire sulla competenza, sulle capacità, sull’irreprensibilità.

L’unico aspetto positivo della vicenda è che le modifiche alla Costituzione richiedono una maggioranza mostruosa o il ricorso al referendum (referendum, si badi bene, senza vincolo del quorum, tanto che si potrebbe votare persino a ferragosto) e, di solito, in questo caso il popolo si ripiglia uno straccio di sovranità e torna finalmente a contare qualcosa.

Vorrei ricordare una frase che ho appena spiegato nella mia seconda:

per garantire questi diritti (libertà, uguaglianza e ricerca della felicità), vengono istituiti fra gli uomini dei governi che derivano dal consenso dei governati il loro giusto potere. Che ogni qualvolta una forma di governo diviene antagonistica al conseguimento di questi scopi, il popolo ha diritto di modificarla e abolirla…

Che in soldoni significa che i governi derivano il loro potere da chi li elegge al solo scopo di garantire i diritti dei cittadini e, qualora non ottemperino ai loro doveri, il popolo ha il diritto di cambiare governi e governanti.

“la sovranità appartiene al popolo” appunto!

(N.b.: logicamente la frase qui riportata non è farina del mio sacco, ma la parte iniziale della “Dichiarazione d’Indipendenza” degli Stati Uniti d’America.)

I libri di storia.

Sbagliano, a mio modesto parere, gli esponenti del PdL che si preoccupano di come viene presentata la storia contemporanea dai libri di testo in uso nelle scuole italiane.

Penso che sarebbe più utile preoccuparsi dei libri di storia che verranno scritti tra qualche decennio e che cercheranno di spiegare le conseguenze della legge sul cosiddetto “processo breve” approvata oggi o che dovranno raccontare i naufragi delle imbarcazioni cariche di disperati che tentano di attraversare il Mediterraneo.

Forse converrebbe varare un provvedimento che carcelli l’insegnamento della storia: sarebbe la soluzione più logica, anche se un po’ radicale.

Una riforma “epocale” oserei dire.

Visti dall’alto.

Visti dall’alto noi umani sembriamo persino gradevoli, visto dall’alto il nostro pianeta è una luminosissima  palla azzurra appesa nell’universo, decisamente la Terra con tutto ciò che contiene offre a chi la osserva dall’alto il suo aspetto migliore.

Questa è l’immagine, mi piace pensare, che Jurij Gagarin portava con sè celata negli occhi sorridenti dopo il suo volo orbitale nello spazio, proprio cinquant’anni fa come oggi.

Dev’essere un’immagine che non ti togli più dalla mente, un’immagine che racchiude in sè la vertigine dell’altezza e l’abisso delle profondità siderali, la gioia e lo sgomento di una solitudine che non ha eguali.

Avevo otto anni quando sentii la notizia del primo uomo nello spazio e forse non mi fece particolare impressione, forse non capivo l’eccitazione dei grandi, perchè nella mente dei bambini il volo tra le stelle appartiene alla normalità delle fiabe.

Poi ci fu un nuovo linguaggio da imparare, nuove parole: i nuovi miti erano “cosmonauti” (se sovietici) o astronauti (se statunitensi) e si parlava di navicelle spaziali, di orbite, di distanze e velocità inimmaginabili.

Quasi inavvertitamente il mondo si affacciava ad una nuova era e poco importava se, nell’esaltazione un po’ retorica del momento, non si tenesse conto del fatto che l’industria spaziale nasceva dall’esigenza di dotarsi di nuovi vettori per armi sempre più micidiali.

E’ vero i razzi potevano portare testate nucleari, ma allora portavano piccoli uomini nell’immensità dello spazio e questo fatto ci portava a guardare il cielo con occhi nuovi.

cielo

La soluzione della questione meridionale.

Chi l’avrebbe detto che dopo decenni di studi poderosi di politici, filosofi, economisti e storici sarebbe bastato un breve viaggio, dal sapore vagamente messianico, per affrontare e risolvere l’eterna questione?

Certo alla partenza qualche inevitabile pregiudizio c’era, un po’ sullo stile del film “Benvenuti al sud“, pregiudizio che si è ben presto dissolto come neve al sole (è proprio il caso di dirlo).

Così oggi il federalismo targato Lega ha trovato un nuovo, entusiasta ed autorevole ambasciatore.

Almeno così parrebbe a giudicare dal reportage del settimanale   “Diva e donna” (donna? Boh!), la nuova Bibbia della politica italiana, il nuovo “Almanacco di Gotha” della buona società di casa nostra.

Mi chiedo solo se il giovane Bossi, durante il viaggio, abbia canticchiato con gli occhi pieni di lacrime un’accorata “Oh mia bela Madunina”, ma soprattutto se dopo la prima esperienza, come succede nel film, non trovi quasi piacevole l’allontanarsi dalle grige brume della padania.

Milano

“Solo trentacinque giorni”.

Con queste parole mi ha accolto stamattina una mia collega in aula professori: “Ci pensi? Mancano solo trentacinque giorni alla fine della scuola”.

No, francamente non ci avevo pensato e trentacinque giorni mi sembrano maledettamente pochi per tutto quello che devo ancora fare.

I ragazzi di prima, dal canto loro, sembrano già in vacanza anche per colpa del tempo e del caldo di questi giorni, ogni tanto si perdono a guardare fuori dalla finestra dove gli alberi ormai sono pieni di foglie ed hanno un aspetto quasi estivo.

Quelli di seconda sembrano più concentrati anche perchè tra rivoluzione industriale, rivoluzione americana e rivoluzione francese c’è poco da stare allegri.

Da parte mia sono abbastanza a pezzi, sarà per colpa del caldo canicolare, sarà perchè ogni anno ho un anno di più sulle spalle, ma quando esco da scuola la strada verso casa mi sembra stranamente in salita.

Mancano “solo” trentacinque giorni… non vedo l’ora che passino.

Gli scacchi del nonno.

Nella mia famiglia non si butta via quasi niente e tutti noi abbiamo l’abitudine di mettere da parte tutto ciò che ci capita a tiro con la duplice conseguenza di ammucchiare un sacco di cianfrusaglie e, d’altra parte, di non riuscire quasi mai a trovare ciò che cerchiamo.

Poi ogni tanto succede che, prima che si verifichi una deflagrazione dagli  esiti inimmaginabili, uno di noi decida di fare ordine nei suoi armadi e nei suoi cassetti e allora salta fuori di tutto.

In questo week end è stata la volta di mio figlio dedicarsi al repulisti della sua stanza e, ad un certo punto, è comparso con una scatola di latta che non vedevo da decenni: gli scacchi del nonno.

Si tratta delle pedine che mio padre, quando era internato nel campo di prigionia di Zonderwater in Sud Africa, durante la seconda guerra mondiale, aveva intagliato nel legno per ingannare il tempo degli interminabili giorni di reclusione.

Mio padre apparteneva a quella generazione di uomini ai quali le vicissitudini della vita avevano insegnato molti mestieri e, per di più, era figlio di un falegname ed  ebanista per cui immagino che avesse una certa dimestichezza con la lavorazione del legno.

Ricordo che, da bambina, mi aveva insegnato i movimenti sulla scacchiera e le mosse più semplici proprio con quegli scacchi leggerissimi e levigati che lui teneva chiusi nella stessa scatola di latta che ieri è ricomparsa tra le mani di mio figlio.

E in un attimo ho avuto la consapevolezza del tempo passato, ho rivissuto la stagione felice dell’infanzia e il dolore indicibile del distacco.

Scacchi