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Madri e figlie.

Ha una brutta tosse, la mia mamma, e il medico le ha diagnosticato una bronchite che per lei, quasi novantenne, non è certo una passeggiata.

I suoi occhi, che ormai non vedono più da tanti anni, sembrano cercarmi, con lo sguardo che non è più uno sguardo segue la mia voce, un po’ spaventata, un po’ intimidita.

Le prendo la mano, che trema piccolissima nella mia, la stringo con delicatezza e intanto le accarezzo i capelli e lei sembra tranquillizzarsi almeno un po’.

E mi vengono in mente le volte, le infinite volte, in cui mi è stata vicina quando ero una bambina delicata, quando l’ago di una siringa mi faceva paura, o mi spaventava persino il camice di un medico e lei era sempre lì, pronta a rassicurarmi con un sorriso, pronta a donarmi un po’ della sua forza e del suo coraggio che, solo ora lo capisco, forse erano più simulati che reali, ma allora ci credevo e mi tranquillizzavano.

Ora è lei ad avere bisogno di me ed io, in questo gioco dei ruoli a parti invertite, io  dovrei avere la forza e il coraggio di una madre, ma sono ancora e sempre una figlia, una figlia grande, certo, ma pur sempre una figlia.

VERONA
 

Tanti auguri mamma!

Quella bella ragazza con l’abito a fiorellini, la gonna ampia, i capelli lunghi raccolti da un nastro che stringe fra le braccia un fagottino insonnolito, abbigliato con un goffo vestitino fatto della stessa stoffa del tuo (ci aveva pensato la zia Dina, ricordi?). quella bella ragazza che sorride alla sua bimba con uno sguardo pieno di dolcezza sei tu.

Sei ancora tu, anche ora che le rughe impietose hanno segnato il tuo volto, rughe disegnate non solo da questi ottantanove lunghissimi anni, ma dai dolori, dalle preoccupazioni e anche dai sorrisi di una vita intera.

Ricordi?

Te la ricordi l’infanzia in un’Italia difficile, con le sue divise, le sue regole, i suoi rituali e quelle foto, scattate davanti all’arco della Pace con la divisa da “piccola italiana” e quel sorriso, sempre il tuo, un po’ timido?

Ricordi i tuoi diciassette anni sotto le bombe dell’agosto del ’43, e la casa di via Legnano che non c’è più, e tutti gli oggetti di una vita che non ci sono più e dover ricominciare a vivere, senza più nulla, senza una casa, senza ricordi?

E poi la guerra finì e la tua carissima amica, conosciuta quando eravate sfollati a Carate, ti presentò il suo bellissimo fratello appena tornato dalla prigionia in Africa, e fu subito un grande amore e poi, dopo qualche anno, il matrimonio, semplice e poverissimo, come semplice e poverissima era la vita in quell’Italia che stava cercando di ripartire.

E poi ci fu la svolta e quella bella ragazza dal sorriso un po’ timido diventò mamma, la mia mamma, e fu una gran mamma, per me e mio fratello, dolce, severa, attenta, pronta a sacrificarsi per i figli amatissimi, pronta a difenderli come una leonessa senza mai farcelo capire.

A noi pareva di essere indipendenti e forti, ma tu eri sempre là, quasi nell’ombra, e non ci perdevi mai di vista e forse eravamo così forti proprio perché sapevamo che tu eri là.

E ora ci stringiamo intorno a te, così debole e fragile, così bisognosa di aiuto, ma ancora vigile nel tuo ruolo di madre che non hai mai abbandonato e quando, ogni sera, mi chiedi come è andata la giornata so che cerchi di leggere nella mia voce (perché non puoi più vedere il mio viso) le mie stanchezze, i miei entusiasmi,i miei dolori e le mie gioie.

Auguri mamma!

Idroscalo 2013 rosa bianca

 

La casalinga perfetta.

Ne conosco qualche esemplare (di casalinga perfetta intendo dire): rapida ed efficiente, la sua casa ricorda le pagine patinate di una rivista d’arredamento, con le superfici lucide, perché la polvere spaventata preferisce suicidarsi piuttosto che sottoporsi ai suoi trattamenti, con divani e poltrone lindi e senza ombra di contatto umano, con i vetri delle finestre tanto puliti da risultare quasi inesistenti, con gli armadi perfettamente in ordine dove maglioni e camicie sono impilati e divisi per gradazione di colore, come sugli scaffali di una costosa boutique del centro, dove non ci sono mucchi di vestiti in attesa del ferro da stiro, e la cucina è elaborata, sana e genuina.

Le casalinghe perfette escono di casa eleganti, griffate, accessoriate, con il trucco impeccabile e i capelli in ordine e, dopo aver accompagnato i figli a scuola e prima di fare la spesa, si concedono un meritato caffè e quattro chiacchiere con le amiche (logicamente casalinghe perfette come loro).

Provo una profonda invidia per queste meraviglie della natura soprattutto quando rientro a casa e faccio fatica a credere che non sia stata visitata dai ladri, ma che è esattamente come l’ho lasciata cinque ore prima, quando sono uscita per andare a scuola, o quando vengo assalita da incredibili sensi di colpa perché mi accascio sul divano (che è ben lungi dal sembrare lindo e senza ombra di contatto umano) invece di impugnare lo straccio per la polvere o il detergente per i vetri.

Poi l’invidia mi passa (e anche i sensi di colpa) e accetto la mia condizione di casalinga imperfetta.

In fondo la perfezione non è di questo mondo.

Moggio

Non sono (solo) una donna.

In un tripudio di mimose mi sento sempre più a disagio, a disagio per una festa che è diventata l’ennesimo motivo per uscire a cena, per vendere qualche fiore in più, per riempire trasmissioni televisive di parole che suonano posticce.

Non mi piace pensare di avere meriti o privilegi solo perché sono una donna, non mi piace l’idea di essere apprezzata (o disprezzata) perché sono una donna, ma perché sono io, sono una persona dotata di pregi e di difetti, come tutti del resto.

Se mi viene da piangere mi piace pensare che sarebbe la stessa cosa se fossi un uomo,  se mi impegno in tutto quello che faccio non mi piace l’idea che si pensi che lavoro sodo “come un uomo”, mi piace affrontare i problemi e risolverli, alcune cose mi vengono bene, altre meno, ma non ha molto a che fare con il fatto di appartenere al genere femminile singolare, ha a che fare con me e con come sono fatta io.

Non è vero che “se il mondo è una favola è grazie alle donne”, come recita una pubblicità “a tema” in onda in questi giorni, il mondo è una favola perché ci sono uomini e donne da favola e se non lo è la responsabilità  va equamente divisa tra i generi.

Regalateci pure la mimosa, ma ricordate che le donne sono donne tutto l’anno, così come gli uomini, e che non servono privilegi e pari opportunità, non servono discorsi di circostanza pieni di buone intenzioni.

Basterebbe riconoscere a ciascuno, uomo o donna che sia, la dignità di essere umano.

mimosa

Go Samantha, go!

Alle 22,01, puntuale come un orologio svizzero,  la Soyuz Tma-15M è partita dalla base di Baikonur (in Kazakistan), con a bordo tre astronauti fra i quali una giovane donna italiana, ingegnere meccanico e capitano dell’aeronautica militare, milanese di nascita, ma originaria del Trentino: Samantha Cristoforetti.

Mentre la navetta spaziale vola nello spazio verso la Stazione spaziale internazionale  provo a immaginare il suo cuore.

Immagino la pacata soddisfazione per aver realizzato un sogno (diventare astronauta e decollare dalla stessa base da cui partì Gagarin un po’ di soddisfazione la procura sicuramente), il legittimo orgoglio per essere la prima italiana lassù, la calma consapevolezza delle proprie capacità e della serietà dell’addestramento, ma anche, perchè no, il gioioso stupore alla vista dello spazio e forse un po’ di nostalgia per il nostro bellissimo pianeta azzurro che si allontana.

In poche ore la navetta raggiungerà la stazione internazionale ed avrà inizio una missione di alcuni mesi in cui i effettueranno esperimenti sulla fisiologia umana, analisi biologiche e la stampa di oggetti 3D in assenza di peso.

Per ora che dire?

Vai Samantha e porta lassù anche il tuo essere donna e (perchè no?)  anche il tuo essere italiana.

Tramonto al Cantello
 

Il cuore delle donne.

Uno studio medico recente ha messo in luce un aspetto che le donne conoscono da molto tempo, anche se confusamente e in modo empirico: il cuore delle donne sarebbe più fragile di quanto non si pensasse e risentirebbe maggiormente dello stress, soprattutto dopo la menopausa.

Ma questo, dicevo, le donne lo sanno già, proprio perché in tanti momenti della vita si rendono conto di  essere sottoposte ad una pressione fortissima, soprattutto in tempi come quelli che viviamo nei quali sulle donne pesa gran parte del lavoro di cura di bambini, anziani e malati, nei quali ai mille problemi del lavoro in casa e fuori casa si somma la preoccupazione di far quadrare un bilancio familiare sempre più magro e tutto ciò va conciliato con l’imperativo di essere sempre efficienti e (apparentemente) serene.

E’ un cuore grande, quello delle donne, dove sembra ci sia spazio per tutto, per i compiti dei figli, per le  visite mediche dei nonni, per le camicie perfettamente stirate del marito e per i mille momenti della vita di ogni giorno in cui una donna si mette in gioco, il cuore delle donne è abituato a reagire a mille sollecitazioni, alla paura, al dolore, alla rabbia impotente, alla frustrazione, alla stanchezza (non solo fisica), al senso di vuoto, al fallimento, ma ogni tanto non ce la fa più.

D’altra parte riuscire a sfuggire allo stress quotidiano è forse l’unica cosa che queste macchine da guerra, che sono le donne, non sanno (e forse non vogliono) fare.

Malpaga

La generazione negata.

La giornata dedicata alla commemorazione dei defunti in molti paesi, nel mio per esempio, ha offerto l’occasione per ricordare anche i caduti di tutte le guerre con un momento di preghiera e l’omaggio alla lapide che reca i nomi dei soldati, nomi lontani nel tempo, ma così simili a quelli di molti concittadini (nei paesi piccoli, si sa, il numero delle famiglie originarie è molto limitato e i nomi di battesimo tendono a ripetersi con regolarità).

Sulla lapide le foto sono antiche e poco leggibili, ma le date di nascita ci raccontano di tante giovani vite stroncate sui campi di battaglia, nelle trincee, ci raccontano di una generazione decimata, di tante storie, di tante esistenze che non hanno potuto seguire il loro corso naturale, di tante occasioni perdute delle quali non possiamo neppure renderci conto.

Mentre la tromba suona le note un po’ struggenti del “silenzio” mi ritrovo a pensare ad una anziana signora che ho conosciuto quando ero una ragazzina, una donna sempre vestita di nero con un sorriso sempre un po’ spento, offuscato da una tristezza che le saliva da dentro, mia madre mi aveva raccontato che aveva perso l’unico figlio nella Grande Guerra, da qualche parte sul Carso, e nei suoi occhi che accarezzavano i nostri visi di bambini, come se fossimo i nipoti che non avrebbe mai conosciuto, c’era tutto lo smarrimento di una madre che ha perso il figlio, la perdita più ingiusta e innaturale per un essere umano.

Il figlio, del quale non riusciva neppure a pronunciare il nome senza provare un indicibile strazio, apparteneva a quella generazione bruciata dalla follia della guerra e per tutta la sua vita, che fu lunghissima,  continuò a convivere con un dolore sordo e oscuro, senza rimedio, senza rassegnazione.

Probabilmente i suoi occhi mi hanno insegnato ad amare la pace.

Trincea Monte Piana

Il diritto di difendersi.

Reyhaneh Jabbari è stata impiccata a Teheran; era stata condannata a morte, cinque anni fa, per aver ucciso l’uomo che aveva tentato di stuprarla, un ex agente dei servizi segreti, che l’aveva attirata nel suo appartamento con la promessa di offrirle un impiego.

Nonostante la solidarietà internazionale la sentenza è stata eseguita inesorabilmente, non c’è stata alcuna clemenza per la giovane che, forse, avrebbe potuto ottenere il perdono della famiglia dell’ucciso se avesse negato la violenza.

Forse la menzogna le avrebbe salvato la vita, ma avrebbe annullato la sua dignità di donna.

L’articolo usa il termine “giustiziare”, ma mi sembra inadeguato e grottesco perché non c’è giustizia in una decisione che nega ad una giovane donna il sua diritto alla legittima difesa e all’inviolabilità della sua persona.

Reyhaneh Jabbari è l simbolo del lungo cammino che le donne devono ancora percorrere, in oriente e in occidente, per affermare il loro diritto alla dignità, alla libertà, a poter scegliere autonomamente della propria vita.

A questo piccolo fiore d’acciaio fermo sul proprio stelo sottile va il mio pensiero commosso e solidale.

Cremeno 2010

La lezione di Charlotte.

Ha solo sette anni Charlotte, ma ha già capito un sacco di cose, ha capito che il mondo, almeno quello dei giocattoli ( quello dei grandi è tutta un’altra storia), è diviso tra i maschi che fanno lavori eccitanti come l’esploratore, o l’astronauta, o il neurochirurgo, o il pompiere, e le femmine che accudiscono i figli, puliscono la casa e, al massimo, fanno shopping.

Charlotte non ci sta e allora scrive una letterina alla Lego nella quale chiede che tra i personaggi ci siano anche figure femminili che fanno attività interessanti come cacciare gli squali, per esempio.

In realtà pare che l‘industria danese, già prima dell’appello accorato della bimba, si fosse messa sulla buona strada producendo una serie che comprende una paleontologa, un’astrofisica e una chimica.

E’ inutile sottolineare che condivido pienamente la richiesta della piccola Charlotte: quando avevo la sua età, persa in un mondo di bambole, passeggini, tazzine e piattini spesso ne sfuggivo rubacchiando ai maschietti pistole, fucili e il mitico meccano.

Milano - colori del mercato
 

Coraggio.

Se fosse stata una persona diversa Sophie Scholl oggi potrebbe essere una anziana signora di novantatré anni,  probabilmente festeggerebbe il suo compleanno circondata da figli e nipoti, riscaldata dai ricordi di una lunga vita serena.

Ma Sophie non era una persona come le altre, appena ventenne si avvicinò ad alcuni membri  della Rosa Bianca, un’organizzazione di studenti cristiani che si opponevano in modo non violento al nazismo, e l’anno seguente aderì anche lei al gruppo partecipando attivamente alla stesura e alla distribuzione di volantini che incitavano ala resistenza passiva.

Fu scoperta, accusata di alto tradimento e condannata a morte.

Il 22 febbraio del 1943, non ancora ventiduenne, fu ghigliottinata insieme al fratello Hans e all’amico Christoph Probst.

In una Germania appiattita sull’ideologia hitleriana Sophie ci ha insegnato, con la sua breve vita, che si può avere il coraggio di opporsi all’ingiustizia, alla violenza e all’orrore e che si può  avere il coraggio di essere liberi, anche a costo della vita.

Una grande giovane donna, una grande anima.

Idroscalo 2013 rosa bianca