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Storie di una levatrice.

Mi sono appassionata ud una serie televisiva, prodotta dalla BBC a partire dal 2012, intitolata “Call the midwife” che racconta le vicende di un gruppo di levatrici, religiose e laiche. che operavano nel popolare quartiere dell’East End di Londra negli anni cinquanta e sessanta.

I telefilm sono veramente piacevoli per i personaggi, le ambientazioni, i costumi, le musiche e l’atmosfera di povertà dignitosa della zona dei Docks, tra Poplar e l’Isola dei Cani, in una città che lentamente rinasce dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale che hanno lasciato il segno negli edifici, ma più ancora, nei cuori delle persone.

Le storie si ispirano alle memorie di Jennifer Worth che lavorò come levatrice in quel contesto sociale e sono così avvincenti e ricche di umanità da avermi spinto a leggere i libri che ho trovato altrettanto avvincenti.

Nei romanzi ho ritrovato i personaggi, come la sorprendente suor Monica Joan o la scorbutica suor Evangelina, ho ritrovato gli ambienti, ho ritrovato le storie di dolore e amore e l’incredibile mistero che accompagna ogni vita fin dal suo inizio.

Londra - Hammersmith

Giovani dentro.

Sul palco di Sanremo passano i Pooh in ordine sparso, capelli grigi e rughe a profusione, tornano i Decibel (a trentotto anni da “Contessa”) e persino i giovani del Gruppo “Lo stato sociale” si fanno accompagnare da una ballerina ottantenne che si produce in acrobazie incredibili.

E che dire di Baglioni, anche lui in età non più verdissima che fa da spalla a Fiorello, alla Hunziker e a Favino?

Se poi l’ospite d’onore è Gianni Morandi, che era già un artista affermato quando io ero una ragazzina, è evidente che quest’anno il festival punta sui “giovani dentro”, ma forse va bene così.

In fondo Sanremo è pur sempre Sanremo… da ben sessantasette anni.

Cavenago

Un Paese meraviglioso.

Nelle ultime settimane è andata in onda su Rai1 una trasmissione di Alberto Angela incentrata sui monumenti e sui luoghi del nostro Paese che sono entrati a far parte, a buon diritto, del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

Si tratta di un’occasione per ripercorrere l’Italia delle meraviglie con i suoi borghi, i suoi siti archeologici, i suoi paesaggi, la sua grande ricchezza e la sua grande bellezza di cui dovremmo essere orgogliosi e che spesso trascuriamo forse perchè siamo circondati da testimonianze d’arte e di storia e da paesaggi tanto splendidi da lasciarci quasi indifferenti, quasi per una forma di assuefazione, una sorta di “sindrome di Stendhal” alla rovescia.

E’ incredibile come in un territorio così piccolo siano raccolti tanti tesori e per una volta la televisione ci dona la possibilità di scoprirli e di amarli.

Agrigento (Sicilia)

Milano - Cenacolo

Roddi (Langhe)

Benvenuti a Vigata.

Vigata non è un punto sulla carta geografica della Sicilia infatti, così come l’immaginario capoluogo Montelusa, non esiste nella realtà, ma è più reale del vero soprattutto da quando la Rai ha cominciato a produrre le storie del Commissario Montalbano, nato dalla fantasia di Camilleri ed entrato nell’immaginario collettivo con il volto di Luca Zingaretti.

I romanzi sono ambientati nell’agrigentino, ma alle storie televisive fanno da sfondo alcuni paesi del ragusano come Scicli, Modica, Ibla e Punta Secca dove sorge l’abitazione del Commissario con il mitico terrazzino dove spesso sorseggia il primo caffè.

Si trattava di luoghi già da tempo meta di un turismo attento soprattutto alle eleganti forme del barocco, ma che, negli ultimi anni, hanno conosciuto una grande popolarità a livello mondiale anche grazie alla trasposizione televisiva dei racconti di Camilleri.

E’ divertente incontrare un gruppo di turisti stranieri incantati davanti all’ufficio del mitico Catarella o impegnati a farsi un selfie davanti al terrazzo della casa di “Marinella”.

E’ un buon modo per diffondere nel mondo le bellezze della Sicilia.

Scicli (Sicilia)

Modica (Sicilia)

Punta Secca - Casa di Montalbano (Sicilia)

Sampieri (Sicilia)

Batman, un uomo in calzamaglia.

Su Netflix ho trovato un capolavoro assoluto: “Batman: The Movie” girato nel 1966, quando Batman dalle nostre parti era ancora l’Uomo Pipistrello (e Superman era noto come Nembo Kid).

A differenza dei film più recenti che hanno come protagonista l’eroe mascherato, dalle atmosfere gotiche e inquietanti, la pellicola del ’66 è colorata all’inverosimile, come lo erano allora gli albi a fumetti, i personaggi vestono tutine attillate che evidenziano qualche problema di linea (l’eroe mascherato è decisamente in sovrappeso) e camminano sulle pareti verticali (con l’inquadratura evidentemente ruotata di novanta gradi).

Il doppiaggio italiano rinverdisce i fasti dell’Istituto Luce, con la voce narrante stentorea e un linguaggio quasi dannunziano, per tacere delle imprecazioni creative di Robin.

E che dire degli effetti speciali? C’è lo squalo di plastica (tipo salvagente) che azzanna la gamba di Batman, il cielo con le grinze, i post bruciatori della batmobile che basterebbero da soli a sollevare uno Shuttle e le bombe che sono delle enormi palle nere con tanto di miccia accesa (proprio come nei cartoni animati).

Non riesco a capire se si tratti di un film comicamente ironico, o di un capolavoro dell’ingenuità dei bei tempi antichi, comunque non riesco a fare a meno di piegarmi in due dalle risate.

Palinsesti quasi estivi (ovvero il ritorno di Don Camillo e Peppone).

Quando si avvicina l’estate le televisioni tendono a concentrarsi un po’ meno sull’auditel, i palinsesti si fanno meno aggressivi  e si torna a rispolverare inossidabili “vecchie glorie” che comunque riscuotono sempre un po’ di attenzione.

In questo periodo quasi estivo, con temperature “simil-balneari” Rete4 ha rispolverato  (come accade credo ad anni alterni) i film ispirati ai romanzi di Guareschi e alle diatribe del parroco Don Camillo e del sindaco Peppone che si dipanano lente all’ombra del campanile, lungo il corso del grande fiume.

I cinque film, diretti da Julien Duvivier, Carmine Gallone e Luigi Comencini, furono girati negli anni fra il 1952 2 il 1965, per gli esterni la produzione si insediò nella cittadina di Brescello in provincia di Reggio nell’Emilia che ancora oggi conserva molti ricordi di quel periodo da “piccola Hollywood”.

Don Camillo ha il volto inconfondibile dell’attore francese Fernandel, mentre il sindaco comunista Peppone, dal baffo vagamente staliniano, ha i tratti bonari del viso di Gino Cervi.

Dopo aver letto e riletto i libri e dopo aver visto e rivisto i film li conosco praticamente a memoria eppure quando qualche televisione li trasmette non riesco a fare a meno di impiantarmi davanti allo schermo (cosa che in realtà mi succede abbastanza raramente) perchè le storie che raccontano, rigorosamente in bianco e nero, mi affascinano ogni volta.

Sono le storie di un’Italia contadina, uscita da una guerra di cui porta ancora le ferite, sono storie di uomini forti, coerenti, ma capaci di dialogare tenendo sempre lo sguardo fisso sul bene comune, sono storie di lotta politica e ideologica, di scontri, di dispetti, ma anche di amicizia e di grande rispetto.

Forse è per questo che non mi stancano mai.

Brescello

Brescello

Brescello

Intervallo.

Agli albori delle trasmissioni televisive, quando si verificava qualche problema tecnico o c’era una pausa tra due programmi, andava in onda l’intervallo, lo stacchetto breve o lungo che penso molti della mia generazione ricordino persino con un po’ di tenerezza.

Fino agli anni sessanta si trattava di immagini, logicamente in bianco e nero, di greggi di pecore che pascolavano placidamente in un’Italia che allora era molto meno cementificata di oggi, proiettate con il sottofondo musicale dell’Allegro dalla Sonata VI in la maggiore di Pietro Domenico Paradisi eseguito con uno xilofono che ricordava vagamente il suono di un clavicembalo e la scritta “intervallo”  vergata in un elegante corsivo.

Più tardi le placide (… e un po’ soporifere) pecore furono sostituite da vedute in stile cartolina di borghi italiani appollaiati su colli erbosi o adagiati in una vallata soleggiata o affacciati sulle sponde di un lago o del mare con il toponimo messo in bella evidenza e l’accompagnamento della Passacaglia dalla suite per clavicembalo di Handel.

Non c’era ancora la pubblicità a rompere e interrompere le trasmissioni e i pochi minuti di intervallo erano un’interruzione quasi piacevole.

Anche oggi, quando mi capita di incrociare un gregge, improvvisamente mi tornano alla mente quelle immagini di un’Italia ancora ingenua e apparentemente serena e tranquilla.

Cavenago di Brianza - Domeniche in collina

L’ho letto su Facebook.

C’erano una volta i giornali (o al massimo la radio) fonti di notizie da leggere, commentare in famiglia o al bar, i giornali che formavano “l’opinione pubblica”.

“L’ho letto sul giornale” era una specie di garanzia anche perchè, di alcune testate più celebri, si conosceva la competenza del direttore e lo scrupolo nella ricerca delle notizie da parte di giornalisti diventati celebri per le loro inchieste.

Poi la televisione, e in seguito le televisioni, ha preso il posto del giornale, le notizie hanno iniziato ad entrare nelle nostre case all’ora di cena e poi a tutte le ore, ma il moltiplicarsi delle informazioni non sempre ha contribuito alla completezza delle stesse e talvolta la corsa allo scoop, al sensazionalismo, è andata a scapito della serietà e del controllo delle fonti.

“L’ha detto il Telegiornale” lasciava qualche ombra di dubbio.

Poi è arrivata la rete e nella rete i social network e soprattutto Facebook e le informazioni si sono moltiplicate in modo esponenziale, senza più alcun controllo sulle fonti, sulla loro  veridicità, e ogni giorno leggiamo centinaia di notizie molte delle quali sono al gusto di “bufala”.

Se una notizia, vera o falsa che sia, poco importa, rimbalza condivisa da una pagina all’altra e riceve una miriade di like o di commenti (spesso deliranti) sembra diventare automaticamente vera.

Oggi, per strada, ho incontrato un gruppetto di persone che discuteva animatamente e, al culmine della discussione, uno degli interlocutori ha giocato il jolly: “L’ho letto su Facebook” ha esclamato trionfante.

Amen

radio

Il mago e il cubano.

Il mondo dello spettacolo  ha perso oggi, a poche ore di distanza, due personaggi importanti che, per motivi diversi, sono entrati nell’immaginario collettivo degli italiani.

E’ mancato Cino Tortorella, autore e conduttore, passato alla storia della nostra televisione per aver interpretato per anni il Mago Zurlì, il personaggio che, abbigliato con un costume improbabile e con i capelli luccicanti di polvere magica, ha presentato con garbo e professionalità una trasmissione pomeridiana nell’ambito della “TV dei ragazzi” e poi, per anni e anni, lo “Zecchino d’Oro”, dialogando con i piccoli cantanti e con Topo Gigio con la stessa ironica eleganza.

E’ mancato Tomas Milian, nato a L’Avana, ma naturalizzato italiano fin dagli anni sessanta, diventato celebre con i personaggi del poliziotto dal passato scabroso e del ladruncolo romano (il mitico Er Monnezza) anche se, all’inizio della carriera, aveva lavorato in ruoli più impegnati con grandi registi come Lattuada, Zurlini, Visconti e Pasolini.

Se n’è andato un pezzetto di storia.

 

Da-da-un-pa.

Ogni tanto capita anche a me di guardare la televisione, soprattutto quando sono un po’ stanca e ho bisogno di starmene raggomitolata sul divano con una tisana profumata, e questa sera, forse un po’ per pigrizia mi sono fermata su Rai1 dove va in onda una miniserie su “Studio Uno“, il programma di Falqui e Sacerdote trasmesso dal 1961 al 1966.

“Studio Uno” era il varietà del sabato sera che entrava nelle case di tutti gli italiani negli anni in cui la Rai aveva solo due canali (Rai2, che allora si chiamava “Secondo programma”, era nata solo nel 1961).

Le prime battute dello sceneggiato mi hanno catturato, mi è bastato ascoltare il “Da-da-un-pa“, la sigla  cantata dalle mitiche gemelle Kessler,  per sentirmi proiettata nel passato, in un passato in cui la televisione, rigorosamente in bianco e nero, stava sulla credenza, di fronte alla tavola.

Erano passati da poco i giorni in cui per vedere “Lascia o raddoppia” o “Il Musichiere” scendevamo al bar e il televisore, prodotto dalla ditta dove lavorava mio padre, era entrato di prepotenza in casa nostra.

“Studio Uno” è un ricordo che mi fa scivolare dall’infanzia alle soglie dell’adolescenza, è il suono delle canzoni di Mina, è un sorriso quieto, è un passato in cui l’Italia si sentiva  ottimista.

Monza - Centro di controllo Rai Way