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Per capire…

Per capire se la giornata sarà buona o cattiva bisogna affrontarla, è evidente, bisogna uscire di casa per capire se incontrerai persone simpatiche e stimolanti oppure persone che mai avresti voluto incontrare, bisogna sforzarsi di vivere la vita, ogni giorno, per capire che vale la pena di viverla.

Eppure tante volte la paura della delusione ci tiene fermi lì, a vedere la vita che passa, come una barca ferma nel porto, la barca ferma nel porto della splendida poesia “George Gray” di Edgar Lee Masters, la barca che anela al mare, eppure lo teme e non riesce a prendere il largo.

Ho sempre cercato di andare incontro ad ogni giorno con un sorriso, con il desiderio di cogliere in ogni giorno qualcosa di buono e di bello e forse troppo spesso ho incontrato una bruciante disillusione, ma non avrei sopportato il rimorso dell’immobilità, l’incertezza dell’attesa di un giorno migliore, il tempo che scorre senza scosse, senza dolori, ma pure senza gioie.

Ogni giorno mi tuffo nella vita, consapevole dei rischi ma fiduciosa: se non facessi così avrei l’impressione di non vivere e la vita mi piace veramente troppo per lasciare che scorra così.

Alba sull'appennino

Settembre.

Mi piace il mese di settembre perché ha il sapore di un nuovo inizio.

Settembre è il mese in cui inizia l’anno scolastico, ma il lavoro non mi spaventa perché le vacanze di solito mi  lasciano una scia di energia positiva, un desiderio di rinnovamento, una impazienza di ricominciare.

Mi capitava la stessa cosa quando ero bambina, ma allora le lezioni iniziavano in ottobre, e settembre era per me il mese dell’attesa, carico di aspettative di desiderio di ritrovare la mia classe, le mie compagne, la mia adorata maestra, guardavo il grembiulino bianco inamidato, guardavo il grande fiocco azzurro e non vedevo l’ora di indossarli per tornare a scuola.

Settembre è anche un mese lento nel quale la natura sembra a poco a poco assopirsi in attesa dell’autunno, un mese quieto, senza gli eccessi della calura estiva ma con un cielo ancora estivo e colori ancora vivaci e le foglie ancora verdi sui rami.

Cantava Guccini nella “Canzone dei dodici mesi“:

“Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull’ età, 
dopo l’ estate porta il dono usato della perplessità, della perplessità… 
Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità, 
come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità, le possibilità…”

Forse è proprio questa opportunità di “ripensamento” che mi rende settembre un mese così caro.

Cavenago di brianza - Le Foppe

Per silenziosi sentieri.

I pochi giorni passati tra le mie montagne, le montagne della mia infanzia, dell’adolescenza, dell’età adulta, le montagne di questi miei giorni nei quali osservo incredula le rughe del viso e i capelli bianchi, i pochi giorni trascorsi qui, dicevo, hanno riportato alla mente e al cuore un mondo di ricordi.

Mentre passeggio tra sentieri che mi sembra di conoscere da sempre ritrovo tanti momenti della mia vita.

Mi rivedo trotterellare dietro il passo lento e sicuro di mio padre che mi ha insegnato l’amore e il rispetto per la montagna, mi rivedo giovane mamma guidare il mio bambino attraverso la stessa esperienza, mi rivedo passeggiare con la mano nella mano di mio marito cercando di compensare con il mio procedere fermo il suo passo ormai diventato incerto.

Ricordo  la vita che è stata, una vita a volte non facile, ma spesso felice, ricca di amore e di condivisione.

Non ho mai camminato da sola per questi sentieri silenziosi, ora invece il silenzio della mia solitudine si riempie di pensieri e di sogni, il silenzio mi fa compagnia.

Per questo non sopporto le comitive chiassose, i motori rumorosi che si arrampicano lungo pendii fatti per essere percorsi a piedi e in silenzio, non sopporto i resti di un picnic abbandonati vicino alla fonte e le braci mal spente di un improvvisato barbecue nella radura ai piedi di un faggio secolare.

Non sopporto tutto ciò che viola la maestosa bellezza della montagna, che turba la dolcezza dei miei ricordi.

Come il poeta vorrei sussurrare: Cammina leggero perché cammini sui miei sogni“.

Al tramonto dal belvedere del Parco Valentino ai piani dei Resinelli

 

 

 

Aspettando il Natale.

In questo momento trovo che le parole di Ungaretti raccontino proprio bene come mi sento.

Forse, tra qualche giorno, la voglia di tuffarmi nel “gomitolo di strade” mi verrà, ma, per ora, passo la mano

Natale

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

(Giuseppe Ungaretti 1916)

Milano - Piazza Gae Aulenti (Natale)

Laudato sie.

Oggi siamo usciti per fare la spesa al mercato, sempre con un occhio al cielo minaccioso di questa estate anomala, e siamo rientrati giusto in tempo perché, chiusa la porta di casa, cominciasse a piovere.

Tra me e me ho ringraziato la provvidenza divina (o, per chi non crede, il destino o il caso) che ci ha permesso di stare anche oggi due orette fuori di casa senza danni.

Mentre guardavo al cielo ho ripensato ai versi di San Francesco e alla facilità con la quale ci lamentiamo o malediciamo quando invece dovremmo ringraziare per ciò che ci è donato.

Per il sole che ci scalda, ci illumina e rende il mondo splendido, ma spesso ci lamentiamo perché fa troppo caldo.

Per le stelle e la luna che si accendono nelle notti serene e con la loro bellezza rasserenano i miei pensieri tormentati.

Per la pioggia che ci porta un po’ di fresco, ma spesso ci lamentiamo perché fa troppo fresco.

Per l’acqua, così indispensabile che, quando ci viene a mancare, ci lascia quasi smarriti, spesso malediciamo l’acqua  per le frane, gli smottamenti le alluvioni ma ci dimentichiamo che la colpa non è dell’acqua, ma dell’uomo.

Per la terra con i suoi colori, i suoi odori, con tutte le sue creature, gli animali, i fiori e persino gli uomini perché forse non ci piacerebbe vivere in un deserto grigio.

Non arrivo alle vette di San Francesco che sapeva lodare Dio anche per la morte, ma sto imparando a considerarla come una tappa indispensabile della vita che è inutile temere.

Assisi ulivi

O graziosa luna…

Ieri notte faceva veramente molto caldo e mi aggiravo per casa, avvolta nella stanchezza e nei mille pensieri (non tutti positivi) che si affollano nella mia mente quando si allenta la vita di tutti i giorni, mio marito dormiva tranquillo e non volevo disturbarlo continuando a rigirarmi ne letto.

Per cercare un po’ di fresco sono uscita sul balcone e l’ho vista, lei, la graziosa luna spuntare dietro gli alberi del parco, grande, serena, silenziosa e mi sono venuti in mente versi che non riuscirei mai a scrivere, ma che mi piacerebbe saper scrivere, per raccontare a me stessa, prima che ad altri, l’affastellarsi dei sentimenti, delle nostalgie, dei dolori, dei sorrisi, delle paure e dei desideri.

E sono rimasta lì, in contemplazione, quasi ipnotizzata dalla superficie luminosa.

E poi mi sono ricordata, all’improvviso, che mancavano meno di ventiquattr’ore al quarantacinquesimo anniversario di  un’altra “notte della luna“, una notte in cui la luna ha smesso di essere un astro misterioso e inaccessibile, una notte in cui, trattenendo il respiro, ho visto un essere umano muovere i primi passi sul suolo lunare, in quel mare della tranquillità in cui mi piacerebbe perdermi.

Nella contemplazione ho ritrovato un po’ di serenità, sono tornata a letto e mi sono abbandonata ad un sonno finalmente profondo.

Cavenago - Luna calante

Spazi.

La piazza Gino Valle, inaugurata da pochissimi giorni al Portello, è la più grande di Milano, persino più grande di Piazza del Duomo che pure non scherza, è uno spazio talmente vasto che verrebbe quasi voglia di scrivere il vocabolo con due “zeta”, così, per rafforzare il concetto.

La piazza, con i suoi edifici, è un’altra tappa del recupero di questa zona un tempo a forte vocazione industriale, nel secolo scorso occupata dagli stabilimenti dell’Alfa Romeo.

La piazza, dicevo, è uno spazio vastissimo, (mi verrebbe da dire quasi sovrumano, come è sovrumano il silenzio che la avvolge), nelle prime ore pomeridiane di questo solstizio d’estate completamente vuoto, tanto da ricordare lo spazio metafisico dei dipinti di de Chirico, spazi dilatati, quasi pietrificati nel sole.

Attraverso la piazza con un’impressione un po’ inquietante, eppure è bellissima con le sue geometrie pulite, con l’enorme bassorilievo di Isgrò, con il cielo che si riflette mille volte nelle pareti di vetro.

Mi piace, ma non riesco a evitare che “il cor non si spauri”.

Milano - Portello

Ulisse.

L’Ulisse di Dante è un uomo vecchio, giunto al limite del suo viaggio, stanco, ma non appagato nella sua sete di conoscenza, un uomo che vuole fortemente superare il limite, che cerca nuovi orizzonti, ma che ogni volta che sembra giungere alla meta, come accade nella realtà, si rende conto che la linea dell’orizzonte si è spostata più in là e che  c’è un nuovo traguardo da raggiungere.

Non è l’avventuriero un po’ cialtrone dell’Odissea, curioso e astuto, capace di inganni e passioni, ma è un uomo “bello di fama e di sventura“, incapace di lasciarsi imprigionare dagli affetti familiari e dal minuscolo orizzonte di Itaca.

La storia di Ulisse è una storia di orizzonti sempre più lontani, di conoscenza sempre più vasta e più profonda, di desiderio e timore di non arrivare mai.

E la montagna che si erge dal mare, bruna per la distanza racchiude in sè la il senso della grandezza e del limite.

Vedere i miei ragazzi appassionarsi alla vicenda di Ulisse non ha prezzo.

Bergeggi (ottobre 2011)
 

Prima di tutto la voce.

Oggi si è spento, all’età di novantasette anni, Arnoldo Foà, un grandissimo attore il cui nome forse ai più giovani dirà poco anche se penso che molti riconoscano la sua voce, calda, profonda, emozionante, inconfondibile.

Ed è proprio la sua voce che emerge dai miei primi ricordi d’infanzia, la voce del Capitano Smollet de “L’isola del tesoro“, lo sceneggiato televisivo che mi teneva appiccicata alla televisione con un misto di curiosità e di paura, la voce di Foà ferma e rassicurante riusciva a disperdere i timori che mi agitavano fin dalla sigla (una simpatica canzoncina che suonava come “Quindici uomini sulla cassa del morto”).

L’altro frammento di memoria è legato a un disco in vinile, che uno zio in vena di slanci culturali mi aveva regalato in occasione di un Natale, con inciso il “Lamento per Ignacio Mejias” di Federico Garcia Lorca (anche se in realtà il disco recava la scritta “La morte del Torero).

Sembra incredibile, ma, affascinata dalla voce e benché fossi molto piccola e probabilmente capissi poco del testo poetico, ascoltai la poesia centinaia di volte, fino ad impararla a memoria e a riuscire a ripeterla con le pause espressive dell’attore.

Forse il mio amore per la poesia, in generale, e per Lorca nasce proprio da quell’ascolto e se oggi mi ritrovo ad avere una particolare attenzione per la lettura espressiva, se oggi riesco a leggere ad alta voce trasmettendo emozioni credo proprio di doverlo anche alla voce di Arnoldo Foà.