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Il Palazzo dei Conti Rasini.

Ci passo davanti tutti i giorni, visto che si affaccia sulla piazza e, poiché è la sede del Municipio e della Biblioteca, mi capita spesso di aggirarmi tra le sue sale che, anche se oggi ospitano gli uffici comunali, conservano ancora il loro fascino antico.

Il Palazzo dei Conti Rasini di Cavenago di Brianza (o “Palazzo Rasini” come viene comunemente chiamato in paese) era probabilmente una villa di delizia, un luogo di villeggiatura immerso nel verde dei campi che si estendevano tutt’intorno, e viverci doveva essere proprio gradevole.

I conti Rasini appartenevano a quella che viene definita “nobiltà di toga” (per distinguerla dalla “nobiltà di spada” , di più antico lignaggio, ma di sostanze meno cospicue), ma avevano stretto rapporti familiari imparentandosi con casati importanti come i Borromeo e i Visconti.

La residenza doveva dare lustro alla famiglia e raccontarne la ricchezza e l’importanza e, anche se danneggiata nel tempo, anche a causa di svariati passaggi di mano, e restaurata solo negli anni ’90 del secolo scorso offre ancora un’idea di quale doveva essere la sua raffinata eleganza grazie anche agli affreschi di ispirazione fiamminga delle sale del piano terreno.

Oggi si è svolta una visita al Palazzo a cura del Fai che ha permesso di focalizzare l’attenzione sugli affreschi e di ascoltare racconti di personaggi leggendari come la Giubiana e la Baba Jaga, così distanti nello spazio, ma così simili.

Vale sempre la pena di visitare il Palazzo (per esempio durante la manifestazione “Ville Aperte in Brianza”), mentre ai miei concittadini consiglio (se ce ne fosse bisogno) di alzare lo sguardo ai soffitti, magari quando si deve sbrigare qualche pratica all’anagrafe o all’ufficio tecnico o quando si va a cercare un libro in biblioteca.

Cavenago di Brianza - Palazzo Rasini (particolari degli affreschi)

Perché amo Chagall.

Amo Chagall perché mi mette allegria con le sue figure che sembrano uscite direttamente da un sogno, con i colori brillanti, con la sua storia di ebreo russo, nato nel piccolo paese di Vitebsk (oggi in Bielorussia) che torna in tante immagini piene di nostalgia, con il suo amore per la moglie Bella con i suoi galletti e le capre che suonano il violino.

Al Mudec in questi giorni è allestita la mostra “Marc Chagall – una storia di due mondi” curata dall’Israel Museum di Gerusalemme, che racconta l’opera dell’artista in un modo nuovo attraverso continui rimandi al suo retaggio culturale.

La mostra propone alcuni temi fondamentali della vita e della produzione di Chagall: l’amore e la nostalgia per la Vitebsk dell’infanzia e l’incontro con l’amata moglie Bella Rosenfeld.

Mi ha colpito particolarmente il disegno che raffigura il nonno, seduto sul tetto della piccola casa, intento a mangiare carote godendosi il sole che mi ha ricordato l’immagine del “Violinista sul tetto” tanto cara all’artista.

La mostra, che resterà aperta fino al 31 luglio 2022, merita sicuramente una visita.

Milano - Mudec - Chagall

La scogliera di alabastro.

Il nome potrebbe sembrare un po’ pomposo, ma il colore candido delle sue falesie che strapiombano sul mare lo giustificano pienamente.

Arriviamo ad Étretat di prima mattina quando la spiaggia è popolata solo da uno stormo di gabbiani che zampettano indisturbati sulla battigia, passeggiamo lungo la riva battuta da un vento leggero che porta il profumo della salsedine mentre lo sguardo è catturato dalle scogliere che chiudono la spiaggia sui due lati.

Beviamo il secondo caffè della giornata (extralungo come usa qui) in un piccolo locale davanti al mare, ma lo facciamo in fretta perché non possiamo perdere tempo: le onde, le falesie e il cielo ci aspettano.

Più tardi ritroveremo la falesia d’Aval nei dipinti di Boudin e di Monet che erano innamorati di questi luoghi che interpretavano con la loro sensibilità di artisti restituendoci tutto l’incanto, tutta la magia di questo frammento di paradiso.

Etretat

Nel giardino di Monet.

A Giverny Claude Monet abitò per più di quarant’anni, dal 1883 al 1926, l’anno della sua morte, in quella che non è solo una casa, ma un’opera d’arte e la fonte di ispirazione di molti dei suoi dipinti.

L’artista, pittore e giardiniere, compose immagini di luce e colore tanto con i fiori dei suoi giardini quanto con gli oli sulle sue tele e camminare tra gli alberi e i fiori aiuta a comprendere meglio il suo genio creativo.

Anche la casa, accogliente e vissuta, ci parla della sua quotidianità, ci racconta di passi di bambini e di suoni conviviali così come la grande cucina e la sala da pranzo luminosa evocano immagini di gioiosa ospitalità.

In questa stagione il Clos Normand, il giardino su cui si affaccia la dimora, è un tripudio di tulipani dalle mille sfumature, mentre il Giardino d’acqua è un delizioso spazio di verde e di riflessi dove il vento, che muove le nubi che si gonfiano nel cielo, si insinua fra i bambù riempiendo la luce di suoni.

Non avevo capito veramente il genio di Monet fino a qualche giorno fa quando, passeggiando nei suoi giardini, ho avuto l’impressione (è proprio il caso di usare questa parola) di muovermi nella dimensione fiabesca e quasi onirica dei suoi dipinti.

Giverny - Casa di Monet

Sguardi sereni.

In questi tempi così tribolati, sospesi tra una pandemia e una guerra, è difficile ritagliarsi un po’ di serenità, un momento in cui riprendere fiato, in cui dimenticare i telegiornali e le notizie che ci piovono addosso lasciandoci sentimenti di impotenza e di angoscia.

E poi si riesce a trovare un po’ di tempo per visitare una mostra e, all’improvviso, ci si trova catapultati in un’altra dimensione, in un luogo dove gli sguardi sono sereni e pacati e non c’è dolore e non c’è angoscia.

La mostra a Palazzo Reale dedicata a “Tiziano e l’immagine della donna nel ‘500 veneziano” è una di quelle occasioni in cui ci si può allontanare dai pensieri e dalle preoccupazioni per immergersi completamente nella bellezza.

Oggi ci siamo andate di corsa anche per il timore suscitato dalla notizia (poi rientrata) che l’Ermitage di San Pietroburgo avrebbe richiesto in brevissimo tempo le opere prestate alle esposizioni milenesi.

E così, tra le altre opere, ho incontrato la donna ritratta da Tiziano (e conservata proprio all’Ermitage) inconfondibile, con il vezzoso cappello piumato, il manto gettato su una spalla e lo sguardo fermo e sereno.

E ancora una volta mi sono illusa che “la bellezza salverà il mondo”.

Milano - Palazzo Reale - "Tiziano e l'immagine della donna nel '500 veneziano"

L’uomo, l’artista.

La mostra intitolata “L’uomo, l’artista”, visitabile in questi giorni presso la Villa Reale di Monza, presenta, attraverso una ricca ed affascinante rassegna di dipinti e sculture, la vicenda umana e il percorso artistico di Antonio Ligabue.

I dipinti, da cui traspare una grande energia, raccontano meglio delle parole il travaglio di un’anima sofferente e sola e l’impossibilità dell’artista di esprimere altrimenti il grande bisogno di libertà ed amore.

Il percorso della mostra attraversa i due poli principali del suo percorso artistico: gli animali, domestici e favolosamente selvatici, e gli autoritratti, ma non trascura altri soggetti come le scene di vita contadina o i paesaggi padani dove inaspettatamente spuntano, come in un sogno alimentato dai ricordi, i campanili, le guglie e i tetti spioventi della natia Svizzera.

Colpiscono soprattutto gli autoritratti nei quali il pittore pone in primo piano occupando quasi tutto lo spazio, alle sue spalle si intravede un paesaggio agreste dai dettagli sfumati, il suo volto ci racconta il dolore, la fatica, lo sgomento della solitudine, nel suo sguardo smarrito c’è quasi una richiesta disperata di attenzione, un desiderio di essere accolto, ascoltato, compreso.

Monza - Villa Reale - Mostra di Ligabue

La bellezza che abbiamo sotto gli occhi.

Ieri sera, durante la trasmissione di Alberto Angela “Meraviglie – La penisola dei tesori”, gli italiani (ma soprattutto i brianzoli un po’ distratti) hanno potuto ammirare le bellezze di Monza, una città forse poco conosciuta, nota nel mondo soprattutto per la presenza dell’autodromo che è da sempre teatro del Gran Premio d’Italia.

Al centro della narrazione c’è la Villa Reale voluta dall’Imperatrice Maria Teresa  come residenza estiva per la corte del figlio Ferdinando d’Asburgo-Este, governatore generale della Lombardia, progettata dal Piermarini (l’architetto della Scala per intenderci) e realizzata nel giro di soli tre anni, dal 1777 al 1780.

Per me, che conosco bene la Villa e il suo parco, è stata una scoperta, perché forse per la prima volta ho potuto ammirare l’edificio e il suo contesto con gli occhi non di chi a Monza ha studiato e ha trascorso tante giornate, ma con lo sguardo attento del viaggiatore in cerca di bellezza.

Il racconto si è poi spostato al Duomo, alla splendida cappella degli Zavattari e all’incontro magico e sempre emozionante con la corona ferrea.

Da brianzola d’adozione ringrazio Alberto Angela per aver messo in luce delle opere d’arte che, proprio perché vicine e quasi “abituali”, spesso passano inosservate.

Monza - Villa Reale

Monet a Palazzo Reale

Sono tornata a respirare l’aria della mia città (in realtà “respirare” è una parola grossa a causa della famigerata mascherina FFP2 ben calzata sul viso), ma neppure il fetido morbo e l’aumento vertiginoso dei contagi sono riusciti ad impedirmi di godermi la visita alla mostra dedicata a Monet a Palazzo Reale.

Il percorso si snoda fra cinquantatré opere di Monet, tutte provenienti dal Museo Marmottan Monet di Parigi, tra cui le sue “Ninfee” (1916-1919), “Il Parlamento”, “Riflessi sul Tamigi” (1905) e “Le rose” (1925-1926).

Ci si addentra in un cammino in ordine cronologico che ripercorre l’intera parabola artistica del pittore, attraverso le opere che Monet considerava fondamentali e molto personali, che non volle mai vendere, che rimasero custodite gelosamente nella sua abitazione di Giverny.

E’ come immergersi in un universo di luce e colore, creato da pennellate che, con il passare del tempo, diventano sempre più visibili e materiche.

In questi tempi così bui i colori di Monet sembrano ancora più vivi e quasi gioiosi ed è una esperienza liberatoria percorrere le sale e farsi accogliere da tanta luminosa bellezza.

In attesa di Partire per Giverny, nel prossimo mese di aprile, per immergermi nel suo universo di luce e colore.

Milano - Palazzo Reale - Monet

Sorpresa ed emozione.

Avevo visto tante foto e documentari e film ambientati a Petra che, francamente, pensavo che non potesse sorprendermi eppure è stato così.

Dopo aver percorso un tratto allo scoperto si entra nel Siq, la lunga e tortuosa gola incisa come una ferita nella roccia rossa, e si cammina in discesa per poco più di un chilometro ammirando le rocce a strapiombo dalle mille sfumature di colore.

Ad ogni curva si spalanca una nuova visione sempre affascinante, ma quella che tutti coloro che camminano si aspettano di trovare dietro l’angolo, quasi con trepidazione, è “quella” visione, ammirata su tanti libri, l’immagine della fenditura nella roccia che si schiude e rivela la facciata del Tesoro, il monumento più suggestivo, più ammirato, più atteso lungo il cammino.

E poi, all’improvviso, eccola lì la facciata dalle sfumature rossastre, bellissima ed emozionante, e gli occhi e il cuore hanno un sobbalzo.

Per quanto si pensi di conoscere quella vista la sorpresa è fortissima e l’emozione prende il cuore.

Poi il Siq finisce di colpo, lo spazio si allarga, e la facciata del Tesoro appare in tutta la sua bellezza come un fondale teatrale che chiude un palcoscenico animato da centinaia di turisti, venditori di souvenir, cammelli.

E io resto lì, stupita ed ammirata da tanta bellezza e quasi non sento i rumori della vita che mi circonda, le parole dei viaggiatori e le grida dei venditori, e mi sento come rapita in uno spazio magico che ha il fascino dei millenni.

Petra è così, riempie il cuore e gli occhi di una bellezza che quasi è impossibile raccontare.

Petra (Giordania)

Fantastico medioevo.

La facciata della basilica agostiniana di Pavia, San Pietro in Ciel d’Oro, è uno splendido esempio di arte medievale perché, nei suoi capitelli, racconta di animali fantastici, di figure allegoriche, di creature da incubo che, come un libro spalancato sul tempo, avevano lo scopo di insegnare, di ammonire, di spaventare, ma anche di alimentare la speranza e la fede di donne e uomini che guardavano a quelle raffigurazioni non gli occhi degli uomini del nostro tempo, che ne ammirano l’arte e la maestria degli artefici, ma con lo sguardo di chi si accostava a queste immagini animato da sentimenti religiosi.

La basilica, sorta su un edificio religioso precedente, risale all’VIII secolo, in piena età longobarda, ma fu ricostruita tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo in stile romanico, fu fondata dal re longobardo Liutprando per ospitare le spoglie di Sant’Agostino che riposano in una grande arca scolpita nel ‘300 dai maestri comacini.

Ci si incanta ad ammirare le figure dei capitelli del portale e la fantasia viene catturata da grifoni, sirene, serpenti, figure allegoriche non sempre facilmente interpretabili, ma forse proprio per questo particolarmente affascinanti.

Quanta fantasia dovevano avere gli uomini del Medioevo che sapevano rappresentare creature immaginarie così fortemente evocative, a tratti inquietanti, ma sempre fantastiche.

Pavia - San Pietro in ciel d'oro