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Le belle famiglie di una volta.

Si scatena la polemica contro “Kung fu Panda” colpevole di instillare la teoria “gender” nelle menti indifese dei nostri bambini: il Panda Po, infatti, avrebbe un padre adottivo che lo alleva da solo in mancanza della madre morta  per salvarlo, ma scopre, nello svolgimento della storia, di avere “anche” un padre biologico e si sa il fatto di avere due padri non va giù a molti.

E’ una triste storia, quella del Panda Po, ma tutt’altro che inaudita.

Altre storie, ben più vicine al nostro immaginario collettivo, andrebbero indagate attentamente e, nel caso, severamente censurate.

Vogliamo, una buona volta, squarciare il velo dell’omertà sulla famiglia di Paperino?

Paperino, o per l’esattezza “zio Paperino”,  ha tre nipoti che alleva più o meno amorevolmente nella propria casa , tre gemelli evidentemente omozigoti che si differenziano solo per il colore degli indumenti e rispondono ai nomi di Qui, Quo e Qua.

Anche nella famiglia dei paperi non esiste una madre anche se, a onor del vero, la madre nell’albero genealogico c’è e sarebbe una certa Della, sorella di Paperino, che avrebbe affidato i figli al fratello dopo che questi, mettendo un petardo sotto la poltrona del padre biologico, lo avrebbero ferito in maniera tanto grave da costringerlo ad un lungo periodo di degenza ospedaliera (vista la gravità dei fatti il condizionale è d’obbligo).

Sta di fatto che la madre è scomparsa dalle storie, quasi si trattasse di un caso di “utero” (pardon, di uova) in affitto.

I tre gemellini sono cresciuti (non troppo per la verità) allevati da uno zio e dal “Manuale delle Giovani Marmotte” in un universo quasi prevalentemente maschile, se non fosse per “zia” Paperina (l’eterna fidanzata di Paperino), più attenta  agli abiti e ai picnic che alla loro educazione, e per nonna Papera (in che senso “nonna” ? E’ la nonna di Paperino, ma anche di Qui Quo e Qua e persino zio Paperone la chiama “nonna”) che, per forza di cose, deve essere centenaria e poi deve occuparsi a tempo pieno della fattoria, delle torte e di Ciccio che certamente un’aquila non è.

E dire che questa famiglia, che definire strana è dir poco, viene raccontata ai nostri bambini fin dal lontano 1937.

Forse è il caso di prendere provvedimenti.

Cavenago Le foppe
 

Ave Cesare.

La Hollywood del 1951, il nuoto sincronizzato alla Ester Williams, i peplum con i fondali di cartapesta (sullo stile “La tunica” o “Ben Hur” per intendersi), un George Clooney in costume da centurione per tutta la durata del film, la coreografia dei marinaretti in stile Gene Kelly, il gossip asfissiante, le dive capricciose, il cowboy rozzo e imbranato e, a legare il tutto, una giornata di lavoro di un tuttofare, Eddie Mannix,  capace di risolvere ogni problema, capace di  affrontare ogni capriccio, ogni pettegolezzo, ogni inghippo, salvo poi confessarsi di continuo per ripulire la coscienza: questo è l’ amaro ed esilarante film “Ave Cesare“.

Restano impressi gli occhi vuoti e assolutamente inespressivi di George Clooney, il divo rapito da una improbabile cellula di sceneggiatori comunisti non ancora colpiti dalla scure del maccartismo, che remano, nella notte illuminata dalla luna, verso un sommergibile sovietico che emerge dai flutti accompagnato da una musica in stile coro dell’Armata Rossa.

Non c’è nostalgia, non c’è il ricordo dei bei tempi andati, c’è lo sguardo irriverente e cinico dei fratelli Coen, c’è un’incredibile abilità nel ricreare un mondo finto che più finto non si può.

Si ride, in sala, ma si ride amaro.

Finalmente… l’oscar.

Finalmente l’oscar per la migliore colonna sonora premia Ennio Morricone (che pure nel 2007 era stato insignito dell’oscar alla carriera) e lo premia per una musica importante, per un film importante, come ha chiosato il Maestro stesso nel breve discorso di ringraziamento.

Ma come dimenticare che, forse, avrebbe meritato il tanto ambito riconoscimento anche per la colonna sonora di Mission o  per le musiche de “Gli Intoccabili“?

L’oscar assegnato questa notte ha un po’ il gusto del risarcimento per tante occasioni mancate, per un riconoscimento meritato già in passato, per le nomination senza coronamento ed il pubblico, tutto in piedi, ha sottolineato la stima e l’affetto che circondano il grande musicista italiano giunto ai sessantanni di carriera.

Ma nella notte degli oscar c’è stato un altro “finalmente”: quello per il premio al miglior attore assegnato a Leonardo Di Caprio, un premio spesso sfuggito ad un artista di talento, che ha dimostrato di sapersi calare in ruoli difficili ed impegnati (come quello di ” The Aviator“, uno dei miei preferiti) e che forse è stato troppo a lungo penalizzato dall’aspetto di ragazzino “bello e basta”.

Mi sa che Di Caprio…

Temo che anche quest’anno Leonardo di Caprio rischi di non vincere l’oscar come migliore attore e un po’ mi dispiace perché ormai da molti anni ha dimostrato, con interpretazioni come nel film Aviator, di non essere un attore “bello e basta”, ma un interprete sensibile e attento.

Quest’anno ha ottenuto la nomination dell’Academy per  l’interpretazione del cacciatore Hugh Glass nel film Revenant e, probabilmente, l’oscar lo meriterebbe, ma c’è un “ma”.

Ieri sera ho assistito alla proiezione di “The danish girl”, film che mi è piaciuto molto per come tratta il tema della transessualità, per la fotografia veramente suggestiva, ma soprattutto per l’interpretazione di Eddie Redmayne che ha saputo rendere la delicatezza del personaggio, la sua trasformazione, il mutamento che prima è interiore e solo in un secondo momento fisico e visibile con una abilità e una sensibilità davvero incredibili, riuscendo a rendere quasi con naturalezza il travaglio della ricerca e della scoperta della propria identità da parte del protagonista.

Come lo scorso anno, con l’interpretazione del fisico Stephen Hawking, che pure gli valse l’oscar come protagonista del film “La teoria del tutto“, l’attore britannico ha saputo entrare nel personaggio rendendolo assolutamente credibile, senza mai forzare, senza mai recitare sopra le righe.

Penso che Di Caprio possa solo contare sul fatto che è molto raro che un attore riesca a vincere l’oscar per due anni consecutivi per la stessa categoria.

Il tema di Tara.

Il tema di Tara è un brano musicale struggente che fa parte della colonna sonora del film “Via col Vento” e che sottolinea i momenti più drammatici della vita della protagonista, la capricciosa, bellissima e determinata Rossella O’Hara.

Chi ha visto almeno una volta il colossal del regista Victor Fleming non può dimenticare i fotogrammi intensi con tramonti in technicolor ed in primo piano la silhouette di Vivien Leigh, accanto ad un albero nodoso, accompagnati dalle note di Max Steiner, il compositore di moltissime colonne sonore tra le quali quella, celeberrima, del film “Scandalo al sole“.

Per noi italiani, tuttavia, il tema di Tara da  vent’anni non rievoca più le scene della guerra di secessione, la stazione di Atlanta gremita di feriti, i campi di cotone al tramonto, per noi italiani simboleggia un campanello che suona, una porta che si apre, il plastico di una scena del delitto a caso e un numero infinito di ospiti impegnati a litigare sotto l’occhio vigile e bonario di Bruno Vespa.

 

I vantaggi delle vacanze.

Tra gli indubbi vantaggi di una vacanza, anche breve, oltre al riposo e alla possibilità di vedere luoghi nuovi c’è anche il fatto che, dopo aver spento televisione, computer ed aver escluso i giornali, si resta isolati dal mondo, dalle notizie belle e brutte, da quelle importanti e da quelle più frivole come, ad esempio, il dibattito sul nuovo film di Checco Zalone.

Prescindendo dal fatto che, a costo di sembrare un po’ snob, non amo particolarmente i film di Natale (i cinepanettoni per intenderci) non mi sognerei mai di imbarcarmi in una discussione su un film comico anche perché mi rendo conto che la comicità non è uguale per tutti, non tutti ridiamo per le stesse gag e per le stesse battute.

Nel nostro Paese, si sa, dibattiamo quasi su tutto, in particolare su ciò che non conta, e ci schieriamo con calore su un versante o su quello opposto, difendendo le nostre posizioni fino all’ultimo respiro perciò non dobbiamo meravigliarci se l’ultima fatica del comico pugliese ha scatenato un dibattito degno di miglior causa.

Personalmente non ho visto il film (e non credo che lo vedrò anche se, in questo periodo, pare quasi impossibile vedere altro) e quindi, logicamente, non ne parlerò.

Per fortuna a Capodanno ero in vacanza.

Lubiana

 

Quattro passi nel futuro.

Ogni tanto mi capita di vedere qualche film ambientato nel futuro, non si tratta di film di fantascienza, ma di quelle storie “futuribili” e un po’ inquietanti nelle quali i personaggi, di solito a metà strada fra l’alienato e il depresso, vagano tra edifici grigi dall’aspetto vecchiotto che sorgono accanto a palazzi avveniristici, luccicanti di cristalli e freddo metallo.

Domenica scorsa, passeggiando dalle parti di Porta Nuova, ho avuto l’impressione di trovarmi catapultata in uno di quei film.

Mi sono fermata ad osservare il paesaggio e, strano a dirsi, non ho provato disagio: effettivamente Milano è bella anche quando è “strana”.

Milano - Porta Nuova

A kind of magic.

Ai ragazzi delle classi prime, che da pochi hanno iniziato a frequentare il nostro istituto, è stata assegnata la lettura estiva di “Harry Potter e la pietra filosofale“, il primo volume della fortunata saga della Rowling nel quale il maghetto, coetaneo dei miei allievi, entra in una scuola nuova per apprendere le arti della magia.

Come i miei ragazzi anche il piccolo Harry incontra nuovi compagni, nuovi insegnanti, nuovi ambienti, nuove materie e, come loro, all’inizio è emozionato e un po’ spaesato, ma è anche entusiasta di iniziare una nuova avventura.

Qualcuno potrebbe pensare che le somiglianze finiscono qui perhè ,mentre a Hogwarts si insegnano magia e stregoneria, nella nostra scuola le materie sono più “normali” e apparentemente (ma solo apparentemente) meno affascinanti.

Però, a ben guardare, anch’io insegno delle arti magiche.

Insegno la magia della parola che permette di comprendere la realtà, di interpretarla, di modificarla.

Insegno la magia del tempo che permette di scorrazzare nei secoli passati senza l’aiuto di complicati marchingegni.

Insegno la magia dello spazio che permette di muoversi a grandi distanze in un attimo e senza teletrasporto.

Se i miei ragazzi avranno la curiosità e la costanza di imparare queste arti diventeranno anche loro dei maghetti, capaci di comprendere, di interagire e di modificare il mondo che li circonda.

Buon lavoro a tutti.

Linz

 

Addio Mr.Spock.

Si è spento all’età di 83 anni Leonard Nimoy, l’attore, sceneggiatore e regista che aveva legato il suo volto al vulcaniano Spock, l’ufficiale scientifico della mitica Enterprise delle serie classica “Star Trek“.

Ironico, imperscrutabile, algido, ma leale e sincero fino all’eccesso il personaggio da lui interpretato era l’indispensabile contraltare dell’umanissimo e impetuoso capitano Kirk e dell’empatico ed emotivo dottor McCoy.

Ci ha tenuto compagnia, quando mio figlio era un ragazzino, con le continue repliche dei telefilm (che erano un prezioso tappabuchi delle programmazioni delle varie reti televisive) appassionandoci a storie tutto sommato semplici, ma molto gradevoli, regalandoci il sogno di un futuro proteso verso la conoscenza e l’accettazione della diversità.

Ora lo immagino  in quello spazio oscuro, trapuntato di migliaia di stelle, per arrivare là “dove nessun uomo è mai giunto prima”.

Lunga vita e prosperità.

Cavenago - Falce di luna

The imitation game.

Questa sera sono andata al cinema per vedere “The imitation game“, il film ispirato alla figura di Alan Turing, il matematico e crittografo inglese celebre per aver contribuito a decrittare i cifrari tedeschi, durante la seconda guerra mondiale, e per essere considerato uno dei padri dell’informatica e dell’intelligenza artificiale.

il protagonista è interpretato con grande efficacia da Benedict Cumberbatch, il più recente e sorprendente Sherlock Holmes televisivo, stranamente sempre a proprio agio nell’interpretare personaggi intelligentissimi e vagamente sociopatici.

La fotografia è stupenda con scene suggestive come quelle ambientate nei tunnel della metropolitana di Londra durante i bombardamenti o primi piani molto intensi di militari e cittadini comuni o gli scorci delle rovine che fanno rivivere le immagini di Londra e Coventry devastate.

In sostanza il film racconta una bella storia e la racconta molto bene.