Archivio mensile:Giugno 2020

Catene di Sant’Antonio.

Una volta, quando esisteva la posta, arrivavano delle lettere dall’aria un po’ sinistrata, con testi decisamente sgrammaticati che invitavano il malcapitato ricevente a fare un numero imprecisato di copie e inviarle ad altrettanti malcapitati, sotto la minaccia, se si fosse interrotta la catena, di una serie di catastrofiche “sfighe”.

Oggi, che per posta non arrivano neppure le bollette, le catene di sant’Antonio sembrano definitivamente estinte.

Ma non è così, le mefitiche catene sono riapparse con maggior forza sui social, alimentate anche dalla incredibile velocità del mezzo e dalla facilità di riproduzione (fare un “copia incolla” è meno molesto che copiare a mano una decina di testi insulsi).

Generalmente compaiono dal nulla “lettere portafortuna”, richieste di aiuto per bambini malati o cuccioli da salvare, notizie sconvolgenti da diffondere, promesse di facile ricchezza, svariate bufale o post (e sono quelli che mi infastidiscono di più, gli altri li ignoro) in cui qualcuno riporta un testo lunghissimo nel quale verifica “l’amicizia” dei suoi contatti (che hanno avuto l’infinita pazienza di leggere) chiedendo di copiare e incollare il testo( si badi bene, non di condividerlo, ma di copiarlo e incollarlo).

Io, per principio, copio e incollo molto raramente (se un post mi “prende” di solito lo condivido conservando il nome di chi lo ha lanciato) anche perché non vorrei scoprire, prima o poi, di aver violato la proprietà intellettuale di qualcuno.

Negli ultimi giorni mi è arrivato il solito meme, in stile “copia incolla, nel quale mi si minacciava di andare incontro un anno orribile se avessi interrotto la catena.

Mi è scappato da ridere perché in un anno bisestile con una pandemia, cavallette, inondazioni e siccità, eclissi varie ed assortite e piaghe bibliche incombenti non riesco ad immaginare nulla di più orribile.

Padova - Il Santo

E’ difficile scrivere.

Non è solo colpa del caldo e dell’aria di vacanza, ma si tratta piuttosto di una sorta di disagio perché in questo periodo, soprattutto sui social, leggo post deliranti, post complottisti, ondate di puro odio e, anche se avrei tanto da dire, preferisco chiamarmi fuori, non entrare in discussioni senza capo né coda ben sapendo che, soprattutto di questi tempi, cercare di fare discorsi improntati a razionalità e senso critico è sempre più arduo.

Mi piacerebbe scrivere, portare opinioni, discutere in modo pacato fondando sul ragionamento le mie conclusioni, ma ho sempre più l’impressione che sia tempo perso e fatica sprecata.

Purtroppo chi si è “laureato” su facebook , chi crede ciecamente alle affermazioni anche più improbabili, agli esperti del nulla non ha incertezze, non ha dubbi e, di solito, non affronta criticamente le questioni e io, francamente, faccio fatica a confrontarmi con chi non dialoga, ma afferma in modo assoluto.

Per anni ho cercato di insegnare ai miei ragazzi a porsi dei dubbi, a farsi delle domande, a non fidarsi in modo acritico di chi “possiede la verità”, anzi li incitavo a verificare anche le mie affermazioni, a non fidarsi neppure di me.

Spero francamente che non sia stata fatica sprecata, spero di aver aiutato a crescere donne e uomini liberi.

Io, per quanto mi riguarda, in momenti come questi preferisco tacere anche perché sono un po’ stufa di combattere contro i mulini a vento.

Marsala (Sicilia)

Fenomenologia della coda.

Una delle conseguenze più evidenti della pandemia consiste nel fatto che, per amore o per forza, anche noi italiani abbiamo dovuto imparare a metterci in coda, ma anche in questa circostanza, regolamentata e contingentata, ho potuto osservare che, anche nel mettersi in coda, esistono diversi stili e modalità.

Ecco una breve panoramica di tipi umani che, visto che avevo tempo a disposizione, ho potuto osservare:

L’ansioso/a: si avvicina alla coda con affanno perché ha lasciato le pentole sul fuoco o nella borsa ha i surgelati che si scongelano o c’è un fantomatico aereo in partenza (che in tempo di pandemia è una gran bella scusa). Di solito procedendo a passo lesto e schiena dritta supera tutte le persone in fila che, di solito, non hanno il tempo di reagire.

Il rettile: striscia, si insinua, serpeggia. Lo senti alle tue spalle, ti distrai un attimo e lo trovi di fianco a te, distogli lo sguardo infastidito e quando guardi di nuovo lo vedi tre persone davanti a te che, con sinuose manovre, si ritrova in testa alla coda.

L’inconsapevole: Non capisce che c’è la coda, non l’ha vista, non ne conosce lo scopo, con aria confusa e un gran punto di domanda stampato in fronte, sorpassa tutti. Qualche volta mette in atto una strategia sopraffina: chiede un’informazione al primo della coda e poi resta lì. Viene voglia di strangolarlo, ma ormai è troppo lontano.

Il congiunto: vi mettete in coda tutti contenti perché davanti a voi ci sono solo cinque persone, peccato che ognuna di queste venga raggiunta da un numero ragguardevole di mogli, figli, nipoti, amici d’infanzia o, come si usa oggi, affetti stabili. E’ inutile protestare, ci vorrebbe un lanciafiamme.

L’interrogativo: si avvicina alla coda con aria smarrita, sussurra “devo solo chiedere una cosa” e sorpassa tutti. Di solito la “cosa richiesta” richiede una ventina di minuti.

Polonia - Danzica

Estate 2020

E’ cominciata ufficialmente l’estate anche se, dopo la grandinata di ieri nel pomeriggio, questa mattina la temperatura era freschina.

Fino a due anni fa attendevo l’estate con una punta di impazienza perché la seconda metà di giugno rappresentava per me, prima di tutto, il mio compleanno e poi la fine della scuola (come studente per un po’ di anni e poi, per molti, come insegnante) e l’inizio delle vacanze e le lunghe giornate in montagna piene di sole e di acquazzoni improvvisi e di scarpinate con lo zaino in spalla e le notti in alta quota.

Ora il compleanno non mi entusiasma più tantissimo (più si accumulano gli anni e meno viene voglia di contarli) e, da quando sono in pensione, la vita è una lunga vacanza per cui l’arrivo dell’estate non è più così atteso, ma è semplicemente un’altra stagione che inizia.

Eppure queste giornate così lunghe, con la luce che indugia fino a sera e le cene sul balcone tra i fiori e i voli delle rondini mi riempiono di gioia e sento un po’ la magia del solstizio d’estate.

Molti si chiedono come sarà quest’estate, molti si interrogano su come saranno le vacanze, se si potrà andare in spiaggia, se si potrà viaggiare tranquillamente, io non mi faccio troppe domande, so già che se farà molto caldo me ne andrò nella mia casetta tra i monti e passeggerò nei boschi dove tenere il distanziamento sociale non è difficile, so già che non partirò per il mio solito viaggio nella seconda metà di agosto, ma aspetterò l’autunno, se andrà tutto bene, per cercare l’estate nel deserto del Marocco, so già che sarà un’estate diversa perché ogni estate è diversa.

Alpe Giumello

Italia-Germania 4 a 3.

Intendiamoci, il calcio mi interessa poco, ma ci sono delle occasioni in cui anche la mia indifferenza viene meno, soprattutto se è la sera del mio diciassettesimo compleanno e dopo la torta e i festeggiamenti in famiglia si decide di non andare a dormire (tanto la scuola è finita e non bisogna alzarsi presto) perché c’è la semifinale dei mondiali che si gioca a Città del Messico.

La partita in Italia comincia a mezzanotte, ma non finisce mai, è un continuo rovesciarsi di fronti, con l’Italia che si chiude a difendere il gol a inizio partita di Boninsegna, la Germania che continua ad attaccare, gli inevitabili contropiede e quando sembra che stia per finire con la vittoria italiana, proprio al novantesimo il “mio” adorato Schnellinger, il terzino dell’unico Milan di cui ricordi a memoria la formazione, segna il suo primo (e credo unico) gol in quarantasette presenze nella Nazionale tedesca.

Comincia così l’agonia dei tempi supplementari e la partita si fa veramente emozionante con il vantaggio di Muller, il pareggio di Burnich, il gol dell’immenso Riva, il pareggio di Muller e, dopo solo un minuto, il gol della vittoria di Rivera.

Dopo il fischio finale fu come se tutti avessimo ricominciato a respirare, come se avessimo vissuto tutti quegli interminabili minuti in apnea.

Domani la “partita del secolo” compie mezzo secolo e la cosa che mi fa riflettere è che anch’io, anche se non me ne rendo conto, ho mezzo secolo in più.

Milano - Portello

Una scuola fatta di “persone”.

Alessio non era un mio allievo, ma ci siamo trovati subito, durante l’intervallo mi ronzava attorno e adorava infilarsi a tradimento nella mia classe, era un ragazzino pieno di interessi e passioni tra le quali quella per la geologia e i minerali, io gli avevo regalato quelli che, per me, erano solo “sassi” ed eravamo diventati amici.

Poi lui è cresciuto e io sono invecchiata, ma siamo ancora amici, quando ci incontriamo per strada o al bar ci facciamo grandi feste e condividiamo la passione per la fotografia e per il cielo.

Ogni tanto mi regala, sulla mia pagina di Facebook, qualche foto della Luna o di Venere o di qualche costellazione, foto che rivelano un grande amore per l’astronomia e una infinita pazienza.

Per questo motivo oggi, contrariamente a quello che faccio di solito, pubblicherò sul mio blog una foto non mia, ma di Alessio, una foto stupenda, tanto bella da sembrare “finta”, una foto che racconta di una grande passione, di pazienza, di sensibilità, di amicizia.

Grazie Alessio.

Foto di Alessio Ursino

10 Giugno 1940.

. “Ho bisogno soltanto di qualche migliaio di morti ” aveva affermato Mussolini “per potermi sedere da ex-belligerante al tavolo delle trattative”.

E così, il 10 giugno del 1940, proprio ottant’anni fa il Duce annunciava davanti ad una folla entusiasta, dal balcone di Palazzo Venezia: “Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia.”

Mio padre, che quel giorno era poco più che ventenne, ricordava spesso che aveva ascoltato la dichiarazione di guerra, schierato con i suoi commilitoni, nella caserma di Santa Maria Capua Vetere dove stava facendo il corso di addestramento nell’arma del genio radiotelegrafisti e raccontava che, pur non dandolo a vedere, dentro di sè si era sentito morire.

Poi, alla prima licenza, era scappato facendo praticamente l’autostop ed era tornato per poche ore a Milano per salutare la madre, il padre e i tre fratelli minori e, mentre abbracciava mio nonno, sentì un brivido ed ebbe la consapevolezza che non l’avrebbe più rivisto (come poi in realtà avvenne perchè mio nonno morì prima del suo ritorno).

E poi fu la guerra, per un anno e mezzo nel deserto della Libia e dell’Egitto, e poi la cattura da parte degli inglesi e la prigionia a Zondewater in Sud Africa e il lavoro in una farm per cinque lunghi anni.

Quando tornò a casa era il febbraio del 1947, arrivò con il treno, dopo la navigazione lungo il Mar Rosso e il Canale di Suez, in una Milano irriconoscibile, devastata dai bombardamenti, in una Italia irriconoscibile che l’anno prima era diventata una Repubblica, in una famiglia irriconoscibile perchè i fratelli minori avevano timore ad avvicinarsi a questo uomo smagrito, un po’ smunto, provato nel morale e nel fisico, vestito con un cappotto che recava la scritta POW sulla schiena.

La guerra gli aveva tolto la giovinezza, la fidanzata che ne frattempo lo aveva lasciato, il sogno di frequentare l’Università, la speranza di costruirsi un futuro più roseo di quello che avevano vissuto i suoi genitori, ma gli aveva lasciato la vita e la voglia di ricominciare, di costruirsi una famiglia e di vivere una vita piena e serena, come poi, in realtà, è stato.

DERNA

Aule, banchi e plexiglas.

Si è parlato, talvolta a sproposito, di presunte quanto improbabili barriere di plexiglas con cui isolare i ragazzi al loro ritorno a scuola e io, da vecchissima insegnante ormai in pensione, ho cercato di visualizzare questo scenario.

Ho provato ad immaginare la mia ultima classe, composta da venticinque adolescenti moderatamente scalmanati, stipati nell’aula con banchi, zaini e paraventi di plexiglas.

Li ho visti alzarsi di scatto o spenzolarsi verso un compagno tirando clamorose capocciate nelle barriere (e meno male che sono infrangibili), li ho visti tornare accaldati dalla palestra e perdersi in una nebbia di vapori più o meno corporei, li ho visti tentare di copiare o di suggerire una risposta (lo so che non si fa, ma un’insegnante accorta sa quando chiudere un occhio), ho sentito le loro voci rimbombare, li ho immaginati rinchiusi nei loro spazi ristretti, anzi francamente non sono riuscita ad immaginarli: i ragazzi di quattordici anni sono incapaci di tenere il “distanziamento sociale” in classe e quando sciamano nei corridoi durante l’intervallo.

Non ho una soluzione ( e, per fortuna, non mi compete cercarla), ma è evidente che le nostre aule sono troppo piccole e le nostre classi troppo numerose per tenere i ragazzi, per sei ore, ad una distanza ragionevole e forse è il caso di cominciare a pensare ad un’altra organizzazione delle lezioni e degli spazi.

cavenago scuola

L’ultimo giorno di scuola.

L’ultimo giorno di scuola non può lasciare indifferenti, soprattutto quando è l’ultimo giorno di un ciclo di studi: ho visto ragazzi urlare felici gettando i libri in aria, ho visto ragazzi in lacrime seduti sui gradini della scuola, incapaci di staccarsi dai compagni di tante avventure, ma raramente ho visto qualcuno andarsene a casa come se niente fosse.

Anche per gli insegnanti è un momento importante, particolarmente alle medie, quando ci si rende conto di aver accompagnato all’uscita quelli che, solo tre anni prima, sembravano (ed erano) poco più che bambini ed ora sono degli adolescenti proiettati verso il futuro (quanto roseo dipende, in gran parte, da loro e dal lavoro fatto insieme per tre anni).

Quest’anno i ragazzi sono stati “scippati” di questo momento di passaggio, ma hanno anche scoperto, stando a casa davanti allo schermo del computer, che la scuola non è solo un susseguirsi di ore, mesi, anni di compiti, lezioni e cose da imparare e, qualche volta, di noia, ma è un mondo di relazioni in cui si impara, nel rapporto con i compagni e con gli adulti, a diventare grandi e forse, anche per questo motivo, non essere lì, in classe, al suono dell’ultima campanella lascia un po’ di amaro in bocca.

Oggi è mancato il conto alla rovescia degli ultimi secondi dell’anno, sono mancati i sorrisi e le lacrime, sono mancati gli abbracci, è mancato quel guardarsi negli occhi per scoprire nell’altro, che ti sta di fronte, i tuoi stessi sentimenti: la gioia della fine e già la nostalgia per ciò che è stato, il timore e l’attesa del futuro.

Oggi è stata la fine “strana” di un anno scolastico “strano”, un anno scolastico da ricordare.

cavenago scuola

Inguaribile ottimismo.

In piena pandemia, quando non era ancora chiaro se e quando saremmo usciti di casa, per respirare un minimo di normalità ho fatto un colpo di testa e ho prenotato due viaggi per il mese di ottobre (le vacanze estive le passerò tra la mia abitazione e la casa in montagna, rigorosamente entro i confini della mia regione).

In ottobre, invece, se tutto andrà bene farò un viaggio breve tra Lecce e Matera e uno più lungo nel deserto del Marocco (dove direi che il distanziamento sociale è assicurato).

Quindi prenderò un paio di aerei, dormirò in una camera d’albergo, mangerò in un ristorante sempre con le dovute cautele.

Si potrebbe pensare che prenotare un viaggio in queste circostanze sia un azzardo, ma la prenotazione c’è e, prima o poi, sarà possibile tornare a viaggiare in sicurezza e se non fosse ottobre, sarà novembre, o gennaio, o marzo del prossimo anno, ma prima o poi tornerò a volare.

Adesso concentriamoci tutti e cerchiamo di evitare la “seconda ondata”.

Grazie!

In volo da Berlino a Bergamo