Archivi giornalieri: 7 Maggio 2020

Un nigutin d’or.

L’espressione sicuramente suonerà un po’ oscura per chi non è nato a Milano e dintorni, ma è un’espressione che mi fa sempre sorridere perché fa parte del mio lessico familiare.

Quando ero bambina e in casa, con i miei genitori o con le nonne, si giocava a carte o a tombola io, che ero particolarmente competitiva e anche un tantino venale, chiedevo sempre “Cosa si vince?” e, in base alla risposta, decidevo se impegnarmi o meno.

La risposta era invariabilmente “Un bel nigutin d’or faa su in de la carta d’argent” (che tradotto significa grosso modo “un niente d’oro avvolto in carta d’argento”) risposta che non capivo, ma che solleticava la mia fantasia perché l’idea di un oggetto d’oro, avvolto in carta d’argento, mi incuriosiva e mi ingolosiva.

Mi sono presa tante “fregature” da bambina, ma erano fregature bonarie, amorevoli e sorridenti anche perché espresse in dialetto e il dialetto, che capivo a fatica, mi affascinava.

Sono cresciuta parlando sempre in italiano, ma ho sempre sentito parlare in dialetto in casa e ho imparato a capirlo e ad usarlo, in dialetto erano i racconti della nonna che parlava come me, con la erre un po’ francese, in dialetto erano i discorsi dei miei genitori, quando volevano che non capissi (ma poi ho imparato), in dialetto si raccontavano i pettegolezzi le amiche della nonna tra un bicchierino di vermut e i biscotti secchi, in dialetto parlavano il “cervelèe” e il “sciustrèe”.

Oggi, di tanto in tanto, anch’io parlo in dialetto, perché è la lingua della città in cui sono nata e che amo, parlo in dialetto quando mi rendo conto che espressioni come “barlafus” o “va’ a ciapà i ratt” tradotte in italiano perdono forza e non rendono bene l’idea che vogliono esprimere.

Milano - Dal Duomo