Classi senza foto.

Ogni anno, più o meno tra maggio e giugno, in tutte le scuole di ogni ordine e grado si ripete, per le ultime classi, il simpatico (simpatico?) rito della foto di classe, rito al quale i ragazzi si sottopongono di solito con un discreto entusiasmo (per fare la foto, se va bene, si perdono una decina di minuti e quando si tratta di interrompere una lezione tutto fa brodo).

Di solito i ragazzi della scuola media dove ho insegnato si allineavano sui gradini davanti all’ingresso, spintonandosi, accalcandosi, abbracciandosi, qualcuno faceva gesti buffi o espressioni ridicole, insomma mettersi in posa era un momento allegro nel quale la cosa importante non era la qualità della foto in sé, ma il fatto di stare insieme, vicini vicini, con la consapevolezza che, una volta passati gli esami, nonostante le promesse di imperitura amicizia, quel momento non si sarebbe ripetuto più.

La foto di classe fermava, per i ragazzi, un momento di passaggio e di condivisione e creava, per noi insegnanti, un prezioso ricordo.

Quante volte sono tornata a sfogliare l’album delle foto dei miei ragazzi, dei quali ricordo quasi tutti i nomi anche se, quando ora li incontro per strada, non sempre riconosco i volti.

Quest’anno il virus maledetto ha tolto ai ragazzi non solo mezzo anno di scuola, non solo le lezioni e l’allegra fatica di crescere insieme, ma anche la foto di gruppo (scattarla provocherebbe un pericoloso assembramento) e un pezzetto di memoria.

milano scuola elementare 1963 64

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