Un po’ di buon vecchio orgoglio nazionale.

Mi sono sempre definita una “cittadina del mondo” perché mi piace viaggiare, conoscere, imparare, mi piace scoprire negli altri Paesi e nelle altre culture ciò che mi possono insegnare e mi possono rendere migliore, mi piace guardare il mondo senza pregiudizi e chiusure mentali, ma con un atteggiamento di ascolto.

Ma oggi, mentre leggo come altri Paesi affrontano questa emergenza, mentre scopro che, in qualche modo, stiamo esportando anche una sorta di “made in Italy” della lotta al virus, mi sento crescere dentro un po’ di sano orgoglio nazionale.

Sì perché oggi non siamo solo la patria di Leonardo, Michelangelo o Raffaello, oggi non siamo solo la culla del Rinascimento, non siamo solo modelli di moda e design, non ci vantiamo solo di Galileo, Volta, Marconi e Fermi, non siamo soltanto il Paese della cucina più buona del mondo, della pizza, del Barolo, dei cannoli siciliani, del Parmigiano Reggiano (e di tutte le altre eccellenze gastronomiche).

Oggi l’Italia non è solo il Paese di Roma, Firenze, Venezia, Napoli e Milano.

Quello che mi rende orgogliosa è il fatto che, in questa emergenza, l’Italia ha risposto con la sua incredibile creatività ed è il Paese dove i camici li taglia Armani, le mascherine le produce Gucci e la Ferrari fa le parti dei respiratori e Ramazzotti fa i disinfettanti.

Ma il mio orgoglio nasce anche dal fatto che molti imprenditori, forse meno illustri, si stanno adoperando per convertire le proprie industrie, i propri laboratori in modo da produrre tutto ciò che può essere utile a combattere questa lotta.

L’Italia è il Paese delle pizze regalate ai medici, delle “colazioni sospese”, degli innumerevoli volontari che consegnano a domicilio cibo e farmaci, di chi conforta e aiuta chi non ha nessuno magari solo con una telefonata, di chi fa semplicemente il proprio dovere, ma lo fa con il cuore.

Ho sempre amato il mio Paese, ma oggi, forse, ho qualche motivo in più.

Milano - Cenacolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.