Archivio mensile:Aprile 2020

Classi senza foto.

Ogni anno, più o meno tra maggio e giugno, in tutte le scuole di ogni ordine e grado si ripete, per le ultime classi, il simpatico (simpatico?) rito della foto di classe, rito al quale i ragazzi si sottopongono di solito con un discreto entusiasmo (per fare la foto, se va bene, si perdono una decina di minuti e quando si tratta di interrompere una lezione tutto fa brodo).

Di solito i ragazzi della scuola media dove ho insegnato si allineavano sui gradini davanti all’ingresso, spintonandosi, accalcandosi, abbracciandosi, qualcuno faceva gesti buffi o espressioni ridicole, insomma mettersi in posa era un momento allegro nel quale la cosa importante non era la qualità della foto in sé, ma il fatto di stare insieme, vicini vicini, con la consapevolezza che, una volta passati gli esami, nonostante le promesse di imperitura amicizia, quel momento non si sarebbe ripetuto più.

La foto di classe fermava, per i ragazzi, un momento di passaggio e di condivisione e creava, per noi insegnanti, un prezioso ricordo.

Quante volte sono tornata a sfogliare l’album delle foto dei miei ragazzi, dei quali ricordo quasi tutti i nomi anche se, quando ora li incontro per strada, non sempre riconosco i volti.

Quest’anno il virus maledetto ha tolto ai ragazzi non solo mezzo anno di scuola, non solo le lezioni e l’allegra fatica di crescere insieme, ma anche la foto di gruppo (scattarla provocherebbe un pericoloso assembramento) e un pezzetto di memoria.

milano scuola elementare 1963 64

Di prima necessità.

Siamo chiusi in casa praticamente da due mesi, ma non per questo dobbiamo fare penitenza visto e considerato che anche la Quaresima è passata.

Ci dicono che, visto il poco movimento, non dobbiamo mangiare molto ed è meglio limitarsi nel consumo del vino, ma questo non significa mangiare e bere male, piuttosto significa privilegiare la qualità rispetto alla quantità.

E così, in questi giorni, a casa nostra è arrivato un olio buono buono da Imperia, sono arrivati formaggi freschi e profumati e tutte le settimane una coloratissima cassetta di frutta e verdura allieta la nostra cucina.

Anche i profumi, gli aromi, i sapori e i colori sono beni di prima necessità, ci rallegrano, ci fanno stare bene nonostante il forzato isolamento.

E così (perché no?) abbiamo ordinato del vino da un produttore delle Langhe (ho un’amica da quelle parti che mi ha dato le dritte giuste) e, visto che non possiamo andare nelle cantine, Dolcetto e Barolo sono venuti a casa nostra.

Anche la gioia è un bene di prima necessità.

La Morra (langhe)

Uscita staordinaria.

Non dovevo uscire di casa oggi, ma i miei due portatili mi hanno lasciato a piedi (… e adesso sto scrivendo questo post con il tablet, cosa che mi rende sommamente felice) e allora, dopo fortunosi accordi telefonici, ho portato i miei due “bambini” al mio angelo custode informatico.

Uscire di casa dopo tanti giorni di reclusione mi provoca una specie di stordimento, faccio fatica a respirare con la mascherina, gli occhiali da sole (infilati per evitare la tentazione di toccarmi gli occhi) si appannano ad ogni respiro e i guanti mi intralciano rendendomi più imbranata del solito.

Mi sento come chi muove i primi passi incerti all’aperto dopo una malattia, la luce mi abbaglia e il sole è più caldo di quanto non mi aspettassi, qualche goccia di sudore scivola sotto la mascherina ed è quasi una tortura evitare di toccarla.

Sbrigo le mie commissioni di corsa perché stare fuori di casa mi provoca un disagio sconosciuto: sarà veramente dura tornare alla normalità.

Cavenago di Brianza - Piazza

Torneremo a viaggiare?

Quando sento ripetere che “nulla sarà come prima” mi abbatto perché, per me, il “prima” spesso significava una valigia pronta, una carta d’imbarco, un biglietto del treno, un camminare per strade lontane e vicine, tra palazzi antichi o avveniristici, una libertà di esplorare luoghi sconosciuti o di ritrovare paesaggi amici con un unico limite: l’ammontare del conto in banca.

Viaggiare mi ha insegnato tanto, tutto sommato quanto leggere, e mi ha regalato, oltre alla conoscenza, una infinita gamma di emozioni e il piacere del ricordo.

Mi basta guardare una foto per ritrovare l’aria frizzante di Danzica al mattino e un passero che saltella tra le briciole della prima colazione, per sentire addosso il profumo delle spezie e i suoni del mercato di Marrakech o del Gran Bazar di Istanbul, per lasciarmi accarezzare dal canto dell’Oceano in Portogallo, per seguire con lo sguardo avido le volute Liberty dei palazzi di Riga o di Oradea o di Milano.

Comprendo che, in questo momento, l’idea del viaggio è molto remota, ma non riesco neppure ad immaginare di dover rinunciare all’emozione di un treno che lentamente esce dalla Stazione Centrale o di un aereo che si stacca ruggendo dal suolo, non sopporto l’idea di non poter più visitare luoghi vecchi e nuovi, di non assaggiare più cibi insoliti, di non sentire suoni sconosciuti, di non vedere forme e colori inusuali, di non inebriarmi più di profumi e di aromi esotici.

Per ora sto qui, accarezzo i miei ricordi, sono grata per ciò che ho visto, sentito, imparato in tanti viaggi e coltivo la speranza di ripartire presto, anche per un luogo molto vicino, perché la meta è importante, ma quel che conta è la strada.

Polonia - Danzica

Non perdere la speranza.

Non è facile in questo periodo affidarsi alla speranza, a quella piccola fiammella battuta dal vento che a tratti si ravviva e a tratti si affievolisce.

Non è facile, certo, ma senza la forza che solo la speranza può darci sarebbe difficile affrontare le giornate che sembrano scorrere tutte uguali, in un altalenarsi di emozioni.

Ogni pomeriggio ascolto in modo ormai distratto i numeri e le statistiche, poi all’ora di cena leggo il quotidiano comunicato del nostro Sindaco che ci racconta come è andata la giornata, ci parla dei nuovi contagi, si rallegra con noi per le persone tornate a casa dopo il ricovero ospedaliero, ci esorta a comportarci in modo corretto e ci incita a tener duro, a non abbassare la guardia.

Me lo ricordo a scuola, il nostro Sindaco, ricordo un ragazzino sveglio, ma anche riservato e mi intenerisco quando penso che sulle spalle di quel “ragazzino” oggi grava un peso difficile da sopportare, grava la responsabilità di una intera comunità, gravano le decisioni che devono essere prese per il bene di tutti e i dubbi e i timori.

Alimentare la speranza non è facile, ma necessario, dobbiamo poter credere che usciremo da questo buio, tutti insieme, con calma, senza scomposte euforie, senza fughe in avanti.

Se manterremo i nervi saldi, se non ci faremo prendere dallo sconforto, se riusciremo a tener duro allora, sicuramente, vedremo spuntare l’arcobaleno.

Cavenago - Arcobaleno

Il lunedì dell’angelo.

Ormai tutti, o quasi, chiamano questa giornata “Pasquetta”, come se fosse un’appendice più frivola della Pasqua, ma in realtà è il “Giorno dell’Angelo” perché ricorda l’apparizione del messaggero celeste che annuncia alle donne accorse al sepolcro la lieta novella della Resurrezione.

È la giornata dedicata alle gite fuori porta, ai picnic in famiglia, in un tripudio di lasagne e fettine panate o di grigliate pantagrueliche, ma quest’anno la stragrande maggioranza degli italiani ha dovuto accontentarsi di una gita “dentro porta” e con la porta rigorosamente chiusa.

Al massimo, visto il tepore della giornata, chi ha un balcone o un giardino il picnic lo ha fatto lì, un po’ sotto tono e senza una gran voglia di festeggiare.

Lo scorso anno, in una giornata soleggiata tutto sommato come questa, ero a Milano e passeggiavo tra i fiori del mercatino tradizionale.

Come mi sembra lontana quella giornata luminosa, come mi sembra lontana quella vita serena, quella gioiosa tranquillità, come è mutata la mia vita e che peso mi grava sull’anima!

So che, prima o poi, tutto questo passerà, so che ricorderemo questi giorni come uno di quei periodi della vita che lasciano un segno indelebile e forse tutto tornerà come prima, ma dovrà passare molto tempo.

Milano - Mercato di Sant'Angelo

Sulle montagne russe.

In questi giorni mi sento come sulle montagne russe perché alterno momenti sereni, in cui prevale l’accettazione di questa situazione così inaccettabile, a momenti di scoramento e di tristezza per questo male che sembra non avere fine.

Quando sono giù mi sforzo di fare finta di niente, di ripetermi che “andrà tutto bene”, ma in fondo non ci credo molto.

E allora mi dico che è inutile e forse dannoso cercare di addomesticare i nostri sentimenti.

Perché dovrei nascondere la rabbia per questa clausura forzata, perché nascondere le lacrime che, a tradimento, mi inumidiscono gli occhi, perché dovrei provare vergogna per le piccole gioie o per le ore oziose che scorrono così, come acqua su un sasso, ore in cui avrei tanto da fare, ma non faccio niente perché stare seduta a non far niente mi rasserena?

In questi momenti penso che essere un po’ “egoisti” faccia bene, credo che ci faccia bene prenderci cura di noi, cercare un equilibrio.

Poi, quando usciremo da queste mura che ci proteggono e ci limitano, verrà il tempo in cui rimboccarsi le maniche e darci da fare.

Cavenago di Brianza - Dal balcone

Il tempo silenzioso dell’attesa.

Il Sabato Santo è un giorno di silenzioso ripensamento, ma quest’anno il silenzio fa quasi male.

Per strada vedo pochissime persone, passa qualche auto, ma c’è una grande quiete, una quiete che aiuta a pensare e, per chi crede, a pregare.

E come non pensare alle tante vite spezzate da questa epidemia, come non pensare a chi sta lottando in casa, in un letto d’ospedale, in una terapia intensiva contro una malattia subdola che obbliga a combattere in solitudine?

Il mio pensiero va anche ai molti che sono in pena per un loro caro ammalato, a chi trascorrerà questa Pasqua da solo, alla mia mamma e a tutti gli ospiti della RSA dove vive che non avranno il conforto di un abbraccio, di un bacio, di una carezza.

E poi penso a tutti coloro che stanno lavorando, ai volontari che con generosità si adoperano per permetterci di vivere una vita “normale” in questa incredibile anormalità.

So che questa sera, quando si scioglieranno le campane che annunciano la Resurrezione, i miei occhi si riempiranno di lacrime.

Cavenago di Brianza - Pasqua 2018

Tutto in uno sguardo

Lo sguardo di Maria, scolpito nel marmo sofferto della Pietà Rondanini, parla più di mille parole e, soprattutto in questi momenti difficili, sembra accarezzare l’anima.

In quello sguardo c’è il dolore, certamente, ma c’è anche un’infinita dolcezza, c’è empatia, c’è condivisione.

Penso che oggi abbiamo bisogno proprio di questo, di uno sguardo che non sa nascondere il dolore, ma che riesce ad esprimere anche la vicinanza, la comprensione.

Ho visto questi occhi, con questi sentimenti, nei volti dei medici e degli infermieri, volti coperti da una mascherina, ma che mostrano, al di là della stanchezza e spesso della frustrazione, uno sguardo che parla e che esprime ciò che non si riesce ad esprimere a parole.

Milano - Castello Sforzesco - Pietà Rondanini

La mia “fase due”

Dopo un mese abbondante di isolamento sono entrata ufficialmente nella mia personale “fase due” che non consiste, come si potrebbe credere, in un allentamento dell’attenzione, ma, al contrario, in una sorta di generale rallentamento della mia quotidianità.

Ormai la porta di casa è diventata un limite invalicabile, quasi avessi il braccialetto elettronico, non esco quasi più, neanche per gettare l’immondizia che, ormai, raccolgo accuratamente nei vari contenitori e porto in cortile una volta alla settimana (con l’eccezione del multipak che mi regala un’uscita straordinaria ogni quindici giorni): quando scendo porto con me la carta, il vetro, il sacchetto rosso e quelli dell’umido e così colgo la rara occasione di fare un giro in giardino e di godere del silenzio della notte e di ammirare la luna.

Mi sembra quasi di essere in vacanza.

Per il resto mi alzo abbastanza tardi, sbrigo qualche faccenda domestica, programmo pranzo e cena (con un’occhio ad evitare l’eccesso di calorie), passo un po’ di tempo sul balcone che, in questi giorni, è inondato di sole, mi sforzo di fare qualche esercizio fisico, guardo pochissimo i notiziari e penso, penso tantissimo.

La mia “fase due” non prevede nessun “liberi tutti”, ma è all’insegna della lentezza, del ripensamento, dell’attesa senza grandi illusioni, della memoria, della compassione, della condivisione.

Sto accettando abbastanza serenamente l’idea che il ritorno alla normalità (quale normalità?) sia ancora lontano e incerto, non mi attacco alle scadenze dei vari decreti, non mi lascio illudere da date che sono destinate ad essere procrastinate, ma aspetto, tranquillamente senza farmi prendere dall’ansia.

E, d’altra parte, non c’è altro da fare.

Cavenago di Brianza - Dal balcone