Archivio mensile:Marzo 2020

E poi, alla fine, sono rimasta qui.

Chi mi conosce sa che ho una casa in Valsassina, tra le montagne che mi hanno visto crescere, e spesso qualcuno mi chiede perché non passi buona parte dell’anno lassù.

Di solito rispondo che non mi sono ancora trasferita nel luogo che tanto amo perché la mia mamma, ultranovantenne e ricoverata in una casa di riposo, ha bisogno della mia presenza continua, possibilmente quotidiana e per questo preferisco restare a poche centinaia di metri da lei.

Tre settimane fa, tuttavia, quando la struttura dove vive ha iniziato a limitare e poi a vietare le visite ho avuto la tentazione di partire: in fondo la vita è qui e la vita è là, con la differenza che là il panorama è decisamente più attraente e passeggiare nei boschi è diverso dal camminare sull’asfalto e poi c’è ancora la neve.

Quando questa idea mi ha attraversato la mente ci si poteva ancora spostare, si poteva, con qualche cautela, uscire di casa e, in fondo, andare lassù non mi sembrava poi tanto male.

Ma poi ho pensato che, se la situazione fosse precipitata, mi sarei trovata in un luogo con pochi negozi, lontana dal mio medico anche se abbastanza vicina ad un ospedale importante, in un esilio dorato, ma distante dalle persone che mi sono care.

E così non sono partita.

Ora sono contenta di essere restata, anche se non incontro nessuno, anche se esco di casa solo per pochi minuti e non tutti i giorni, anche se il panorama che vedo dalla mia finestra è fatto di edifici e muri e finestre, sono contenta perché mi sarebbe sembrata una fuga, perché preferisco stare qui, tra le persone che conosco e che amo.

Altri, vista la chiusura delle scuole e il rallentamento delle attività produttive, hanno deciso per tempo di spostarsi, ma ora leggo che alcuni Comuni della Valle stanno chiedendo ai “villeggianti” di tornare ai luoghi di residenza per non rendere critica la situazione sanitaria e degli approvvigionamenti di comunità che hanno i servizi dimensionati su poche decine di persone per la maggior parte dell’anno e penso che sia una richiesta saggia.

Sono qui e le mie montagne mi mancano tantissimo, ma attendo la fine di questa emergenza per tornare lassù, per passeggiare nei boschi, per starmene sul balcone ad ammirare i monti.

Moggio

Voglia di leggerezza.

Ho ben compreso la situazione attuale, sono sufficientemente allarmata, mi attengo il più possibile alle regole, ma non riesco più ad ascoltare le notizie dei telegiornali, non riesco più a sentire i dati che sembrano quelli di un bollettino di guerra, le analisi e le contro analisi degli esperti più o meno esperti.

Per la mia salute mentale ho bisogno di un po’ di leggerezza, ho bisogno di leggere un libro divertente, di ascoltare musica scatenata, ho bisogno di ridere fino alle lacrime guardando un vecchio film comico, ho rispolverato su Rayplay le puntate di “Indietro tutta” (chi se lo ricorda Arbore, il Cacao Meravigliao e il “Bravo presentatore”?).

Da sempre ho imparato, nei momenti di crisi, a trovare qualcosa che mi permetta di sorridere, l’ho fatto quando si sono ammalati mio marito e mia madre, l’ho fatto quando le mie giornate passavano tra un ospedale e l’altro perchè ho imparato che, quando la situazione si fa difficile, viene voglia di sbattere la testa contro il muro, ma so che una volta che uno ha finito di sbattere la testa contro il muro i problemi restano e, in più, la testa fa male.

E allora cerco di trascorrere le giornate facendo cose che mi divertono, cucinando dolci (alla fine di questa quarantena sarò obesa), curando i miei fiori, nonostante non abbia un pollice particolarmente verde (forse a furia di insistere diventerà un po’ più verde, tanto di tempo ne ho a bizzeffe).

E poi ogni tanto mi incanto a sognare, a progettare quello che farò (o forse non farò) quando ritroverò la mia libertà di movimento e, nel frattempo, cerco di riallacciare i rapporti con amici che non vedo da tanto tempo, che quando potevo incontrarli ho trascurato e che ho promesso a me stessa di rivedere presto.

Ho voglia di pensieri leggeri, ho voglia di una vita leggera come un soffio di brezza.

fiori

Oggi andiamo a Brera.

Brera, per chi non è di Milano, è un quartiere del centro storico, molto elegante, con le strade in ciottoli su cui si affacciano locali alla moda, boutique di lusso e negozi di alimentari di nicchia e che ruota intorno alla Pinacoteca omonima in cui sono esposte preziosissime opere d’arte di secoli diversi.

Oggi in realtà non andremo fisicamente a Brera, visto che anche andare in farmacia o al supermercato è un’impresa, e comunque la troveremmo chiusa e rischieremmo qualche sanzione, ma vorrei regalare a chi, come me, se ne sta in casa, un’immagine di rara bellezza con l’invito di andare a vedere i dipinti di persona non appena sarà possibile.

Tra le opere che amo particolarmente c’è il “Polittico di Valle Romita” di Gentile da Fabriano, un dipinto su tavola in tempera e oro che raffigura, nella parte centrale,  l’Incoronazione della Vergine con una raffigurazione della Trinità e, in basso, un coro di angeli musicanti.

I quattro pannelli di contorno rappresentano San Girolamo , San Francesco d’Assisi, San Domenico e la Maddalena che posano i piedi su un prato fiorito
dove sono dipinte infinite specie botaniche con la massima precisione.

Ecco oggi vorrei regalare questo pezzetto di prato perché, ogni tanto, ci vuole un po’ di bellezza e perché spero che, quando tutto questo sarà solo un ricordo, ci siano code da “supermercato al tempo del coronavirus” per vederlo di persona perché, credetemi, è tutta un’altra cosa.

Milano - Brera
Milano - Brera


Virtualmente.

Sono ubbidiente, sto in casa il più possibile ed esco solo per fare la spesa (al massimo per una ventina di minuti tenendomi a debita distanza dai miei simili) e non solo perché ho paura di ammalarmi, ma soprattutto perché non sopporterei il rimorso di recar danno ad altri che mi sono cari e che, magari, sono più deboli e più indifesi.

Sono una vagabonda nata e stare chiusa in casa mi rattrista. come pensoo che rattristi molti, ma è necessario per il bene di tutti e allora facciamolo.

Fuori c’è il mondo ancora tutto da scoprire, ma per ora può attendere.

Quello che posso fare è regalare qualche viaggio virtuale, pescando tra i miei ricordi, a me e a quanti, come me, vorrebbero poter andare in giro, ma non possono farlo.

Quello che vorrei regalare stasera è un ricordo di un luogo e di una esperienza bellissima di qualche anno fa, il ricordo del volo in mongolfiera, all’alba, sulla Cappadocia che è una delle regioni più belle della Turchia.

Virtualmente teniamoci per mano e libriamoci nell’aria tersa, mentre il sole sorge dietro i vulcani all’orizzonte, e sotto di noi si spalanca un paesaggio fatto di cuspidi e di vallate e il cielo si popola di decine di palloni colorati.

Lassù c’è bellezza, c’è libertà, c’è il sogno, perdiamoci in questo incanto e, per un attimo, dimentichiamo ogni tristezza.

Cappadocia - Volo in mongolfiera

E’ il momento dei “fessi”.

Fin da quando ero bambina mi hanno insegnato che le regole si rispettano, anche quando non si capiscono, non si condividono o non ci piacciono perché le regole sono utili per vivere insieme, in modo civile.

Tante volte sono stata considerata un po’ “fessa” da chi non rispetta le regole, da chi, per esempio, non si mette in coda, parcheggia dove non deve, aggira i controlli, non paga il biglietto del metrò butta i sacchetti dell’immondizia dove capita e si considera “furbo” perché vive come gli pare e non si fa tanti problemi.

Oggi però sono contenta di non essere “furba”, di aver imparato che se ci sono delle regole bisogna rispettarle, di essere addestrata alla disciplina e all’autocontrollo, anche se, a guardar bene, tendenzialmente sarei un po’ anarchica.

Sono contenta perché, anche se le restrizioni della mia (e di tutti) libertà personale non sono gradevoli, non mi pesano più che tanto perché so che sono necessarie.

E’ scattata l’ora dei “fessi” che, magari, ora si rendono conto di non esserlo poi tanto.

Milano Centrale - Treno storico

Un giorno dopo l’altro.

Questo tempo stranamente sospeso scivola via lentamente, tra notizie allarmanti e gesti ripetuti in modo quasi rituale.

Alla mattina mi alzo, misuro la temperatura (ormai è un gesto abituale come bere il primo caffè) esco di casa, vado a bere un caffè ( un altro?) al bar tenendomi a debita distanza dagli altri avventori seduta ad un tavolino possibilmente isolato, ci metto meno di dieci minuti e poi torno all’aperto, cammino un po’ e torno a casa, lavo le mani (e disinfetto lo schermo del cellulare) e poi sbrigo le mie faccende, leggo un po’, guardo la televisione, lavo le mani, curo i miei fiori sul balcone, lavo le mani e poi mi metto anche un filo di crema perchè ormai sono ruvide come carta vetrata, nel pomeriggio esco di nuovo e cammino, cammino, poi passo ad acquistare un pacchetto di sigarette misurando ad occhio una distanza di due metri dagli altri umani e torno a chiudermi in casa.

Non stringo mani, non bacio e abbraccio, non vado neppure a trovare mia madre (ormai l’ingresso è praticamente proibito) e quando riesco a telefonarle la sento sempre più avvilita e distante.

Il tempo passa così: non parlo quasi con nessuno, non incontro quasi nessuno, mi limito a starmene al sole sul balcone e a contemplare i miei fiori.

Non vedo l’ora che questa “nottata” passi.

Cavenago di Brianza - Fiori

Questa sera niente teatro.

Il cartellone del TeatrOreno questa sera avrebbe previsto lo spettacolo “Barzellette” di Ascanio Celestini che, responsabilmente, in ottemperanza alle direttive della Regione Lombardia, è stato annullato.

Mi spiace un po’, ma, d’altra parte, la decisione degli organizzatori è stata corretta e io stessa, qualora lo spettacolo non fosse stato annullato, avrei rinunciato perché è veramente difficile mantenere le distanze in una platea teatrale.

E’ un momento triste per il paese con le scuole chiuse, le biblioteche a mezzo servizio, i musei con gli ingressi contingentati, con le lezioni scolastiche online, le gite scolastiche sospese e i ragazzi che comunque si ritrovano nei parchi o nelle case e fanno gruppo perché è quasi impossibile impedire l’aggregazione degli adolescenti.

Mi rendo conto che il mio è un suggerimento quasi “umoristico”, ma mi piacerebbe che i ragazzi usassero una parte di questo tempo inaspettatamente “libero” per accostarsi alla lettura, per trovare in sè qualche passione, per scoprire e valorizzare un talento, per imparare cose nuove, per coltivare qualche nuovo interesse.

Mi piacerebbe che i ragazzi riscoprissero il valore del tempo e riuscissero a riempirlo con tante cose belle.

Milano - Kasa dei libri

Tentazioni autarchiche.

Leggo sui social network post inneggianti a un ritrovato spirito nazionale (anzi lo definirei nazionalistico) in risposta alle frontiere (delle altre nazioni) chiuse, ai voli cancellati, al sospetto con cui noi italiani (o per meglio dire lombardo-veneti) siamo visti dagli stranieri (… e talora anche dai nostri connazionali di altre regioni).

I post sono del tenore “compriamo italiano, viaggiamo italiano” dimenticando che senza “gli altri” non potremmo neppure bere il primo caffè della mattina, a meno che non torniamo, come ai tempi della “vera” autarchia, ai surrogati dal sapore indefinibile.

Posso capire che sentirsi discriminati, esclusi, “diversi” possa farci male, ma dobbiamo essere razionali e comprendere che, nel mondo globalizzato, le emergenze si affrontano tutti insieme.

Quando tutto questo sarà finito siate certi che ricominceremo a viaggiare anche all’estero, a mangiare sushi, ad acquistare prodotti cinesi così come “gli altri” torneranno a visitare le nostre città d’arte, le nostre coste, le nostre splendide montagne, torneranno ad acquistare il “made in Italy” e ad invidiare la nostra moda e il nostro design.

Torino 2011

Il diritto di sapere, il dovere di informare.

In questi giorni tutti sono (siamo) a caccia di informazioni che possibilmente ci rassicurino o, per lo meno, ci diano un quadro realistico della situazione.

D’altra parte i giornali, i telegiornali, i talk show e i social network sono prodighi di notizie, di numeri dati spesso alla rinfusa, senza parametri di riferimento, di consigli su cosa fare e cosa non fare, di analisi, di previsioni, di interpretazioni, di congetture, di soluzioni.

L’incontro tra la fame di informazioni e l’abbondanza di notizie più o meno utili genera spesso una grande confusione, una grande incertezza, un ondeggiare tra il panico e la faciloneria.

E’ forse giunto il momento in cui chi ci governa si assuma anche la responsabilità di darci le informazioni necessarie e lo faccia con una voce sola, autorevole, credibile liberando il campo da congetture, illazioni, pareri e consigli non verificati e non verificabili.

Succede così anche quando si è in volo e si attraversa una turbolenza e, quando la paura comincia a serpeggiare, la voce del comandante ci avverte di allacciare le cinture e stare tranquilli e ci dice cosa fare perché ha tutte le informazioni per comprendere la situazione e gestirla.

Se non sentissimo quella voce ferma e calma, ma allo stesso tempo autorevole probabilmente si scatenerebbero scene di panico da “Aereo più pazzo del mondo”.

In questo momento questo ci serve, non “veline di regime”, non notizie addomesticate, non sensazionalismi, ma informazioni vere, reali ed utili.

In volo da Berlino a Bergamo

Come in estremo oriente.

In Giappone, generalmente, ci si saluta con un inchino, anche se agli stranieri è gentilmente concessa la stretta di mano.

In questi giorni vedo molti salutarsi stando a debita distanza (almeno un metro, meglio se due), i baci e gli abbracci sono banditi, le strette di mano mal tollerate, meglio un inchino di vago sapore nipponico appena abbozzato o un lieve agitare della mano in puro stile “Windsor”.

L’emergenza sanitaria sta stravolgendo le nostre abitudini e non solo per quanto riguarda i saluti, nei locali pubblici tutti cercano di mantenere una distanza di sicurezza (ci voleva un virus per obbligarci alle distanze di sicurezza e speriamo che anche gli automobilisti ne facciano tesoro), non si beve più il caffè “veloce” al bancone del bar, ma ci si siede ad un tavolino e si aspetta, non si esce di casa se non è necessario, ma ogni tanto uscire è proprio una necessità fisica e mentale.

Non so immaginare quanto durerà tutto questo, ma “dopo” sicuramente ci risveglieremo diversi, non so se cambiati in meglio o in peggio, ma diversi.

Spero solo che ciò che stiamo vivendo ci insegni ad essere più attenti agli altri, più aperti, più riflessivi, meno egoisti, più tolleranti, più possibilisti e forse anche un po’ più buoni.

Milano - Expo 2015