Emozioni mutevoli.

Una settimana fa, in tutta la Brianza, stavamo sui balconi e battevamo le mani e sentivamo le campane suonare a festa e una strana voglia di festeggiare, una settimana fa eravamo probabilmente animati da sentimenti di speranza, eravamo alla fine della prima settimana di isolamento e, anche se i numeri non promettevano niente di buono, c’era un desiderio di credere nel “lieto fine”.

Dopo una settimana c’è un sentimento di profondo scoramento perché comincia a serpeggiare la sensazione che i sacrifici servano a poco e, contemporaneamente, c’è una rabbia dentro che spinge a cercare qualcuno a cui dare la colpa (l’untore di manzoniana memoria) e allora ce la prendiamo con chi cammina per strada, magari per andare a fare la spesa o a lavorare o a dare una mano ad un familiare anziano e solo, ce la prendiamo anche con chi cammina a passo svelto, si tiene a distanza da tutti e sta all’aperto per il tempo strettamente necessario.

Siamo arrabbiati perché vediamo i numeri crescere e abbiamo l’impressione che non vedremo mai la luce in fondo al tunnel, ma ci dimentichiamo che i malati di oggi probabilmente sono stati vittime del contagio tre settimane fa (pensiamoci erano i giorni di carnevale), quando i negozi e i bar e i ristoranti erano aperti, quando uscivamo liberamente (anche se con qualche cautela da parte dei più previdenti), quando ci soffermavamo a commentare la situazione in piazza con gli amici.

Se è vero che l’incubazione può durare anche quattordici giorni, se non addirittura venti, chi ha la febbre da una settimana può aver contratto la malattia quando ancora era sconosciuta e lontana.

Questo non significa che dobbiamo abbassare la guardia, significa solo che dobbiamo tenere i nervi saldi, mantenere l’isolamento il più possibile, imparare ad avere pazienza perché i numeri (i dannati numeri) arrivano come onde che partono da molto lontano, sono come i cerchi d’acqua in uno stagno, ma non ricordiamo più quando abbiamo gettato il sasso.

In una civiltà del “tutto e subito” vorremmo vedere i risultati immediatamente, ma dobbiamo accettare l’idea che, in questa situazione, non è possibile.

E allora non facciamoci prendere dalla disperazione, armiamoci di pazienza ed impariamo ad aspettare, approfittiamo di questo tempo sospeso per pensare ai nostri cari, alle persone che sono separate da noi, a quelli che possiamo aiutare, magari anche solo con una telefonata, alle tante persone (non sono numeri) che non ce l’hanno fatta, a quelle che conosciamo e a quelle che non conosciamo e, se crediamo, preghiamo, magari in silenzio, per chi è malato, per chi è nel dolore indicibile di un lutto, per chi è solo tra quattro mura e non ha nessuno con cui condividere la paura e il dolore.

Spero solo che questa prova ci insegni ad essere un po’ più saggi, un po’ più buoni.

Bergeggi

2 pensieri su “Emozioni mutevoli.

  1. marisa

    Stamattina il telegiornale racconta di una decrescita significativa che fa ben sperare, dai tutto questo finirà e potremo ricominciare a vivere, spero meglio di prima.
    Un caro saluto. Marisa

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