Archivio mensile:Febbraio 2020

Don Lisander aveva capito tutto.

 “Si potrebbe però, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare.”

Così, nel capitolo XXXI dei Promessi Sposi il Manzoni critica il percorso tortuoso che porta, dopo infinite discussioni ed elucubrazioni, i tanti “dotti” o presunti tali a riconoscere l’effettiva esistenza della peste, oltre che ad attribuirla ad un complotto internazionale messo in atto attraverso gli untori.

E’ incredibile come, rileggendo i capitoli della peste manzoniana, si scoprano tante analogie con il presente, tante reazioni e comportamenti che potremmo definire “contemporanei”, ma non c’è da stupirsi: il Manzoni conosceva bene l’animo umano e l’uomo, pur con tutto il suo progresso, pur con le conoscenze e le tecnologie resta sempre simile a se stesso.

In questi giorni di quarantena più o meno volontaria consiglio a tutti di andare a dare un’occhiata alle pagine del buon Don Lisander, che possono sembrare un po’ ostiche (il linguaggio è quello che è), ma sono di un’incredibile attualità e verità.

Milano - Piazza San Fedele

L’ultimo giorno di carnevale.

Domani, per gli ambrosiani, sarà l’ultimo giorno di carnevale, un carnevale in tono minore, quest’anno, perchè l’emergenza ha proibito i festeggiamenti e gli assembramenti.

In questi giorni purtroppo si vedono in giro parecchie maschere “antivirus” che hanno proditoriamente sostituito le maschere di carnevale decisamente meno inquietanti delle prime e, temo, ugualmente poco efficaci.

Ma i bambini non ci stanno perché non capiscono bene questa emergenza che già li ha privati dei luoghi naturali di aggregazione come le scuole, le palestre e gli oratori e così, quando possono, si ritrovano all’aperto, al parco o in piazza, vestiti con i loro costumi colorati e si rincorrono e giocano a tirarsi coriandoli e stelle filanti poco interessati alle ordinanze restrittive e alle paure dei grandi.

Anche in tempi come questi i bambini restano pur sempre bambini.

Venezia - Carnevale 2019

Il settimo giorno: l’importanza dei simboli.

La Veneranda Fabbrica del Duomo ha comunicato al sindaco Sala l’intenzione di riaprire, a partire dalla prossima settimana, le porte della Cattedrale (più bella del mondo) ai turisti.

Si tratterà di ingressi contingentati e sarà necessario acquistare i biglietti online e non alle biglietterie sempre affollatissime, ma è già un passo avanti che ha anche un valore simbolico.

Il Duomo che riapre le porte è il simbolo di questa grande città che non si rassegna alla paura, che vuole far le cose con calma e senza pericolose isterie.

Saranno ancora sospese le celebrazioni e il Vescovo celebrerà la Messa delle Ceneri (per noi ambrosiani la Quaresima comincia di domenica) a porte chiuse nella cripta, ma sarà possibile seguire il rito sul Tgr Lombardia e così, in qualche modo, l’intera comunità potrà stringersi idealmente intorno al suo Pastore.

In questi giorni di sospensione delle celebrazioni in tutta la Diocesi di Milano uno dei segni più evidenti della “non normalità” della situazione è il silenzio delle campane che non chiamano più i fedeli ed è un silenzio innaturale, anch’esso in qualche modo simbolico perchè le campane sono mute solo durante i riti della settimana santa, dal venerdì alla domenica quando si sciolgono nel festoso scampanio che annuncia la Resurrezione.

So già che quando sentirò le campane suonare mi si allargherà il cuore.

Milano - Piazza Duomo

Il sesto giorno ovvero “come non diffondere il panico”.

La parola d’ordine è “stemperare la tensione” ed è evidente che non bisogna fomentare le situazioni di panico già largamente diffuse così come non bisogna tacere le notizie, ma neppure porre un’enfasi eccessiva sui numeri, sui casi, sulle “zone rosse”, sulle città svuotate, sugli scaffali desolati.

Il panico fa male prima di tutto alla salute perché non è mai salutare affrontare le emergenze in modo irrazionale, ma fa male anche all’economia con le industrie ferme, i viaggi disdetti, gli alberghi e i ristoranti vuoti.

E’ difficile stare in equilibrio tra una razionale cautela e la paura di un “nemico” che non si conosce, ma mai come in questo momento, in cui tutti abbiamo “fame” di informazioni, è indispensabile che le notizie siano fornite in modo responsabile, sfuggendo alla tentazione del sensazionalismo.

E allora perchè, mi chiedo, un telegiornale, per raccontare una Milano deserta, ha trasmesso l’immagine di una piazza, dalle parti del Portello, che è sempre deserta, come dimostra una mia fotografia scattata in tempi non sospetti (giugno 2014)?

Milano - Portello

Il quinto giorno.

Siamo al quinto giorno dallo scoppio dell’allarme coronavirus in quel di Codogno e zone limitrofe (e al secondo dalle ordinanze restrittive dei Comuni per limitare la diffusione del virus) e il paese, questa mattina (complice anche il cielo grigio), aveva un aspetto vagamente da “apocalisse zombie”: ho dovuto camminare per sei o sette minuti prima di incontrare un essere umano.

Il compenso al bar dove bevo il caffè mattutino gli avventori erano divisi in due gruppi di discussione: da una parte i virologi che elargivano consigli su come scampare al contagio, dall’altra i complottisti, quelli della serie “non ci dicono la verità” , “è un esperimento di guerra batteriologica”, “è un sistema per controllarci tutti, proprio come il chip sotto pelle”

Mi piacerebbe riuscire ad ascoltare discorsi che non abbiano il coronavirus come soggetto sottinteso, ma ormai è un’impresa disperata.

Ho comprato un pacco di sale grosso e non perché devo produrre alcuni ettolitri di Amuchina fatta in casa (su tutti i social girano ricette più o meno fantasiose), ma perchè non vorrei dover mangiare una carbonara completamente insipida.

Sono stata in farmacia, dove in mancanza di mascherine e disinfettanti non c’era quasi nessuno, e ho comprato un termometro (prima di darmi per spacciata vorrei poter controllare la temperatura corporea), perché ho scoperto che in casa ne eravamo sprovvisti (in compenso nella casa in montagna ce ne sono tre).

Per il resto il quinto giorno è trascorso tra le solite occupazioni, l’unica cosa che mi dispiace è di non essere andata a trovare la mia mamma, ma per ragioni di sicurezza siamo stati invitati ad evitare i contatti con gli ospiti.

Le ho telefonato e l’ho trovata abbastanza intristita ed è inutile dire che sentire la sua voce mi ha rovinato la serata.

Cavenago di Brianza - Tramonto

Le mie scorte.

Probabilmente non è solo il terrore dell’epidemia ad aver spinto tante persone a fare incetta di generi alimentari, quanto la preoccupazione di restare chiusi in casa, in isolamento, per chissà quanto tempo con il frigorifero che, inesorabilmente, si svuota.

Anch’io ho questo timore (chi non l’avrebbe?) o, per meglio dire, ho il timore di non poter uscire di casa, io che amo tanto passeggiare e che, almeno una volta alla settimana, vado a Milano a visitare una mostra o un museo.

E allora anch’io ho fatto le mie scorte per combattere la noia: ho tanti libri da leggere e da rileggere, ho tanta musica da ascoltare, ho tanti cassetti da riordinare, ho tanti progetti da studiare e da realizzare quando la bufera sarà passata.

Sono abbastanza sicura che, anche se dovessi restare segregata in casa, saprei come passare il tempo.

Cavenago di Brianza - Vetrine

Sereno anche se…

Forse oggi non è stato un giorno proprio sereno a causa delle notizie sul contagio da Coronavirus, che ricordano un bollettino di guerra, se non nella sostanza sicuramente nei toni, e poi le scuole chiuse, le funzioni religiose sospese, i cinema, i teatri e i musei con le porte sbarrate.

Dai centri commerciali intorno arrivano notizie di “assalti ai forni” di manzoniana memoria, di scaffali vuoti come all’epoca della guerra del Golfo, di tempi di attesa biblici alle casse.

A voler ben guardare c’è poco da stare sereni e non solo per la paura del virus, ma per il timore per le conseguenze sociali ed economiche che questa situazione di forzato blocco delle attività turistiche, industriali e commerciali produrrà fatalmente e non solo nell’immediato futuro.

Oggi sono stata un po’ in volontario isolamento, ho sistemato un po’ la casa, ho fatto il bucato, ho letto un po’, ho sistemato le foglie secche delle mie piantine sul balcone e mi sono appisolata davanti all’ennesimo notiziario televisivo.

E poi sono uscita per andare a trovare mia madre e, mentre tornavo a casa, mi sono trovata di fronte al tramonto, un tramonto stupendo dopo una giornata di cielo sereno (almeno quello) e di colpo l’inquietudine che avevo dentro si un po’ sciolta, e mi sono incantata a guardare il cielo e ho cominciato a pensare che, in fondo, affrontare la vita con realismo, certo, ma anche con un po’ di ottimismo non può fare male e che anche la bellezza può aiutare a stare bene e che, sembra ovvio, stare bene fa bene.

Cavenago di Brianza - Tramonto

Una giornata ai tempi del coronavirus.

Già nei giorni scorsi a Milano c’era un’atmosfera particolare: Piazza del Duomo e la Galleria senza i gruppi di turisti cinesi, tutti in fila, tutti muniti di auricolare, sembravano più vuote.

Ma il contagio non faceva particolarmente paura forse perché considerato lontano forse perché associato solo a persone con gli occhi a mandorla e quindi bastava tenerli a distanza, evitare i ristoranti cinesi, il quartiere cinese, i negozi cinesi, i prodotti cinesi (come se fosse possibile).

Poi, da ieri, il virus è sbarcato in Lombardia e in Veneto, probabilmente anche perché qualcuno ha commesso la leggerezza di non contattare i numeri telefonici di emergenza, ma si è recato in un Pronto Soccorso verosimilmente affollato come lo sono, soprattutto nel periodo invernale, le strutture simili di tutta Italia.

E di colpo siamo diventati tutti virologi e basta entrare in un bar (logicamente affollato) per sentire dotte dissertazioni su come evitare il contagio e comunque le mascherine protettive sono esaurite praticamente dovunque.

Sta di fatto che le autorità stanno cercando di limitare i danni isolando le persone entrate in contatto con coloro che in qualche misura evidenziano i sintomi della malattia per cui i cittadini della zona di Codogno e dei comuni vicini sono stati invitati a stare in casa, i locali pubblici e le scuole sono chiusi, i treni non fermano nelle stazioni.

Senza farsi prendere dal panico, che non è mai una buona cosa, è necessario che tutti si attengano alle disposizioni delle autorità e, in particolare, è indispensabile che tutti siano a conoscenza e applichino le linee guida della Regione Lombardia.

E soprattutto, nel dubbio di essere stati contagiati è fondamentale non recarsi dal medico di base o, peggio ancora, in Pronto Soccorso, ma rivolgersi al 112 (che tuttavia è il numero telefonico per tutte le emergenze) o, meglio ancora, al numero verde 1500.

La giornata ai tempi del coronavirus può essere una giornata, tutto sommato, “normale”, basta informarsi e seguire scrupolosamente le indicazioni di chi sta lavorando per la nostra sicurezza.

Milano - Palazzo della Regione Lombardia

Il potere delle fiction.

Non è un mistero che alcune produzioni Rai come “Il Commissario Montalbano” o “Don Matteo” (soprattutto quando sono trasmesse anche all’estero) abbiano contribuito a diffondere l’immagine di alcune città come Gubbio, Modica, Scicli o Ibla forse meno note al grande pubblico, ma comunque bellissime e che meritano di essere conosciute ed ammirate.

Qualche tempo fa, durante un viaggio nel ragusano, sono rimasta colpita dall’entusiasmo di alcuni turisti argentini in visita al Municipio di Scicli che al piano terreno si è praticamente tramutato nel Commissariato di Vigata (il set occupa permanentemente alcuni locali dell’edificio).

Certo la fiction “Un passo dal cielo” nulla aggiunge alla superba bellezza del lago di Braies o delle Dolomiti di Sesto, ma comunque è sempre un gran bel vedere.

L’Italia dei mille borghi, il paese della grande bellezza, ha molti modi per farsi conoscere e per farsi amare e anche le produzioni televisive possono dare una mano.

Ragusa Ibla (Sicilia)

“Oggi ti porto ai Giardini Pubblici”

Quando i miei genitori (o una nonna) pronunciavano questa frase era una festa anche perchè io abitavo in una zona di Milano dove non c’erano alberi o giardinetti e la portiera dello stabile dove vivevo ci inseguiva con la scopa se noi ragazzini ci azzardavamo a giocare in cortile.

La mia era un’infanzia di giochi in casa (ad eccezione dei periodi di vacanza in Valsassina dove finalmente potevo sfogare la mia vivacità) e non vedevo l’ora di andare ai Giardini Pubblici, quelli di Corso Venezia, dove potevo correre e giocare con le macchinine a pedali e offrire una nocciolina al vecchissimo elefante dello zoo che allungava verso i bambini la proboscide in attesa di un meritato premio.

Oggi lo spazio verde è intitolato a Indro Montanelli, il giornalista che qui trascorreva i suoi momenti di svago e che fu ferito alle gambe in un attentato delle Brigate Rosse il 2 giugno 1977.

Vicino al luogo del ferimento sorge una statua che lo ritrae seduto, con la fedele Olivetti sulle ginocchia, mentre batte a macchina un articolo (come in una celebre fotografia scattata nel 1940 da Fedele Toscani nella sede del Corriere della Sera).

Milano - Parco Indro Montanelli (Giardini Pubblici)