Archivio mensile:Novembre 2019

La Madonna Litta è tornata a Milano.

Dopo quasi trent’anni il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, che aveva acquistato l’opera attribuita a Leonardo da Vinci nel 1865 dal duca Antonio Litta Visconti Arese, ha accettato di “prestare” il prezioso dipinto che ora è esposto, e lo sarà fino al prossimo 10 febbraio, al Museo Poldi Pezzoli di Milano.

La Madonna Litta, la cui attribuzione al genio di Vinci è controversa, è esposta in una mostra insieme a opere di Giovanni Antonio Boltraffio e Marco d’Oggiono che, del resto, sono tra gli allievi quelli che si contendono l’opera.

Se anche il dipinto non è di mano di Leonardo, sicuramente è sua la composizione, così come sono di ispirazione leonardesca lo sfondo roccioso che si perde nella prospettiva aerea e suo è lo sfumato del volto della Vergine.

L’opera è emozionante perché non solo rappresenta una Madonna col Bambino, ma soprattutto perché racconta l’infinita tenerezza di una madre che allatta il proprio piccolo con un viso dolcissimo e lo sguardo che sembra avvolgere il figlio in un abbraccio.

Milano - Museo Poldi Pezzoli - La Madonna Litta

Il racconto della storia.

Spesso, alla sera, mi regalo qualche ora di relax davanti alla televisione, ma non mi appassiono a film, telefilm, talk show e talent, piuttosto preferisco cercare su Youtube le conferenze del professor Barbero (soprattutto quelle del “Festival della Mente” di Sarzana che ogni anno vede lo storico piemontese protagonista assoluto) e così trascorro un po’ di tempo appassionandomi al racconto della storia.

Il professor Barbero è uno storico preparato, competente, appassionato, capace di incatenare l’attenzione dell’ascoltatore con le sue ricostruzioni sempre puntuali e documentate, ma soprattutto capace di raccontare gli avvenimenti con uno stile accattivante e con la naturalezza di chi conosce bene ciò di cui sta parlando.

Uno dei miei interventi preferiti è quello in cui spiega l’imperatore Costantino sfatando, sulla base delle fonti, molti luoghi comuni e molte leggende.

E’ molto piacevole seguire il filo dei ragionamenti dello storico che ormai è diventato, nel mare magnum della rete, una vera e propria star e, cosa che mi affascina oltremodo, lo è diventato spiegando una materia spesso negletta e poco amata come la storia.

Seguire le sue conferenze è una buona abitudine che consiglio a molti: per imparare, per capire e; perchè no, per divertirsi perchè persino la storia, se spiegata in questo modo, può essere divertente.

Torino - Palazzo Carignano - Museo del Risorgimento

Il vicolo dei lavandai.

Il vicolo è un angolo di Milano dove si respira un’atmosfera di altri tempi, di tempi in cui il lavoro era duro e non c’erano le macchine ad alleviare la fatica degli uomini e delle donne.

Il vicolo deve il suo nome ad un antico lavatoio, che era in funzione fino agli anni ’50 e oggi è stato restaurato, collocato su una piccola roggia alimentata dalle acque del Naviglio Grande che scorre a pochi passi di distanza.

Il lavatoio è un muto testimone di una Milano scomparsa che ormai pochissimi ricordano, come ormai pochissimi ricordano le lavandaie inginocchiate sul “brellin” di legno, con le mani arrossate dall’acqua gelida e i canti, simili a cantilene, ripetuti per tenere il ritmo del lavoro.

In realtà il vicolo non è dedicato alle lavandaie, ma ai lavandai perchè il servizio di lavaggio era garantito, nell’ottocento, da una associazione maschile, una confraternita nata nel secolo precedente sotto la protezione di Sant’Antonio da Padova.

Oggi il lavatoio, tornato allo “splendore” di un tempo, con la sua atmosfera vagamente romantica (ma nulla di romantico c’era nella fatica delle lavandaie) attira i turisti incuriositi che non riescono a resistere alla tentazione di scattarsi un selfie.

Milano - Sui Navigli

Mumac.

Il Mumac (il “Museo della macchina per caffè” del gruppo Cimbali che sorge a Binasco, alle porte di Milano) è un interessante museo d’impresa, che offre ai visitatori una ricchissima collezione di macchine per il caffè espresso, quelle da bar, per intenderci, che attraversa un secolo.

Il Museo presenta i primissimi esemplari, elegantissimi e ingombranti, collocati in un’ambientazione dal gusto liberty, come è liberty il bancone da bar dell’epoca, che richiama le atmosfere un po’ rarefatte di inizio ‘900.

Si passa poi al periodo fra le due guerre in un contesto di gusto razionalista, in cui le macchine diventano più lineari e i fregi liberty si mutano in profili d’aquila dalle linee geometriche.

Attraverso le macchine per caffè sempre più complesse ed avveniristiche si percorre il secondo dopoguerra, gli anni ’60 caratterizzati dai fasti sportivi della “Faema”, fino a giungere ad una contemporaneità a noi così familiare.

Il Mumac, come molti musei d’impresa del resto, è una preziosa testimonianza dello spirito imprenditoriale, della creatività, della serietà del lavoro, della passione che hanno permesso al “made in Italy” di conquistare un posto di rilievo nel mondo.

Binasco - Mumac

Il Muro.

La mia prima volta a Berlino fu nell’agosto del 1971 e avevo diciotto anni, si trattava di un viaggio organizzato dal nostro Oratorio, il muro che divideva la città era lì ormai da dieci anni e sembrava ineluttabilmente incrollabile.

Berlino est, in quell’agosto nuvoloso, sembrava una città in bianco e nero, con le sue strade vuote e con i suoi edifici in cemento intorno ad Alexander Platz.

Al Pergamon Museum, già allora splendido, ma ovviamente pochissimo visitato, incontrammo i giovani berlinesi con i quali avevamo appuntamento e diventammo subito amici (ci saremmo poi rivisti molte volte ancora a Berlino e in Polonia e in Ungheria).

Alla sera, quando ci riaccompagnarono al muro e ci separammo c’era tanta tristezza (non a caso l’edificio della frontiera si chiamava “Il palazzo delle lacrime”), soprattutto perchè tutti noi sentivamo la profonda ingiustizia della separazione.

Quando, molti anni dopo, giusto trent’anni fa, il muro che sembrava incrollabile finalmente crollò, in modo così repentino e quasi miracoloso, ritrovarsi diventò semplice, ma ormai eravamo adulti, le nostre vite avevano imboccato strade diverse.

Ci siamo rivisti, come era naturale, ma poi alcuni di loro sono morti e in me è cresciuto un sentimento profondo di rabbia per le occasioni negate, per il tempo perduto dietro ad un muro che aveva impedito per tanto tempo una vita “normale”.

Ricordo ancora l’emozione di salire sulle piccole torri di avvistamento, all’ovest, per osservare la terra di nessuno costellata di cavalli di frisia, controllata da una polizia attenta e implacabile che pattugliava tutta l’area.

Oggi quel muro è solo un ricordo doloroso, sul prato vuoto di Potsdamer Platz sono sorti grattacieli scintillanti e si può attraversare liberamente la Porta di Brandeburgo, ma per quelli della mia generazione che il muro l’hanno visto da vicino è difficile rimuovere la sensazione angosciante e claustrofobica della città divisa.

Berlino - Potsdamer Platz

Come e perché rinunciare alla dieta.

In realtà non sono proprio a dieta, ma cerco di controllare quello che mangio per evitare di debordare, per riuscire a continuare a salire le scale di corsa, perché sentirmi leggera mi piace e mi fa stare bene.

D’estate, di solito, ci riesco anche perché faccio tanto movimento e mangio frutta e verdura e cibi leggeri.

Poi viene l’autunno, comincia a piovere e a fare un po’ più freddo, e allora vengo presa improvvisamente dal desiderio di mettere sotto i denti qualcosa di più caldo, più ricco e confortante e comincio a vagheggiare piatti di polenta accompagnati da funghi e formaggi fusi, brasati e stracotti annaffiati da un buon bicchiere di vino rosso.

I mesi autunnali preludono anche alle feste di fine anno, alle cene con gli amici, ai cenoni, ai dolci natalizi, ai brindisi di capodanno e di conseguenza la dieta diventa un pio desiderio.

Forse basta solo ignorare la bilancia per un po’.

Piani di Artavaggio

Il coraggio di testimoniare.

Alzarsi in piedi davanti alla senatrice Liliana Segre non è solo un segno di rispetto per la persona, ma anche per la sua storia e per la grande dignità con cui ha saputo, in questi anni, testimoniarla.

Liliana Segre è una grande donna e non tanto per quello che ha vissuto, ma per come ha saputo ricavarne un’occasione per renderci tutti, attraverso le sue parole, persone migliori, persone più libere.

La sua testimonianza è dura, lucida, difficile, quando parla sembra quasi che lo faccia con distacco, ma l’emotività toglierebbe verità al suo racconto, la sua testimonianza può essere scomoda, dolorosa, sconvolgente per chi ascolta, ma è inevitabilmente necessaria.

Bisogna essere persone molto molto piccole per non saper riconoscere ed apprezzare la grandezza.

Corso Magenta - Pietra d'inciampo

Misteri della natura umana.

Mi aggiro tra gli scaffali del supermercato osservando tutta la merce esposta nella vaga speranza di riuscire a ricordare i prodotti per acquistare i quali mi sono decisa ad uscire di casa e che, viste la mia psicolabilità e la mia allergia alle liste della spesa, ho allegramente dimenticato.

Mi imbatto in uno scaffale di cibi dietetici ed integratori vari e noto, con un po’ di sconcerto, che tra le tisane linfodrenanti e quelle disintossicanti fa bella mostra di sè un barattolo di Nutella di proporzioni molto generose.

E’ evidente che il barattolo si trovi lì a causa di un improvviso ripensamento (forse la vista dei cibi “sani” ha provocato un repentino senso di colpa che ha spinto il potenziale acquirente a rinunciare all’acquisto), ma quello che mi disturba di più è l’attacco di pigrizia che ha impedito al “personaggio” di riportare l’oggetto sullo scaffale dove l’aveva preso.

Ancora più sconcertante è scoprire una confezione di surgelati (minestrone o verdure in genere) abbandonata, triste e molliccia, dalle parti della biancheria: quando mi succede (e purtroppo mi succede abbastanza spesso) oltre a consegnare alla cassiera il surgelato, che ormai tutto è tranne che surgelato, mi soffermo a chiedermi che cosa possa spingere una persona “normale” ad abbandonare un surgelato, o altra merce facilmente deteriorabile, un po’ dove capita.

Forse si tratta semplicemente di una fantasiosa forma di terrorismo.

Milano - Expo 2015

Più di un secolo.

E’ passato ormai più di un secolo dal 4 Novembre 1918 che, per l’italia, rappresenta la fine della Grande Guerra e la definitiva conclusione del processo di unità nazionale iniziato con le guerre risorgimentali dell’ottocento.

Oggi il 4 novembre è una data che passa un po’ in sordina, non è più un giorno di vacanza, come un tempo, e, anche se le città sono imbandierate e in tutte le comunità i monumenti ai caduti sono coperti di fiori, sembra quasi che il secolo trascorso da quei giorni abbia relegato il ricordo dei caduti, dei feriti, di tutte quelle sofferenze alle pagine dei libri di storia.

L’anno scorso ero a Londra in questi giorni e mi sono resa conto che, per gli inglesi, la celebrazione della fine della Grande Guerra, che nel regno Unito ricorre l’11 novembre, è molto più sentita e partecipata e tutta la città si popola di papaveri rossi che spuntano nelle vetrine e sui baveri dei cappotti in ricordo del sangue versato nelle trincee e sui campi di battaglia.

Non amo particolarmente la retorica patriottica che spesso accompagna tali celebrazioni, ma mi sembra ingiusto e ingrato che il ricordo del 4 novembre scivoli nell’oblio, come una cosa lontana da noi, una cosa che non ci riguarda, che non tocca più la nostra quotidianità.

Redipuglia

Cielo grigio.

Piazza del Duomo, in questi giorni nuvolosi, è grigia e anche il Duomo pulito di fresco (me lo ricordo bene quando, tanti anni fa, le sue pietre antiche erano di un grigio scuro e fumoso), sembra aver perso il rosa tenue dei marmi di Candoglia che sfumano in un grigiore uniforme, anche la Galleria sembra meno luminosa e il Quadrilatero della Moda offre un curioso contrasto tra i colori degli abiti nelle vetrine e l’uniformità cromatica delle vie e dei palazzi.

Le pasticcerie di via Monte Napoleone sono tutte un tripudio di arancione, sono le torte preparate per Halloween che, nelle lucide glasse, ripropongono i colori accesi delle zucche.

Incuranti del cielo plumbeo e del primo freddo frotte di turisti si aggirano tra il Quadrilatero e Piazza della Scala o si allineano, ordinatamente, tra le transenne che regolano l’entrata del Duomo e si scattano selfie davanti alle vetrine e ai monumenti.

Intorno la città si muove con la solita fretta, con il solito dinamico caos, tra lo sferragliare dei tram e il rumore dei motori.

Tra pochi giorni, quando le giornate si saranno accorciate ancora un po’, la città comincerà ad accendersi delle luci e degli addobbi natalizi e allora il grigiore del cielo sparirà divorato dai colori della festa.

Milano - Pasticcerie in Monte Napoleone