Archivio mensile:Ottobre 2019

Già quasi novembre.

L’ultima domenica di ottobre segna, ormai da molti anni, il passaggio dall’ora legale all’ora solare e di colpo piombiamo nel buio, come se l’inverno, che sembrava del tutto esorcizzato dal perdurare della luce nelle ore serali, all’improvviso si presentasse alle porte.

Quasi sempre gli ultimi giorni di ottobre coincidono con l’inizio delle piogge, insistenti, sottili, fastidiose, che ci invitano a voltare pagina e a prepararci psicologicamente alle brume novembrine e ai freddi di dicembre e gennaio.

Un altro segnale della stagione che incombe è l’apparire, nei centri commerciali e nelle vetrine dei negozi, di zucche dal ghigno malefico, di dolcetti dalle forme raccapriccianti, di travestimenti vagamente inquietanti, insomma di tutta la paccottiglia d’importazione che accompagna la “festa” di Halloween.

Quando ero bambina i primi giorni di novembre non erano popolati da zucche e streghe, ma in compenso segnavano la prima vacanza dell’anno scolastico perché si stava a casa il primo di novembre (che per noi era la Festa di Tutti i santi, non Halloween), il due di novembre (commemorazione dei defunti) e il quattro di novembre (che solo quando ho cominciato a studiare la storia ho associato alla fine della Grande Guerra), di conseguenza noi scolaretti potevamo disporre di un “ponte” di ben quattro giorni.

Nella mia famiglia erano giorni dedicati al ricordo: andavamo a Musocco (al cimitero maggiore di Milano) per far visita ai nonni e ai loro fratelli e poi facevamo una breve visita al Monumentale dove era sepolto un bisnonno che, a giudicare dalla fotografia un po’ sbiadita, era un fiero ufficiale dalla divisa che sembrava uscita dai libri di storia.

Il premio per aver scarpinato nel freddo e nella nebbia (perché allora faceva freddo e c’era la nebbia) era la prima cioccolata con la panna della stagione nella latteria vicino a casa .

Erano giornate in cui i miei genitori approfittavano del tempo libero e della visita ai cimiteri per ricordare le storie di famiglia, per insegnarmi le mie radici, per raccontarmi gli episodi delle vite dei miei antenati che non avevo conosciuto, ma che balzavano vivi nella mia fantasia grazie ai loro racconti.

Oggi queste cose non usano più,, oggi sono state sostituite da “dolcetto o scherzetto” e non sono sicura che il cambiamento mi piaccia.

Milano - Monumentale

Desiderio d’autunno.

Dopo il caldo dell’estate attendo sempre l’autunno con impazienza, perché è una stagione che, forse per i suoi colori e i suoi profumi, che mi riempie di allegria e mi fa star bene.

Se riesco ad organizzarmi, ogni anno, mi ritaglio il tempo per un week end fra le mie montagne, perché in ottobre, di solito, fa fresco, ma non fa ancora freddo, e, se il tempo è sereno, il cielo è di un azzurro acceso e le pendici dei monti si vestono di una tavolozza di colori dall’incredibile varietà.

Il paese è vuoto ed è piacevole passeggiare senza incontrare nessuno, lasciando scivolare lo sguardo su un panorama che muta ad ogni passo.

Mi siedo a tavola ed il clima autunnale attenua i miei sensi di colpa davanti ad uno stracotto profumato e ricco di colori e sapori, accompagnato da una generosa porzione di polenta, annaffiato da un calice di buon vino rosso.

Non mi preoccupo della linea perché so che la passeggiata tra i boschi mi aiuterà a smaltire le calorie di troppo e anche questa considerazione consolatoria contribuisce a farmi stare particolarmente bene.

Ho gli occhi pieni di gialli, di rossi, di tutte le sfumature del marrone, dell’ultimo tenero verde, ho le orecchie piene degli ultimi cinguettii, ho il naso pieno di profumi, ho l’anima piena di luce.

Autunno in Valsassina (Moggio)

Un giorno a Catania.

E’ bello, di tanto in tanto, fare una “pazzia”, imbarcarsi in mattinata su un aereo (per un volo molto, molto low cost), arrivare a Catania giusto in tempo per gustarsi un arancino (o un’arancina, come sostengono dalle parti di Palermo) e poi trascorrere il pomeriggio nella città etnea assaporando il gusto di un’estate tardiva, lontano dalle brume della Valle Padana, dai riscaldamenti già accesi, dal brivido di autunno che mi attraversa.

E’ bello, prima che faccia buio (perché, ebbene sì, anche a Catania è autunno e le giornate si accorciano), prima di cercare un taxi per tornare in aeroporto salire sulla cupola della chiesa della Badia di Sant’Agata e da lì godersi lo spettacolo della città che, a poco a poco, si illumina e ammirare in lontananza la sagoma dell’Etna da cui si leva uno sbuffo di fumo scuro vagamente minaccioso, ma al tempo stesso allegro come un fuoco d’artificio.

E’ bello trascorrere una giornata in un clima da gita scolastica, ma senza ragazzini, sentirsi padroni del proprio tempo, gustare sapori, profumi e colori insoliti, provare la gioia di fare qualcosa di “diverso”, di sentirsi bene.

Mentre l’aereo mi riporta a casa chiudo gli occhi e mi sembra ancora di rivedere la luce, l’azzurro del cielo e del mare, il colore acceso dei fiori, degli oleandri e dell’ibisco e sento già il desiderio di tornare.

Catania - L'Etna

Ci vuole del fegato.

Gli uomini, da sempre, si ingegnano a trovare modi, a volte anche molto fantasiosi, per conoscere il futuro, per avere delle “dritte” prima di imbarcarsi in un affare o in un amore o, più banalmente, in un viaggio, in un cambiamento.

I Greci si recavano a Delfi nella speranza di ricavare qualche informazione intelligibile dalle parole, spesso oscure e controverse, dell’Oracolo.

I Romani, ispirati dagli Etruschi, osservavano il volo degli uccelli o i fenomeni celesti e ne traevano auspici: chi non ricorda, ad esempio, Romolo e Remo che contano gli uccelli nel cielo per decidere a chi toccherà fondare la nuova città (l’episodio, un tempo, era un “must” dei sussidiari delle scuole elementari)?

Gli Etruschi, tuttavia, avevano un altro modo per interpretare il futuro, un modo che ci potrebbe sembrare un tantino truculento: in buona sostanza quando sacrificavano una pecora estraevano il fegato dell’animale e lo “leggevano” per scoprire, nelle macchie, nelle pieghe, nei segni, la volontà degli dei.

Per interpretare un fegato (così com per leggere le linee di una mano) ci voleva un “manuale d’istruzioni” e, uno di questi “manuali” si trova in un museo di Piacenza.

Si tratta di un modellino di fegato in bronzo, trovato fortunosamente da un contadino, suddiviso in settori che riportano, logicamente in caratteri etruschi, i nomi delle divinità.

Verosimilmente gli aruspici, i sacerdoti etruschi, confrontavano il fegato con il modello e ne interpretavano i segni.

A prima vista può sembrarci una pratica primitiva e un po’ ingenua, ma in fondo non è molto diversa dal cercare di scrutare l’ignoto attraverso i tarocchi.

Piacenza - Musei di Palazzo Farnese

Un incrocio di sguardi.

E’ sera a Vilnius, dopo cena decidiamo di fare quattro passi in centro anche se è un po’ tardi e addosso abbiamo la stanchezza dell’attesa in aeroporto e del volo e l’inquietudine dei bagagli che sembrano non arrivare mai sul nastro trasportatore e la sistemazione in albergo che, a causa delle chiavi magnetiche smagnetizzate, è un po’ laboriosa.

La doccia lava via la stanchezza lasciandomi addosso, però, una sorta di torpore e la cena contribuisce a darmi una tranquillità che mi farebbe raggomitolare sul divano.

Ma d’altra parte però c’è una città che non conosco da scoprire, c’è la curiosità di respirare un’atmosfera nuova e allora decido di uscire anch’io per assaggiare questo nuovo mondo.

Il centro della città, illuminato sapientemente, è bellissimo: tutto mi sembra interessante e insolito e gradevole.

E poi, mentre passeggio in una piazza, i miei occhi incrociano quelli di una signora che, seduta a terra in un angolo, offre i suoi fiori ai passanti .

E’ sera e i suoi fiori sono ormai un po’ sgualciti, ma il suo sguardo è vivo e intelligente e curioso almeno quanto il mio.

Mi avvicino, a gesti, mostrando la mia fotocamera, vorrei farle capire che mi piacerebbe scattarle una foto, non parlo logicamente il lituano e l’impresa non è semplice, ma l’anziana signora mi capisce al volo e si mette i posa stringendo un mazzolino di fiori.

C’è uno scambio di sguardi, di sorrisi, di saluti e di ringraziamenti e c’è un ricordo che mi resta dentro.

Vilnius (Lituania)

E festa sia.

La prima domenica del mese di ottobre nel mio paese si celebra la festa patronale dedicata alla Madonna del Rosario ed è un evento ancora sentito anche se, probabilmente, molto diverso da come veniva celebrato nel passato.

Una volta era una festa soprattutto religiosa in cui il momento centrale era la processione con la statua della Vergine che attraversava le vie del paese addobbate con festoni ed era anche un’occasione per ritrovarsi, intorno ad una tavola imbandita, che richiamava nella comunità anche coloro che, anche se originari di Cavenago, ormai vivevano lontani.

Dagli armadi uscivano i vestiti “buoni” e, dopo il pranzo, si usciva per strada per incontrarsi e salutarsi e scambiare quattro chiacchiere.

Oggi anche il paese è mutato, è mutata la popolazione e i Cavenaghesi d.o.c. sono veramente pochi e,di conseguenza, anche la festa è diventata qualcosa di diverso: ci sono sempre le giostre e la torta di pane e latte della tradizione (un dolce povero come poveri erano i tempi andati), ma ci sono anche i mercatini, ci sono gli stand delle associazioni, c’è la musica

Eppure, anche nel clima festoso simile a quello di tante sagre paesane, c’è uno sguardo al passato, ci sono i giochi di un tempo, giochi semplici e fantasiosi, ci sono le pannocchie e gli spaventapasseri, c’è un vago sentore di un passato contadino che ormai è solo un ricordo lontano e nel quale, forse, non sarebbe stato così agevole vivere.

Eppure la festa resta un momento,per Cavenaghesi e non, per ritrovare le radici di una comunità.

Cavenago di Brianza - Festa del Paese 2019

La luce dei secoli bui.

Forse per colpa del Petrarca, che metteva questo periodo in contrapposizione con la luce abbagliante della cultura greco-romana, siamo portati a considerare gli anni dell’Alto Medioevo come un tempo oscuro, caratterizzato da razzie e violenze, segnato da una generale decadenza culturale e morale, come se il cammino dell’umanità avesse subito un rallentamento.

Eppure, visitando il Museo Archeologico di Milano, ci si imbatte, nelle sale dedicate all’Alto Medioevo, in oggetti di rara bellezza, in gioielli che rivelano una perizia e una raffinatezza insospettabili.

Mi sono incantata alla vista di fibule, anelli, bracciali e orecchini realizzati con la tecnica del “cloisonnè”, oggetti antichi che potrebbero far bella mostra di sé anche nella modernissima vetrina di una gioielleria del centro.

Evidentemente il buio di quei secoli è attraversato da lampi di luce, da una cultura e conoscenze che, attraverso il tempo, sono giunti fino a noi e hanno contribuito anch’esse a costruire quello che siamo.

Milano - Museo archeologico