Archivio mensile:Maggio 2019

L’Adda di Leonardo.

Camminare lungo l’Adda, sulle orme di Leonardo, in una mattina di maggio che sembra novembre, con la nebbiolina che si arrampica pigra lungo le rive come se volesse impigliarsi tra i rami e lambire il freddo metallo del ponte di San Michele, è un’esperienza incredibile.

Proprio tra Paderno e Porto d’Adda il genio di Vinci ha sicuramente percorso i sentieri che corrono lungo il fiume quando soggiornò per circa due anni a Vaprio d’Adda ospite della famiglia Melzi e la sua conoscenza di questo tratto di fiume è ben leggibile nei suoi studi idraulici e nei paesaggi di massi e acqua che fanno da sfondo alla “Vergine delle Rocce”.

In questo tratto il corso dell’Adda si fa impetuoso e la corrente, rotta dai massi che sporgono dal letto dl fiume, offre uno spettacolo di grande drammaticità che, probabilmente, ispirò l’artista.

Fa un certo effetto stare lì, sulla riva, ad osservare l’acqua spumeggiante che corre tra cento vortici con un rombo continuo e provare ad immaginare come doveva essere il fiume tanti secoli fa, quando le opere dell’uomo non c’erano ancora, non c’erano i ponti e i canali e le chiuse e le centrali idroelettriche e la natura, con la sua superba bellezza, si offriva agli occhi del viandante completamente libera.

Questo fiume vide Leonardo e, probabilmente, se ne innamorò.

Sull'Adda da Paderno a Porto d'Adda

Il ratin.

Ratin, nella lingua meneghina, significa “topolino” e stava ad indicare un piccolo aggeggio che, quando la Galleria Vittorio Emanuele era illuminata a gas, prima che nel 1883 venisse costruita la centrale elettrica a carbone di via di Santa Redegonda, correva lungo un binario posizionato a trenta metri dal suolo e, grazie ad uno stoppino fiammeggiante, accendeva il gas che usciva dagli ugelli.

Lo spettacolo della Galleria illuminata doveva essere notevole, ma il vero e proprio spettacolo doveva essere il Ratin che correva alla base della cupola e rendeva lo spazio scintillante ed elegante.

Oggi il piccolo “topolino” si trova a Palazzo Morando, dove ha sede il “Museo Costume Moda Immagine”, chiuso in una teca di vetro e sembra un po’ “l’oggetto misterioso”.

Anche questo è un aspetto della storia della città che forse pochi conoscono, ma che merita di essere ricordato.

Milano - Palazzo Morando - El Ratìn

Burrasca sul lago.

E’ un mese di maggio ben strano, con le temperature che improvvisamente si abbassano e poi, a distanza di poche ore, si impennano fino a diventare quasi estive.

Domenica scorsa il lago di Como era particolarmente arcigno, il vento batteva il lungo lago alzando ondate impressionanti, facendo ondeggiare le imbarcazioni e mettendo in grandi difficoltà i cigni incapaci di cavalcare il moto ondoso.

Cammino lungo la costa con un occhio agli alberi scossi dalle raffiche potenti giusto per controllare che qualche ramo non decida di cadermi in testa e intanto mi lascio incantare dalla bellezza terribile delle onde altissime che si infrangono spumeggianti a pochi passi da me.

La natura può essere di una bellezza incredibile, anche quando la sentiamo ostile.

Como - Lungolago

Profumo di primavera.

Dopo la burrasca del week end (di solito succede nel week end che il tempo si guasti e le temperature crollino) è tornato il sole ed è tornata la primavera con i suoi colori e con i suoi profumi.

I prati, in montagna, sono ricoperti di fiori e gli insetti, come fossero mossi dal tepore del sole, volano indaffarati da una corolla all’altra quasi non volessero perdere tempo.

Mi colpisce sempre questo ritorno alla vita che ha l’energia di un risveglio dopo un sonno ristoratore e mi piace osservare gli insetti che riempiono l’aria di ronzii, attirati dai colori accesi dei fiori che, dopo un giorno di pioggia, sembrano più accesi così come il verde tenero dei prati sembra più verde.

Adoro la primavera e la gioia di vivere che fa nascere anche dentro di me.

Pasturo (Valsassina) - Nel prato

Una domenica particolare.

Fa freddissimo in questa prima domenica di maggio, il cielo è grigio e minaccioso e alle otto del mattino la stazione Centrale di Milano è percorsa da un brivido gelido.

La grande arcata della stazione inquadra, laggiù lontanissimo, uno sbuffo di fumo scuro che si avvicina a ritmo lento, una grande locomotiva a carbone scivola sferragliando e fischiando sul binario, tra i lucidissimo treni ad alta velocità dalle linee e dai colori aggressivi.

La locomotiva cattura l’attenzione di tutti i viaggiatori e nei loro sguardi c’è forse una punta d’invidia per noi, pochi fortunelli, che ci arrampichiamo sugli altri gradini dei vagoni “cento porte” e ci accomodiamo (si fa per dire) sui sedili di legno che ci proiettano nel passato come una macchina del tempo.

Il treno esce fischiando dalla stazione, accompagnato dal rumore ritmico degli stantuffi e si dirige verso Como sfidando il tempo avverso e il vento che batte fortissimo la Brianza.

Lungo il percorso il fischio della locomotiva sembra svegliare i paesi addormentati e le persone che assistono al nostro passaggio ci guardano stupiti e armeggiano frenetici in cerca del cellulare per immortalare questo spettacolo d’altri tempi.

Dopo la sosta a Como il viaggio continua verso Lecco lungo la striscia delle colline brianzole ai piedi del triangolo lariano e non manca neppure l’imprevisto, un tronco d’albero strappato dal vento violento che ingombra i binari, praticamente un’emozione in più.

Dopo la rimozione abbastanza fortunosa dell’ostacolo il treno prosegue allegramente la sua corsa pigra e intanto il vento ha spazzato via le nubi e il sole splende sul lago.

Quando entriamo nella stazione di Lecco e scendiamo dal treno (per imbarcarci su vagoni più moderni che ci riportano a Milano) abbiamo quasi l’impressione di esserci risvegliati da un bel sogno.

(Le informazioni relative alle iniziative di “F.T.I. Ferrovie turistiche italiane” le trovate qui.)

Como - Treno Storico
Lecco - Stazione - Treno Storico

Quando il bon ton si chiamava “educazione”

Un tempo non si parlava di “bon ton”, anzi forse non si parlava neanche tanto di “buona educazione”, non se ne parlava, ma i genitori e tutti gli adulti che vivevano a stretto contatto con un bambino si prodigavano per insegnargli le regole di comportamento, quelle elementari norme che dovevano fare di lui una persona civile e rispettosa del prossimo.

L’insegnamento era sempre accompagnato dall’esempio e un bambino, o nel mio caso una bambina, che cresceva in mezzo ad adulti che rispettavano le regole che enunciavano con le parole imparava “naturalmente” come comportarsi.

Se non lo faceva c’era spesso l’ammonimento, c’era il richiamo, c’erano le frasi ripetute come un mantra “giù i gomiti dal tavolo”, “non parlare con la bocca piena”, “stai composta”, “saluta gentilmente”, “ringrazia”, “di’ per favore”, “non interrompere le persone che stanno parlando” e via dicendo.

Quando viaggiavo sui mezzi pubblici sapevo che avrei dovuto cedere il posto alle persone anziane: “Stai in piedi che diventi grande”, mi dicevano in tono vagamente consolatorio e così ho imparato, come ho imparato tante altre regolette facili facili, forse un po’ noiose, ma necessarie.

Vorrei sapere cosa hanno insegnato al bambino di sei o sette anni che oggi viaggiava in metropolitana, praticamente sdraiato su due sedili (di quelli “a onde” delle carrozze più recenti) accanto alla mamma, con un monopattino che insidiava le caviglie dei numerosi viaggiatori, alcuni dei quali dotati di capelli grigi come me, che ingombravano il vagone.

Quando il bon ton si chiamava semplicemente “educazione” la madre lo avrebbe invitato ad alzarsi e a recare meno disturbo possibile agli altri viaggiatori.

Ma questo è veramente il “passato remoto”.

Milano - Citylife Natale 2017

Un po’ terrificante, ma …

Ne avevo sentito parlare spesso, ma non avevo mai avuto l’occasione di visitare la cappella ossario annessa alla chiesa di San Bernardino alle Ossa che sorge tra Via Larga e il Verziere.

L’edificio, a pianta quadrata, ha le pareti quasi completamente ricoperte di teschi ed ossa che si trovavano nell’antico ossario, distrutto nel 1642 dal crollo del campanile della vicina Basilica di Santo Stefano in Brolo, e dai resti umani riesumati nei cimiteri soppressi dopo la chiusura dell’ospedale locale, avvenuta nel 1652.

E’ inutile dire che, nella cappella, si espira un’atmosfera vagamente inquietante che ispira pensieri compunti sul destino dell’uomo.

Qualche turista si aggira un po’ stranito, qualcuno ridacchia nervosamente quasi ad esorcizzare il timore che tutti quei teschi dalle orbite oscure incutono anche agli spiriti più spavaldi.

San Bernardino alle Ossa merita sicuramente una visita, magari non in una tetra giornata di nebbia.

Milano - San Bernardino alle ossa