Archivio mensile:Gennaio 2019

Il duro lavoro delle guide turistiche.

Mi piace, durante i miei viaggi, visitare musei e monumenti accompagnata da una persona, una guida, in grado di svelare tutti i segreti dei luoghi sui quali, altrimenti, poserei uno sguardo distratto, senza riuscire a coglierne l’essenza.

Spesso penso che non sia un lavoro facile, anche se credo che sia appassionante, perchè non sempre i turisti sono inclini ad ascoltare le spiegazioni con attenzione, talora si lasciano distrarre da vetrine e bancarelle e qualche volta può essere arduo catturare gli ascoltatori.

C’è chi ascolta in modo superficiale e poi chiede qualche particolare che è stato spiegato un attimo prima, c’è chi rimbecca, precisa, contesta, c’è chi si aggira con lo sguardo perso di chi è in vacanza e non “sui banchi di scuola”

Le guide devono conoscere tutte le risposte alle domande epocali “Quanti anni ha questo sasso?” (davanti ad un capitello corinzio), “Si può bere l’acqua?” e soprattutto “C’è un bagno qui?” (di solito nel bel mezzo di una landa desolata.

E’ in queste occasioni che emerge la perizia della guida che consiste nell’abilità di descrivere in modo appassionato ed appassionante e di riuscire, senza perdere il filo del discorso, a coinvolgere i turisti che, come per magia, diventano viaggiatori.

Nei miei viaggi ho conosciuto molte persone simpatiche e ricche di comunicativa che mi hanno insegnato molto senza annoiarmi e mi hanno permesso di imparare tanto.

Grazie per il vostro lavoro indispensabile.

Marocco - Rovine romane di Volubilis

Creme caramel

E’ uno dei dolci dell’infanzia, quello che la mamma preparava quando avevamo ospiti e che arrivava in tavola su un piatto da portata di porcellana a fiori, con il profilino d’oro zecchino.

Cӏ ancora quel servizio di piatti da dolce, sopravvissuto a tanti anni di feste familiari ed arrivato nella casa in montagna dove ci capita ancora oggi di ospitare gli amici.

Quando la mamma decideva di cucinare la creme caramel , che non era mai quella confezionata con il sacchettino “tristissimo” del caramello abbinato al pacchetto del preparato, si metteva in pista con largo anticipo perchè la cottura a bagnomaria richiedeva tempo e attenzione.

Alla fine il risultato, frutto di tanta pazienza ed esperienza, era sempre eccellente e i complimenti degli ospiti erano il giusto premio per le ore passate ai fornelli.

Io non ho ereditato da mia madre l’abilità nella preparazione del dolce, ma ricordo ancora la sua creme caramel deliziosa, lucida, compatta e dall’aspetto quasi setoso.

Per questo motivo, se mi capita di trovarla nel menù di un ristorante, mi piace ordinarla, ma molto spesso le mie aspettative sono state deluse: quella della mamma è ancora inarrivabile.

Monforte (Langhe)

Adesso scendo le valigie.

Ricordo, tanti anni fa, una lezione di grammatica in una prima media che mi lasciò estenuata: avevo cercato, con poco successo, di spiegare l’uso dei verbi intransitivi e avevo dovuto lottare strenuamente con un mio allievo che sosteneva convinto di poter “uscire il diario”, “scendere il cane” e “salire le borse della spesa”.

Sicuramente non mi sarei così esacerbata se avessi potuto immaginare che una ventina di anni dopo la Crusca avrebbe in qualche modo “sdoganato” queste costruzioni (che ancora mi provocano un repentino attacco di orticaria) motivandone l’uso come colloquiale e regionale oltre che, ovviamente, brachilogico.

A quanto mi è parso di intuire la “transitivizzazione” dei verbi intransitivi sarebbe accettabile nella lingua parlata, in ambiti non formali, ma non ancora, per fortuna, nella lingua scritta.

Temo che sia solo questione di tempo e allora ho deciso che sarà meglio “scendere le valigie” è andarmene.

Polonia - Torun

Indifferenza.

“Indifferenza” è la parola scritta a caratteri cubitali all’entrata del “Binario 21”, il Memoriale della Shoah di Milano fortemente voluto da Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, dove era stata deportata con il padre all’età di tredici anni, determinata testimone dello sterminio e, oggi, Senatrice della Repubblica.

“Indifferenza” è la parola chiave perchè l’indifferenza dei molti permise che i pochi perpetrassero e realizzassero il progetto atroce della “soluzione finale della questione ebraica”.

L’indifferenza non è solo “voltarsi dall’altra parte”, ma è molto peggio: è non vedere, non farsi domande, non assumersi responsabilità, non agire continuando, però, a sentirsi innocenti.

La lezione di questa giornata della Memoria sta tutta qui, nello sforzarsi di uscire dall’indifferenza che, in qualche modo, ci rende complici, ci rende colpevoli.

Meditate che questo è stato

Auschwitz - Birkenau

La sconfitta del “secchione”.

Quando ero bambina (e anche adolescente) mi piaceva andare a scuola, mi piaceva studiare e capire e non tanto, e non solo, perché in casa mia c’era un po’ il mito del “pezzo di carta”, ma perché la mia innata curiosità trovava delle risposte nei libri e nelle spiegazioni dei miei insegnanti.

Lo studio mi appassionava, la lettura mi catturava, la conoscenza mi affascinava e così, spesso, preferivo starmene chiusa in casa a leggere piuttosto che uscire con le amiche il che mi procurò ben presto l’appellativo di “secchiona” che per molti aveva una connotazione decisamente negativa, ma non per me.

Se essere “secchiona” significava amare la conoscenza non mi importava essere chiamata così perché sapevo che stavo costruendomi gli strumenti per leggere e comprendere la realtà e per trovare il mio posto nel mondo.

Ma oggi, nell’attuale temperie culturale e sociale, oggi che essere laureati non ha molto senso (soprattutto se si tratta di una laurea in filologia classica) visto che si può accedere ai più alti posti di responsabilità forti di un socratico “so di non sapere” (…”e me ne vanto”), oggi, dicevo, mi sembra che si sia chiuso un cerchio, oggi la parola “secchiona” è ancora una presa in giro o un insulto e la “beata ignoranza” un titolo di merito..

Proprio come quando ero ragazzina….

Milano - Kasa dei libri

Sono tornata… ancora

Nel mese di gennaio ho lasciato in il mio blog un po’ in letargo (sarà forse per il fatto che risento un po’ del freddo invernale e anche il mio cervello va in letargo), ma ho anche qualche scusante: sto collaborando alle manifestazioni per la “Giornata della Memoria e per l’8 marzo e ho avuto una serie di scartoffie burocratiche da sbrigare.

Adesso però sono tornata e ho tanta voglia di riprendere il mio racconto quotidiano fatto di storie, di ricordi, di impressioni di viaggio, di osservazioni, di pensieri sparsi e forse un po’ disordinati, così simili ai pensieri che affollano la mente nel momento del dormiveglia, quando si scivola nel sonno e si sta sospesi tra la realtà e il sogno.

Ricomincio da me, da queste parole che sono soprattutto un’opportunità per esplorare i miei pensieri, per conoscermi un po’ meglio, per guardarmi da un punto di vista diverso.

In volo verso Catania

Spettatori silenziosi.

L’ultima volta in cui avevo visitato la Pinacoteca di Brera il “Cristo morto” del Mantegna non era visibile perché era in restauro e mi era spiaciuto non poterlo ammirare visto che è uno dei capolavori del museo milanese che mi aveva colpito fin da bambina per la sua nuda drammaticità.

Forse allora non riuscivo a comprenderne il significato profondo, ma mi emozionava soprattutto per la vista dei piedi con il segno dei chiodi così brutalmente in primo piano.

Pochi giorni fa sono tornata e il quadro era lì, emozionante come sempre, nella sala silenziosa e, tutto sommato, quasi vuota e mi sono regalata un po’ di tempo per entrare in contatto con questa immagine del dolore e mi sono resa conto che la bellezza del dipinto sta proprio nell’esserne esclusi: c’è il corpo in primo piano con quella incredibile prospettiva di scorcio, ci sono le due figure della Madonna e di San Giovanni compresse in un angolo, chiuse in un dolore disperato, c’è un’ombra dolente sullo sfondo, ma non c’è spazio per lo spettatore che è lì, guarda, ma in qualche modo non può entrare a far parte del racconto.

Si può solo osservare in silenzio.

Milano - Pinacoteca di Brera

La luce di gennaio.

Quando gennaio è sereno e soffia un po’ di vento che tiene pulito il cielo
(come in questi giorni, tutto sommato) c’è una luce particolare che fa brillare il paesaggio e si accende di toni caldi al tramonto.

Le giornate si allungano e il crepuscolo sembra più lento, mentre il cielo piano piano si incupisce e le prime stelle cominciano a brillare, poi quando il buio è completo ecco risplendere Orione, la più invernale delle costellazioni, con la sua cintura luminosissima.

Mi piace il tempo di gennaio, gelido e brillante, con il cielo terso e sgombro di nubi e pazienza se è da molte settimane che non piove e la neve è un pio desiderio.

Vimercate

I marciapiedi di Lisbona.


Si chiama “calçada portuguesa” il marciapiede tradizionale portoghese diffuso tanto nella capitale quanto nelle altre città (ed anche nelle ex colonie).

La decorazione in pietre bianche e nere lo differenzia dai selciati delle città delle altre parti del mondo, come i sampietrini di Roma ad esempio, ed è composta da singole pietre dalla forma vagamente cubica, collocate singolarmente e “stuccate” a mano tanto da creare disegni geometrici, linee sinuose, disegni simili a merletti.

Purtroppo per creare simili opere d’arte sono indispensabili artisti-artigiani, i calceteiros, altamente specializzati e disposti a un lavoro manuale di grande precisione molto faticoso, per cui si tratta di un lavoro in via di estinzione che mette a rischio i marciapiedi decorati che sono una delle caratteristiche più evidenti della città di Pessoa.

I calceteiros sono così importanti per Lisbona che la città ha dedicato loro un monumento in una delle sue piazze più grandi.

Lisbona (Portogallo)

Lisbona (Portogallo)

Futurismo e pubblicità.

In questo periodo al Must di Vimercate è allestita una mostra interessante, che resterà aperta fino al 31 marzo, dedicata a Fortunato Depero e al rapporto tra il Futurismo e la pubblicità.

In genere tutti gli artisti Futuristi non disdegnavano la pubblicità che, anzi, definivano «arte nuova del mondo moderno», ma Depero, in particolare, sosteneva questa forma d’arte con particolare impegno ed entusiasmo fino a diventare il più celebre cartellonista tra i suoi contemporanei.

Disegnò manifesti, tra l’altro, per la ditta Alberti produttrice del “Liquore Strega” e per la Schering, la casa farmaceutica che produceva il “Veramon”, ma la sua collaborazione più significativa è indubbiamente quella con la Campari, per la quale disegnò, oltre ai manifesti, la bottiglia del “Campari Soda” nel 1932.

La mostra in allestimento al Must rappresenta un percorso interessante ed esauriente attraverso questo aspetto della produzione dell’artista che è sempre affascinante anche grazie alla sua grafica pulita e alle scelte di colore decise e accattivanti.

Da non perdere.

Vimercate - Must - Mostra "Fortunato Depero Futurismo e Pubblicità"