Archivio mensile:Novembre 2018

Giornata piena.

Svegliarsi alle tre è una tortura, ma l’aereo non aspetta e bisogna presentarsi in aeroporto con le canoniche due ore di anticipo (che, per i brianzoli, diventano due ore e mezza), visto che l’autostrada è vuota, non dobbiamo imbarcare valigie e passiamo i controlli di sicurezza in un lampo  ci tocca fatalmente aspettare l’imbarco un’eternità.

Non mi accorgo neppure del decollo perchè ho l’impressione di essere sotto anestesia e, dopo quelli che mi sembrano pochi minuti, l’aereo vira sul mare per puntare lo scalo di Catania.

Sono solo le otto e abbiamo davanti un’intera giornata per visitare la città (torneremo a casa con il volo delle ventidue grazie ad una tariffa scontatissima che ci permette di visitare la città etnea al costo di una pizza).

Dopo la visita alla cattedrale puntiamo decise all’ufficio turistico dove le impiegate, con estrema gentilezza, ci danno le dritte per sfruttare al meglio la giornata tra monumenti stupendi, come il Teatro Massimo e il Castello Ursino o come la Chiesa di San Nicolò l’Arena e l’annesso Monastero oggi sede dell’Università, senza dimenticare una sosta ristoratrice per un cannolo o un arancino.

Abbiamo passeggiato per tutta la giornata in un clima quasi primaverile, ci siamo divertite, ci siamo interessate alle spiegazioni appassionate delle guide, abbiamo scoperto angoli stupendi tra volute barocche e giardini pensili e alla sera, un po’ stremate, ci siamo presentate a Fontanarossa con il solito canonico anticipo.

Che dire del volo di ritorno? Ho sonnecchiato con la musica a palla nelle orecchie, stanca, ma contenta della splendida giornate.

Un’esperienza da ripetere, senza dubbio.

Catania - Teatro Massimo Vincenzo Bellini

Catania - Chiesa di San Nicolò l'Arena

Catania - Dolcezze

A disen “la canzon la nass a Napoli”.

Ogni tanto, nella casa di riposo dove vive mia madre, arriva un coro che allieta gli ospiti con canzoni un forse po’ datate, ma piene di ritmo e di allegria.

Sono canzoni di tanto tempo fa che parlano di amori ingenui, di baci rubati, di addii strappalacrime, di campane che suonano a distesa, di sguardi furtivi, di pianti e sorrisi, di sogni e speranze.

Gli ospiti, ma soprattutto le ospiti, seguono il canto con trasporto, battono le mani, partecipano felici e sorridono con gli sguardi che si perdono dietro a ricordi lontani, ad amori lontani.

Poi, alla fine del breve concerto, il coro intona “Oh mia bela Madunina” e anche tra gli spettatori le voci si alzano finalmente decise, forti mentre le parole del capolavoro di Giovanni D’Anzi, con le sonorità del mio dialetto dolcissimo ed armonioso, sembrano librarsi nell’aria.

Che bello sentirli cantare.

Milano - La Madonnina

La volta che andammo a Parigi.

Una volta (sembra che sia passato un secolo) le gite scolastiche erano una faccenda più semplice rispetto ad ora: non c’erano i limiti di spesa con cui fare i conti (anche se non si poteva certo largheggiare), le formalità burocratiche erano terrificanti, ma con un po’ di pazienza si superavano, e poi forse noi insegnanti eravamo più incoscienti (… e mediamente più giovani).

Tanti anni fa, con i ragazzi che oggi sono poco più che trentenni, andammo in gita per ben cinque giorni a Parigi (udite, udite).

Alloggiavamo in un albergo dalle parti di Pigalle abbastanza fatiscente, ma allora non importava più che tanto perché eravamo nella mitica “ville lumiere”, avevamo a disposizione tanti giorni per visitare monumenti e musei e per respirare l’aria della città e poi avevamo scelto in modo un po’ “improvvido” di visitare Parigi nella settimana di San Valentino e si sa che, soprattutto per degli adolescenti, può essere la città più romantica del mondo.

Credo che i ragazzi ricordino ancora la navigazione sulla Senna con il Bateau-mouche in una delle notti più fredde dell’anno e i grandi amori nati (e finiti pochi giorni dopo), credo che questo momento fondamentale della loro vita alle medie sia restato nei loro ricordi anche ora che sono adulti e hanno un lavoro e hanno messo su famiglia.

E anch’io li ricordo con tenerezza.

Parigi Agosto 1978

L’immediatezza del simbolo.

Oggi, in occasione della “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne” nel mio paese l’Amministrazione comunale ha deciso di piantare un albero rosso che simboleggi l’attenzione delle istituzioni e della comunità nei confronti di questo problema che, soprattutto in tempi recenti, ha assunto risvolti sempre più drammatici che richiedono risposte urgenti.

L’albero è un simbolo potente perché è destinato a crescere, come dovrebbero crescere le misure di protezione e di prevenzione del fenomeno della violenza.

L’albero è lì, sotto gli occhi di tutti, soprattutto dei bambini che escono dalla scuola e che, gettando un’occhiata distratta alla targa, potrebbero rendersi conto che la violenza esiste e che va combattuta anche attraverso la conoscenza e la cultura del rispetto.

Cavenago di Brianza - Albero rosso

Nel mondo alla rovescia.

Nel mondo alla rovescia i ragazzi che decidono di dedicarsi al volontariato e di partire per paesi dove alla miseria e alla fame si sovrappongono o si affiancano situazioni di conflitto e terrorismo sono degli irresponsabili (manco guidassero ubriachi dopo una notte di sballo).

In realtà sono ragazzi per i quali l’espressione “aiutiamoli a casa loro” non è un modo di dire, non è retorica e pazienza se “casa loro” è un paese in guerra.

Per questi ragazzi partire è una scelta di vita, generosa e consapevole, è una opportunità di crescita, non si tratta di “buonismo”  (una brutta espressione che salta fuori tutte le volte che vengono a mancare gli argomenti per una discussione seria) perché si mettono in gioco in prima persona, affidandosi ad organizzazioni che operano da anni sul campo, sapendo che i rischi ci sono, ma che, con un’organizzazione seria alle spalle, si possono limitare i danni.

Quando mio figlio diciottenne partì, con la Croce Rossa, per Sarajevo e poi, qualche anno dopo, con la Caritas Ambrosiana per recarsi presso comunità in difficoltà in Ucraina, Moldavia e Bulgaria non ero certo tranquilla e sicuramente anche lui non lo era, avevamo la consapevolezza dei rischi, ma avevamo anche fiducia nelle organizzazioni che gestivano queste esperienze.

D’altra parte avrebbe potuto trascorrere le vacanze al mare, ma in famiglia aveva respirato da sempre l’attenzione per gli altri e l’importanza dell’impegno e, in fondo, eravamo orgogliosi di questo ragazzo che ci assomigliava tanto, pur nel timore che qualcosa andasse male.

Ma nel mondo alla rovescia questi ragazzi sono “irresponsabili”.

Forse dovremmo rivedere la nostra scala di valori.

mostar

Non l’avevo capito.

Non avevo capito quanto fossi stanca di lavorare fino a quando non ho smesso di lavorare e mi sono riappropriata del tempo che credevo mio, ma che, per molti anni, è stato solo in prestito.

Me ne rendo conto passeggiando per Milano in un giorno feriale, un giorno un po’ freddo e nuvoloso, ma che ha il sapore di un giorno di vacanza.

Scopro di avere il tempo per osservare le vetrine e per entrare nei negozi, anche se non ho nulla da comprare, scopro di avere il tempo per camminare a passo lento, da Porta Nuova al Duomo, e per ammirare le facciate dei palazzi storici, come se le vedessi per la prima volta e, a ben guardare, è come se fosse la prima volta, perchè non ho altri pensieri che mi distraggano dal guardare con attenzione ciò che mi circonda.

Non ho relazioni da compilare, lezioni da preparare, verifiche da correggere, riunioni infinite, ho solo la preoccupazione di andarmene a zonzo senza orari, senza scadenze, senza fretta.

Credo che la mia nuova vita “a passo lento” sia la quintessenza della libertà.

Milano - Pinacoteca Ambrosiana

Storie di accoglienza.

Il fratello e la sorella di mio padre, che erano molto più giovani di lui, avevano trascorso gli anni della guerra, che erano anche gli anni della prima infanzia a Milano, nel quartiere Isola, con il continuo rischio dei bombardamenti e poi un po’ più al sicuro, dopo essere stati sfollati con la madre, in una scuola della Brianza.

Alla fine della guerra mia nonna era una vedova con una figlia ventenne (che di lì a poco si sarebbe sposata), con due figli ancora piccoli e il maggiore ancora in Sudafrica (fino al febbraio del ’47) e la situazione non doveva essere facile visto che, oltre alla ricostruzione della Nazione, bisognava preoccuparsi anche di ricostruire la vita, devastata dalla guerra, dalla miseria, dalle perdite.

Nell’ottobre del ’45 mio zio, che allora aveva nove anni, fu inviato per qualche mese dalla Croce Rossa in Svizzera, ospite di una famiglia di Winterthur, che lo accolse, lui un po’ smarrito, straniero, sicuramente magro ed emaciato, per alcuni mesi nella loro casa calda ed accogliente dove non mancavano il cibo e la cordialità.

L’anno seguente la famiglia rinnovò l’invito e lo estese anche a mia zia così che i due fratellini potessero trascorrere insieme i mesi di vacanza in un luogo tranquillo.

Per i miei zii quei due coniugi sono diventati “la mamma e il papà della Svizzera” ed il legame di profondo affetto che si era creato fra loro è durato fino alla morte dei due simpatici vecchietti che ho conosciuto, quando ero adolescente, durante un viaggio in Svizzera nel quale avevo accompagnato mio zio che si recava a trovarli abbastanza regolarmente.

Ho visitato la loro casa, una villetta con i balconi fioriti (come nell’immaginario collettivo sono tutte le casette svizzere), sono stata accolta con affetto e simpatia come se fossi una nipotina, ho respirato un’atmosfera di accoglienza, di condivisione, di gratuità nel donare che non pensavo potesse esistere.

La loro è una bella storia di accoglienza che nella mia famiglia si ricorda ancora con gratitudine e che mi fa pensare che, in fondo, gli esseri umani possono anche essere “umani”.

Sciaffusa (Svizzera) Cascate del Reno

Gli insegnanti bistrattati.

Spot pubblicitario di un gestore dell’energia: interno, giorno.

Una portiera un po’ impicciona (evidentemente in agguato da ore) sta spolverando un enorme ficus nell’androne di un palazzo signorile, quando entra in scena un signore dall’aria un po’ dimessa che la donna apostrofa prontamente: “Professore, è arrivata la bolletta della luce”.

Il pover’uomo si avvicina alle cassette della posta e si ritrova una busta enorme dal peso insopportabile, mentre la portiera continua ad osservarlo con aria di compatimento (… e, a quanto sembra, con un velato disgusto).

Poi entra in scena un giovane aitante, il “Signor Marco”  e al solo vederlo la portiera si illumina, sorride, scodinzola e gli mostra una busta piccola piccola (che evidentemente corrisponde ad una spesa irrisoria).

La morale della favola è semplice: il professore (… che magari insegna persino matematica) non è in grado di fare i conti e di risparmiare sull’energia, mentre il “Signor Marco”, che non si capisce bene cosa faccia nella vita, è molto più in gamba, in grado di badare a se stesso e alle sue finanze e persino bello.

Ma è mai possibile che gli insegnanti, oltre che dagli allievi e dai genitori,  siano bistrattati persino dalla pubblicità?

Polonia - Varsavia

Bookcity.

BookcityMilano  è un’iniziativa voluta dal Comune di Milano e da un gruppo di editori, fondazioni, biblioteche e librai per mettere al centro di una serie di eventi sparsi per la città il libro, la lettura e i lettori.

Dal 2012 quindi Milano ruota per tre giorni intorno al libro e al piacere della lettura promuovendo presentazioni, dialoghi, letture ad alta voce, mostre, spettacoli, seminari.

Oggi ho partecipato alla presentazione dell’ultimo libro di Philippe Daverio “Gran Tour d’Italia a piccoli passi” nella elegante Sala della Passione della Pinacoteca di Brera e ho potuto notare, con un po’ di stupore e una gran contentezza, che anche di questi tempi la presentazione di un libro e l’incontro con un autore colto e intelligente muovono un sacco di gente, persone appassionate disposte a farsi più di un’ora in coda, al freddo e in piedi, per sentir parlare di un libro.

Bookcity è anche questo: scoprire che anche se “gli italiani leggono pochissimo”, in realtà il gusto per la lettura e l’interesse per un buon libro sono ancora vivi.

Milano - Brera - Bookcity: Presentazione del libro di Philippe Daverio

Un piccolo esempio di civiltà.

Andare per musei, soprattutto per una famiglia con un paio di pargoletti,  non è sempre un’impresa facile, alcuni, infatti, sono piuttosto costosi (soprattutto se non si tratta di musei nazionali) e alcune iniziative lodevoli, come le domeniche gratis, presentano lo svantaggio di riempire i musei a dismisura in alcune giornate particolari, rendendo la visita quasi impossibile (mi è capitato al “Muse” di Trento di non riuscire neppure ad avvicinarmi ai tornelli dopo due ore di attesa).

Alcune regioni, come la Lombardia, hanno inventato una tessera annuale di libero accesso che è indubbiamente vantaggiosa, mentre quasi tutte le città d’arte offrono delle “card” che permettono l’accesso ai musei a prezzo scontato (o gratis) oltre ad offrire sconti vantaggiosi sui mezzi pubblici e su alcuni esercizi commerciali.

Trovo estremamente civile che alcuni musei di Londra siano completamente gratuiti e non si tratta di piccole raccolte o esposizioni di poco conto, ma, per esempio, del British Museum, della National Gallery, del Victoria an Albert Museum, dell’Imperial War Museum, della Tate Modern e del Science Museum, giusto per citarne alcuni.

La cultura non ha prezzo, ma poter visitare un museo come la National Gallery senza pagare neppure una sterlina è una gran bella esperienza.

Londra - National Gallery