Archivio mensile:Luglio 2018

Notti d’estate.

Quando ero bambina e abitavo a Milano in un appartamento dai soffitti altissimi ricordo che l’inverno era gelido in modo leggendario e l’estate afosa e soffocante: in casa nostra in inverno non c’era il  riscaldamento centralizzato (ma una stufa che di notte per sicurezza veniva spenta) e d’estate l’aria condizionata era di là da venire.

Nelle sere invernali ci chiudevamo in casa, imbacuccati con golf e calzerotti di lana, e andavamo a dormire presto per trovare un po’ di tepore sotto le coperte (… e poi il giorno dopo dovevo alzarmi per tempo per andare a scuola).

Nelle sere d’estate, invece, non c’era scampo, il caldo era insopportabile e allora si usciva di casa per un gelato o una fetta di anguria in piazzetta oppure, quando la temperatura superava i trenta gradi, mio padre ci caricava in macchina e ci portava al monte Stella (la mitica montagnetta di San Siro) nell’illusione di trovare un “po’ di fresco da montagna” poco lontano dal centro cittadino.

Poi si tornava a casa e si tentava di dormire con le finestre spalancate e lo sferragliare dei tram e qualche pipistrello che, per sbaglio, si infilava in casa.

Milano finestre al tramonto

Segni di guerra.

Forse li incontriamo e non ce ne accorgiamo neppure, dipinti sui muri degli edifici delle nostre città, seminascosti da graffiti e cartelloni pubblicitari, sfuggiti all’incuria del tempo e ai restauri successivi.

Si tratta di lettere dell’alfabeto, spesso accompagnate da un numero, vicine ad un portone, di frecce che puntano verso il basso, di segni quasi incomprensibili, ma spesso ben leggibili su cui posiamo sguardi distratti.

Questi segni indicavano rifugi antiaerei, bocche di ventilazione, uscite di emergenza ed evidenziavano quelle infrastrutture che, sotto le bombe, potevano rappresentare il confine tra la vita e la morte.

Quando si sa cosa cercare affiorano all’improvviso dal passato e ci raccontano di paura, di dolore, di speranza, di sollievo per avercela fatta ancora una volta.

Quando mi capita di imbattermi in queste tracce del passato mi soffermo ad osservarle per cercare di comprendere i sentimenti di tante persone come me che, quando suonavano le sirene d’allarme, cercavano scampo in quei rifugi provvidenziali.

Vicenza - Rifugio antiaereo

Bologna

La città del Palladio.

Andrea di Pietro della Gondola, conosciuto universalmente come Andrea Palladio, in onore della dea della sapienza e delle arti Pallade Atena, non era nato a  Vicenza, ma a Padova da dove si trasferì in età giovanile.

Vicenza, tuttavia, è la “sua” città, dove ha lasciato un’impronta indelebile del suo genio e ciò risulta ancora più evidente passeggiando per la città e percorrendo il corso a lui dedicato quando, ad un incrocio, sulla destra appare la Basilica Palladiana in tutto il suo splendore.

Non si può non farsi affascinare dalla bellezza dell’edificio, quasi sproporzionato rispetto alla piazza, ma armonico ed elegantissimo nel richiamare le misure dell’arte classica.

E poi, continuando in cerca di bellezza, tra una loggia e la facciata di un palazzo si giunge al Teatro Olimpico, la sua opera incompiuta.

Mi sono seduta sulle gradinate di legno e ho ammirato a lungo il palcoscenico, con le quinte prospettiche, e ho provato ad immaginare la rappresentazione dell’Edipo Re e mi sono lasciata scivolare nel tempo sul filo della bellezza e dell’armonia che non hanno età, che non hanno data di scadenza.

Vicenza - Basilica Palladiana

Vicenza - Teatro Olimpico

Affetto.

Trascorro molto tempo con mia madre, soprattutto nella bella stagione, quando posso spingere la sua sedia a rotelle in giardino o al parco e ce ne stiamo al sole, magari mangiando un gelato, parlando della mia giornata e delle sue paure, perchè la mente di mia madre, che ormai è cieca da più di dieci anni, spesso si popola di immagini che le creano ansia, ricordi che affiorano, frammenti di pensieri che mia madre si ingegna ad inserire in un contesto, come le tessere di un puzzle.

La sua è una notte perpetua che, talora, è percorsa da incubi, allora cerco di rassicurarla, di ricostruirle intorno una realtà positiva, di farle sentire la mia presenza.

Oggi, quando stavo per perdere la pazienza perchè non riuscivo a convincerla che alcune sue paure sono solo frutto della sua immaginazione, mi ha spento le parole in bocca con poche semplici parole: “Provo tanto affetto per te” mi ha sussurrato, come se fosse una osservazione ovvia, ma contemporaneamente carica di significato.

Sono rimasta in silenzio e mi è venuta voglia di piangere.

Dervio - Scuola di vela "Orza minore"