Archivio mensile:Novembre 2017

Ben allineati, in fila per due.

Questo inizio di anno scolastico è stato contrassegnato dalle notizie contrastanti apparse sulla stampa, sulla norma che imporrebbe ai genitori (o a chi ne fa le veci, come si diceva una volta) di recarsi presso l’uscita della scuola per accompagnare a casa i figli minori di quattordici anni.

Le notizie hanno sollevato non poche discussioni sulla maturità dei ragazzi, sulla necessità della sicurezza, sull’autonomia dei minori, sulla difficoltà per i genitori (o i nonni) di trovarsi contemporaneamente sul luogo di lavoro e ai cancelli della scuola.

Anche nelle scuole il dibattito è stato imponente soprattutto su cosa vada considerato “uscita” dell’istituto: per esempio nel nostro caso l’uscita è la porta dell’atrio o il cancello in fondo al giardino.

Dove dobbiamo accompagnare i ragazzi? Dove finisce la nostra responsabilità di adulti?

E così oggi, visto che avevo l’ultima ora, ho deciso di giocare un po’ e ho chiesto ai ragazzi di terza di uscire dall’istituto e di attraversare il giardino  in fila per due.

I ragazzi, come è logico, sono stati al gioco e hanno camminato in fila, alcuni tenendosi persino per mano, con i loro zainetti sulle spalle, con i loro carrellini ben allineati, serissimi e compunti,  tra gli sguardi perplessi degli altri studenti.

Poi qualcuno è tornato sui suoi passi per riprendere la bicicletta dalla rastrelliera.

Quando fanno così li adoro.

Cavenago autunno

Documenti e ricordi.

E’ uscita, sul sito dell’Istituto, la circolare a titolo “Quiescenza 1/9/2018” e ho cominciato a raccattare i documenti da presentare in segreteria per presentare la domanda per andare in pensione (perché di questo si tratta).

E’ un po’ buffo il termine “quiescenza”, mi fa pensare al riposo, ad una panchina al parco, ai libri che non ho mai avuto il tempo di leggere, agli armadi che non ho mai il tempo di riordinare.

Rileggo i documenti per assicurarmi che sia tutto in ordine, ripercorro le date, i lunghissimi quarantadue anni passati in un’aula scolastica, rivedo i visi di tanti ragazzi perché il mio lavoro consiste anche in una lunga teoria di relazioni e di persone e non solo in nozioni da trasmettere con più o meno successo.

So già che mi mancherà il mio lavoro, ma sono anche consapevole che, prima o poi, bisogna tentare di smettere, bisogna provare a fare altro, ad inventarsi un’altra vita.

Spero solo di non finire, un po’ annoiata, ad osservare qualche cantiere stradale.

Cavenago Le Foppe

Giallo.

Quando l’autunno, come in questi giorni, prende piede in modo prepotente gli alberi si vestono di colori sgargianti, le foglie secche brillano tremanti sui rami, fragili e delicate, pronte a staccarsi al primo refolo di vento e a cadere a terra e resteranno lì, un po’ ammaccate e malconce, e perderanno tutto il loro splendore.

Quando la nebbia avvolge tutto con il suo grigiore opaco anche le foglie sugli alberi sembrano smunte e incolori, ma quando, come oggi, il sole brilla nel cielo limpido anche i colori si accendono e tutto quel giallo, contro il cielo azzurro, è così brillante da ferire gli occhi.

E’ il giallo il colore dominante di questo autunno in Brianza, un giallo acceso che mette allegria e fa dimenticare il freddo e l’inverno che sta per venire.

Cavenago di Brianza

L’onore nazionale.

Questa sera sembra che nulla conti di più, per il nostro Paese, dei piedi di undici giovanotti (non tutti proprio giovanissimi) in cui riposano le “magnifiche sorti e progressive” del  futuro della nazione (almeno di quello calcistico).

Come spesso accade ci giochiamo tutto in una manciata di minuti, con  giocatori infortunati che gettano la stampella contro la porta avversaria come Enrico Toti (ho scritto Toti, non Totti, mi raccomando).

Ci sono attimi di puro, involontario, umorismo con i commentatori che candidamente ci raccontano come la dinamicità della squadra sia affidata ad  Immobile (nomen omen?).

E mentre i secondi scorrono inesorabili e si profila lo spettro innominabile della mancata qualificazione ai mondiali mi piacerebbe poter osservare che, in fondo, è solo un gioco e l’Italia ha ben altri problemi.

Ma questa sera il “benaltrismo” non sembra funzionare.

Milano - Portello - Calciatori

La normalità del male.

In questi tempi difficili in cui il nostro Paese e l’Europa sono percorsi da una ventata di xenofobia, di razzismo, di violenza spesso ingiustificata(ma quando mai la violenza lo è?), di tentazioni totalitariste (basti pensare alla manifestazione di ieri in Polonia) mi scopro a pensare a come il passato non ci abbia insegnato niente.

Settant’anni fa, quando finalmente aprimmo il vaso di Pandora degli orrori che avevano devastato il continente, scoprimmo che i “malvagi” non erano “mostri inumani”, ma persone assolutamente “normali”, incapaci di decifrare le conseguenze dei loro atti, persone che avevano “ubbidito agli ordini” senza farsi domande, forse perché così è più semplice o più semplicemente persone calate nella realtà in cui vivevano, una realtà fatta di lavoro, di carriera, di statistiche con i numeretti ben allineati, senza idee e senza responsabilità.

E’ questa “normalità” che mi spaventa: mi spaventa il pensiero che chi allora compiva simili atrocità e oggi può restare indifferente davanti alla tragedia di milioni di uomini in fuga e può smettere di provare emozioni alla vista dei cadaveri in mare, o può voltarsi dall’altra parte davanti alla miseria, alla sofferenza, al dolore fossero e siano persone “normali”, persone che hanno una famiglia, una casa, un lavoro, un cerchio magico di affetti e piccole gioie quotidiane e tanta paura che queste tranquille sicurezze possano essere intaccate.

Non è facile essere “umani”, non è rassicurante farsi carico del dolore dell’altro, soprattutto se l’altro è lontano, diverso, ma dobbiamo imparare a non chiudere gli occhi, dobbiamo ricordarci, ogni tanto, di pensare, di alimentare idee e assumerci responsabilità per evitare di trasformarci in semplici ingranaggi di una macchina.

Avvento.

Domenica prossima inizierà il tempo dell’Avvento ambrosiano che, a differenza di quello romano, dura sei settimane e inizia la prima domenica dopo San Martino (che cade l’11 novembre).

L’Avvento è un periodo liturgico in cui, attraverso la penitenza e la preghiera, ci si prepara al Natale ed è un tempo di riflessione e ripensamento, un tempo in cui i credenti dovrebbero trovare il raccoglimento necessario per avvicinarsi al mistero dell’Incarnazione.

In realtà il periodo che precede il Natale tutto è tranne che silenzio e ripensamento.

Nei supermercati (e nella pubblicità televisiva) subito dopo la scomparsa di streghe e zucche spuntano le prime decorazioni natalizie, gli articoli regalo e le offerte imperdibili mentre qualche tristissimo (e malefico) Babbo Natale fa la sua comparsa appeso a qualche balcone o a qualche davanzale.

Poi, in un velocissimo crescendo, appariranno le luminarie, le vetrine si riempiranno di luci, fiocchi rossi, globi di vetro colorati e tutti verremo presi dalla frenesia degli acquisti e perderemo di vista il senso profondo della festa.

Milano - Luci di Natale

Tra le pagine.

Ormai mi capita sempre più raramente di sfogliare un libro, ad eccezione naturalmente dei testi scolastici, perchè trovo più comodo portarmi appresso una intera biblioteca celata dietro una scintillante icona sullo schermo del tablet.

Sfioro lo schermo con un dito ed ecco comparire le parole di William Shakespeare e di Omero e di Agatha Christie e di Ray Bradbury e di Michail Bulgakov di tutti gli autori che amo leggere e rileggere all’infinito.

E poi succede, quasi per magia, di ritrovare sullo scaffale, in classe, una edizione vecchia di cinquant’anni de “I Promessi Sposi” e di provare un’acuta nostalgia nello sfiorare con la punta delle dita la rilegatura un po’ sdrucita e le pagine ingiallite e quasi ruvide, mentre l’olfatto è solleticato dal profumo un po’ stantio della polvere.

E mentre sfoglio le pagine e comincio a leggere sulla cattedra scivola un fiore secco che i fogli hanno conservato gelosi forse per parecchi decenni, un fiore raccolto chissà dove, chissà quando, un fiore dai petali fragili e smunti.

E mi ritrovo a pensare che queste cose con il tablet non succedono e forse un po’ mi dispiace.

amleto

The tube.

Per chi è abituato a viaggiare sulle vetture della Metropolitana di Milano la prima impressione è un po’ claustrofobica sia per gli spazi ristretti all’interno dei vagoni, sia per i soffitti bassi, sia per le dimensioni dei tunnel attraverso i quali il treno scivola veloce sospingendo l’aria che, quando si aspetta sulla banchina l’arrivo del convoglio, colpisce in faccia come uno schiaffo.

La metropolitana di Londra vanta la rete più estesa d’Europa ed è la più antica del mondo (cosa che, in alcune stazioni risulta abbastanza evidente) visto che le prime linee risalgono al 1863.

Orientarsi tra le numerose linee e le 382 stazioni non è sempre facile, ma è un’esperienza irrinunciabile per chi vuole visitare la città con la sua popolazione vivace  e multietnica che, prima o poi, si trova a passare per i tornelli, a sostare in attesa sulle banchine per imbarcarsi sui vagoni che scorrono nei tunnel quasi senza soluzione di continuità (non si aspetta mai per molto tempo l’arrivo di un convoglio).

Può anche succedere che, all’improvviso, il treno si fermi nel tunnel, le luci si spengano (e anche l’aria condizionata) e la voce un po’ rassegnata del conducente avvisi che a causa di un guasto (o di un incidente, o del destino cinico e baro) il servizio verrà sospeso per qualche minuto ( o per qualche decina di minuti, o per un’ora) e, a giudicare dai visi sereni e ugualmente rassegnati degli altri passeggeri, è evidente che non si tratta di un evento così inconsueto.

Poi il treno riparte, con le scuse del conducente, e alla prima fermata una voce in stazione ripete come un mantra “Mind the gap”.

Appena l’aereo tocca terra a London city si acquista una Oyster Card, si carica qualche sterlina e si parte verso l’avventura: Londra è lì, a portata di mano.

Londra - Canary Wharf

Dopo una lunga attesa.

Dopo tanti giorni sereni, con la terra che si spacca, con i laghi prealpini ridotti a pozzanghere dove è difficile persino navigare, con l’aria greve di polveri sottili, con gli incendi lungo i fianchi delle montagne alimentati dalle sterpaglie aride e dal vento, finalmente la pioggia, tanto invocata, scende copiosa.

Tra le mie montagne l’acqua scorre in rivoli impetuosi lungo le strade trascinando le foglie secche mentre le nuvole basse sembrano impigliarsi tra gli alberi e si attorcigliano in mille volute.

Non ci sono turisti, in questo week end, contrassegnato da un’allerta meteo, e il paese è vuoto ed è piacevole camminare, anche sotto la pioggia, ascoltando lo scroscio che cambia suono a seconda degli alberi e dei cespugli e poi è piacevole fermarsi in un bar e sorseggiare un caffè guardando la pioggia che scende.

Il cielo è cupo e c’è una luce quasi serale che si riflette sull’asfalto lucido e tutto è tranquillo e silenzioso.

Qui, tra le mie montagne, mi piace anche la pioggia.

Luci e ombre (Cavenago di Brianza)

Dove nascono i sogni.

Non ne parliamo tanto, in classe, ma mi rendo conto da certi comportamenti, da certi subitanei ripensamenti, da una gravità finora sconosciuta, che i miei ragazzi stanno in qualche modo cercando di leggere il loro futuro, a metà strada tra le certezze incrollabili e i sogni.

Sono spiriti pratici i ragazzi di oggi ma mi piace pensare che ogni tanto si avventurino nella terra dei sogni, mi piace sperare che ogni tanto si abbandonino ai desideri, quelli che possono sembrare irrealizzabili, ma che sarebbe un vero peccato trascurare.

In fondo se non si sogna a quattordici anni a che età è concesso sognare? Come si fa a rinunciare quando si è così giovani e il mondo appare prodigo di possibilità?

Forse il mio compito dovrebbe essere quello di farli stare con i piedi per terra, ma preferisco vederli volare come aquiloni portati dalla brezza dei loro pensieri liberi.

Per tornare a terra c’è tempo.

Cavenago di Brianza aquilone