Incertezze.

Passano i giorni e intanto sto espletando, ad una ad una, le pratiche per la pensione che ora sembra a portata di mano ora sembra allontanarsi, perchè non basta aver lavorato per il numero di anni sufficiente se la previdenza (sic!) sociale si è persa un po’ di contributi per una crocetta dimenticata (o posta nella casella sbagliata) in un’era così remota da aver reso i documenti sbiaditi e ormai praticamente illeggibili.

Mi attendono lunghe ore di attesa in qualche ufficio e magari discussioni surreali che farebbero invidia al miglior Kafka.

E poi entro in classe e spiego e mi accorgo che i ragazzi (per una volta) sono particolarmente attenti e i loro sguardi vivaci e mi chiedo se non fare più il mio mestiere sia proprio quello che desidero, mi chiedo se ho proprio voglia di infilarmi in un dedalo di trafile burocratiche per ottenere il diritto di smettere di fare una cosa che mi piace fare.

Mi dibatto nell’incertezza e ho l’impressione che entrambe le soluzioni (andarmene o restare) mi regalino qualcosa e mi rubino qualcosa.

matita

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