Archivio mensile:Giugno 2017

Un libro per l’estate.

Anzi “almeno tre libri per l’estate” è il compito per le vacanze che ho assegnato ai miei ragazzi gettando nel più nero sconforto alcuni e riempiendo di giubilo altri.

Come al solito ho consigliato una serie di letture: qualcuno mi ha chiesto l’argomento, altri si sono limitati a chiedermi il numero delle pagine (come se il numero delle pagine del volume fosse un criterio di scelta accettabile).

Se sapessero che ho letto libri brevissimi assolutamente noiosi ed astrusi forse orienterebbero la scelta su altre variabili.

Comunque sia durante l’estate leggeranno e forse scopriranno (ma molti di loro lo sanno già) che immergersi in un libro, lasciarsi prendere dalla narrazione, farsi coinvolgere da sentimenti e passioni può essere un’esperienza che forse non cambia la vita, ma sicuramente la arricchisce.

Buone vacanze e buone letture a tutti.

libro

Una nuova valigia.

La valigia in realtà è sempre quella, quella inconfondibile quando compare sul nastro trasportatore dell’aeroporto, ammaccata da tanti trasbordi, graffiata e un po’ malconcia, ma che ci posso fare? Mi sono affezionata e sono abitudinaria perciò continuerò ad usarla fino a quando non sarà ridotta a brandelli.

La cosa nuova è la meta scritta sul cartellino appeso alla maniglia.

Si tratta di un luogo del mito, che desidero visitare da tanto tempo, da quando per la prima volta ho letto il racconto del viaggio di Ulisse, un viaggio lunghissimo e leggendario, un viaggio per tornare alla casa, agli affetti, all’isola amata.

“Nostoi” si chiamavano in greco i racconti del ritorno degli eroi omerici alle loro patrie ed anche il mio viaggio, che immagino breve, ma intenso, è un po’ un ritorno alla dimensione della leggenda, a ciò che ho amato e che continuo ad amare.

Mi sembra un buon modo per festeggiare, tra un paio di giorni, il mio compleanno.

Bergeggi (ottobre 2011)

Esami e guerre.

Non ricordo che cosa avessi capito, nel lontano giugno del ’67, della Guerra dei Sei Giorni, ma evidentemente pensavo di saperne abbastanza da scriverne nel mio tema dell’esame di terza media.

I giornali parlavano di luoghi che poi mi sarebbero diventati familiari come la Striscia di Gaza o le Alture del Golan, i telegiornali rimandavano l’immagine, ai miei occhi un po’ pittoresca, dell’allora ministro della difesa israeliano il generale Moshe Dayan, riconoscibilissimo per la benda che celava l’occhio sinistro ferito durante la seconda guerra mondiale.

L’argomento era di scottante attualità, visto che la guerra si era conclusa il 10 giugno proprio pochi giorni prima dello scritto di italiano, e a me, che divoravo i quotidiani ed ero assetata di capire il mondo, non pareva vero di cogliere l’occasione di scrivere un tema originale.

Ero incosciente allora e forse lo sono ancora.

Non so bene cosa avessi capito, ma, a giudicare dall’esito dell’esame, evidentemente devo aver scritto qualcosa di buono.

Cena d’estate.

E’ ormai tradizione, nella casa di riposo dove vive mia madre, salutare l’arrivo dell’estate con una cena in giardino a cui partecipano tutti gli ospiti, i parenti ed il personale.

Come sempre, in occasioni simili, ciò che conta non è tanto la qualità del cibo (che comunque è sempre buono), o la scelta dei vini, o la vivacità dell’intrattenimento, ciò che conta è passare una sera in compagnia dei nostri cari e anche di tutti gli ospiti che, per i più svariati motivi, non hanno parenti alla loro tavola, ma che hanno l’occasione di condividere qualche ora chiacchierando e ascoltando musica, senza sentirsi troppo soli.

E’ bello vederli “tirar tardi” (di solito si ritirano nelle loro camere molto presto) e combattere contro il sonno per prolungare la gioia dello stare insieme.

E’ bello vederli sorridere come bambini mentre le lampade cinesi si innalzano, delicate e poetiche, nel cielo limpido.

Lampada cinese

Viaggi a colori.

Quando cominciano le vacanze (estive, natalizie, pasquali poco importa: basta che siano vacanze) di solito tiro fuori la mia valigia (sempre la stessa finché non me la sfasceranno in qualche aeroporto) e parto.

Di solito programmo i viaggi e prenoto con largo anticipo così ho tutto il tempo di leggere guide turistiche e libri e di prepararmi a cogliere anche i più piccoli dettagli dei monumenti, dei paesaggi, dei luoghi e delle persone che incontrerò lungo la strada.

Alcuni viaggi mi lasciano l’impressione di profumi, di geometrie, di sapori, di suoni e di colori e spesso sono proprio i colori che restano impressi nei miei ricordi, quando ormai sono a tornata casa da lungo tempo e le altre sensazioni si attenuano.

Ci sono viaggi che  hanno colori ben definiti come, ad esempio, il rosso degli edifici e della terra del Marocco: se chiudo gli occhi rivedo quei riflessi rossi, caldi e brillanti, rivedo il colore delle colline e del complesso Heri es-Souani di Meknes, le grandi scuderie che servivano anche da granaio: una struttura immensa in cui sole, che splende nel cielo limpido, accende l’ocra delle colonne.

Ecco: per me il viaggio in Marocco ha il colore di quelle colonne.

Quale sarà il colore del prossimo viaggio?

Marocco - Meknes

Come in un acquario.

Il primo giorno senza ragazzi, senza lezioni, senza campanella e schiamazzi e litigi e corse sul prato ha sempre una strana atmosfera.

E’ domenica e la domenica è sempre un giorno di vacanza, ma la prima domenica dopo la chiusura dell’anno scolastico ha un sapore diverso, sarà forse per la consapevolezza che domani alle otto meno cinque non suonerà la campanella e i ragazzi non entreranno vocianti nell’atrio.

Mi sento quasi stordita, come se galleggiassi in un acquario e, all’idea dei suoni ovattati che da domani sfioreranno le mie orecchie, mi sento quasi smarrita.

E’ incredibile che si riesca ad abituarsi a tutte quelle voci, così vivaci, talora così dissonanti, le voci più acute delle ragazze e quelle dei ragazzi che, con il passare dei mesi, diventano sempre più profonde.

Nell’acquario delle mie vacanze quelle voci sono lontane e appannate e quasi ne provo già un po’ di nostalgia.

Cortabbio (Primaluna)

Ricordando l’Alsazia.

Sembra ieri eppure sono passati già cinque anni dal viaggio d’istruzione in Alsazia: per le strade di Strasburgo e di Colmar, lungo la linea Maginot e  nel silenzio del campo di concentramento di Natzweiler-Struthof.

I ragazzini che ricordo incantati e stupiti davanti all’imponenza delle cascate del Reno di Schaffhausen ora sono dei giovani alle prese con le incertezze, le attese e i timori dell’esame di maturità, dei giovani che ora come allora sono in procinto di spiccare un nuovo volo, di affrontare un cambiamento che, per molti di loro, significherà scegliere la facoltà universitaria e iniziare un nuovo percorso di studi.

Li ricordo aggirarsi tra le case a graticcio così tipiche della regione con l’aria un po’ spavalda di ragazzini che si credono già quasi “grandi”, tutti presi dall’idea di essere in viaggio, all’estero, senza la presenza protettiva dei genitori.

Sono passati cinque anni e quando li incontro per strada quasi stento a riconoscerli, anche se da lontano non ho mai smesso di tenerli d’occhio, ho cercato di seguire i loro percorsi perchè i ragazzi,  quando se ne vanno, si portano via un pezzetto di cuore.

Strasburgo (Francia)

Batman, un uomo in calzamaglia.

Su Netflix ho trovato un capolavoro assoluto: “Batman: The Movie” girato nel 1966, quando Batman dalle nostre parti era ancora l’Uomo Pipistrello (e Superman era noto come Nembo Kid).

A differenza dei film più recenti che hanno come protagonista l’eroe mascherato, dalle atmosfere gotiche e inquietanti, la pellicola del ’66 è colorata all’inverosimile, come lo erano allora gli albi a fumetti, i personaggi vestono tutine attillate che evidenziano qualche problema di linea (l’eroe mascherato è decisamente in sovrappeso) e camminano sulle pareti verticali (con l’inquadratura evidentemente ruotata di novanta gradi).

Il doppiaggio italiano rinverdisce i fasti dell’Istituto Luce, con la voce narrante stentorea e un linguaggio quasi dannunziano, per tacere delle imprecazioni creative di Robin.

E che dire degli effetti speciali? C’è lo squalo di plastica (tipo salvagente) che azzanna la gamba di Batman, il cielo con le grinze, i post bruciatori della batmobile che basterebbero da soli a sollevare uno Shuttle e le bombe che sono delle enormi palle nere con tanto di miccia accesa (proprio come nei cartoni animati).

Non riesco a capire se si tratti di un film comicamente ironico, o di un capolavoro dell’ingenuità dei bei tempi antichi, comunque non riesco a fare a meno di piegarmi in due dalle risate.

Le vacanze lunghe.

Quando ero bambina a questo punto dell’anno, a scuola quasi finita, in casa mia cominciavano i grandi preparativi per le vacanze in montagna che allora duravano dall’ultima settimana di giugno alla fine di settembre (visto che l’anno scolastico in quei tempi felici iniziava il primo giorno di ottobre).

Mia madre passava le giornate ad ammucchiare in un enorme baule, che un corriere portava a destinazione, i vestiti, la biancheria per la casa, i giocattoli miei e di mio fratello, i libri, i quaderni per i famigerati compiti delle vacanze e tutti gli oggetti di uso quotidiano che dovevano servire a rendere il nostro soggiorno confortevole.

Poi si partiva, una domenica mattina, e si raggiungeva la mitica Valsassina, l’alloggio con il balcone che si affacciava sulla piazzetta e per qualche giorno la mamma provvedeva a sistemare tutto ciò che avevamo portato lassù.

Poi cominciava la vacanza vera e propria che era fatta di lunghe passeggiate fino a raggiungere le cime dei monti, di giochi infiniti nella piazzetta con il gruppetto di amici che, di anno in anno, crescevano con me e insieme passavamo dall’infanzia all’adolescenza  e c’erano anche i compiti, nelle giornate di pioggia che, purtroppo, non mancavano mai, c’erano le letture, c’erano le risate e i primi amori, c’erano le notti quiete passate a inseguire le lucciole e ad aspettare le stelle cadenti.

Le vacanze erano lunghissime e, quando le giornate cominciavano malinconicamente ad accorciarsi, era quasi piacevole immaginare il ritorno alla città e ai banchi di scuola.

Piani di Artavaggio (Luglio 2016)

Segni dei tempi.

Nella tranquillità della  sera, una serata calda da dedicare alla lettura leggera, all’ascolto di un po’ di musica, con le finestre aperte sul buio e un bicchiere di tè ghiacciato, nei miei pensieri un po’ oziosi di un sabato sera già proiettato verso l’estate e le vacanze irrompono come uno schiaffo le notizie da Londra e da Torino e mi lasciano senza parole e senza fiato.

Da Londra entrano in casa le immagini dell’ennesimo sanguinoso attacco che colpisce ancora una volta persone comuni, persone come noi, in un’ora di gioia, di riposo, di tranquillità e possiamo anche continuare a ripeterci che non dobbiamo  avere paura, che non dobbiamo cambiare il nostro stile di vita, che non dobbiamo concedere spazio a chi vuole stringerci nella morsa del terrore, ma non è facile reagire.

E che non sia facile non cedere al terrore ce lo raccontano le immagini che arrivano da Torino dove un allarme, forse frainteso, uno sbandamento della folla assiepata davanti al maxischermo per assistere alla partita hanno provocato scene di panico indicibili e un numero altissimo di feriti, perché ormai abbiamo messo in conto che qualcosa di brutto può accadere in qualsiasi momento e soprattutto quando siamo insieme ad altri e condividiamo gioie e dolori, e trascorriamo delle ore serene e abbassiamo la guardia.

Le immagini di morte, di dolore, di paura che entrano nelle nostre case, oggi come in passato, sono purtroppo un segno dei tempi che stiamo vivendo: …e sono tempi veramente brutti.

Roma