L’ora del silenzio.

Una volta, quando le campane non erano mosse da avveniristici sistemi computerizzati, alle tre del pomeriggio del venerdì santo, mentre nelle chiese si celebravano i riti della Passione, qualcuno provvedeva a legare le funi delle campane perché nel momento della morte di Cristo la chiesa e il mondo entravano nel silenzio per uscirne, durante la Messa della notte di Pasqua, all’annuncio della resurrezione.

Il sabato santo era una giornata di silenzio: il silenzio del dolore, il silenzio della disillusione, il silenzio dell’attesa, il silenzio della speranza.

La chiesa, spogliata di tutti i suoi ornamenti e di tutte le sue luci, si offriva buia e silenziosa ai fedeli che, in punta di piedi, percorrevano la navata per inginocchiarsi davanti al sepolcro e per baciare le piaghe di Cristo.

Buio e silenzio per ascoltare, per riflettere, per pregare in attesa della gioiosa esplosione di luci e di suoni della notte.

Oggi non sappiamo più ritrovare quel silenzio: le campane sono ancora mute, ma intorno alla chiesa la vita continua a scorrere frenetica e rumorosa,.

Mentre dalla televisione provengono musiche e suoni ricordo il tempo della mia infanzia quando, il venerdì santo, la radio trasmetteva solo musica sinfonica e ascolto le parole vuote e talora inutili di oggi, ascolto i litigi, le urla, le risate e ritrovo il silenzio solo pigiando un tasto del telecomando.

Forse un tempo eravamo più devoti, più rispettosi, più ingenui, ma eravamo capaci di fermarci per due giorni a pensare.

Roma

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