Archivio mensile:Marzo 2017

L’angelo ferito.

Le bombe cadevano senza tregua su Milano e la paura, il dolore, la morte attraversavano la città come racconta Salvatore Quasimodo in una della sue poesie più ispirate: “Milano, agosto 1943”.

In quell’anno furono colpiti, oltre alle innumerevoli abitazioni civili, i luoghi simbolo della città come il Castello, la Villa Reale, Palazzo Marino, Santa Maria alle Grazie con il Cenacolo ( salvato solo grazie  alle provvidenziali protezioni predisposte per tempo), la Galleria e, come estremo sfregio al cuore della città, il Duomo e la Scala.

Di quel tempo restano ancora, su alcuni edifici, le frecce un po’ sbiadite che indicavano l’accesso ai rifugi antiaerei dove, al suono delle sirene, bisognava infilarsi in tutta fretta ed attendere, spesso per interminabili ore, che suonasse il cessato allarme.

Di quel tempo resta una dolorosa testimonianza nel portale centrale del Duomo, in quell’angelo dell’annunciazione con la mano troncata da una scheggia.

Quell’angelo ferito simboleggia gli orrori della guerra, simboleggia la stupidità del genere umano.

Milano - Piazza del Duomo

Non solo dame e cavalieri.

E’ stupendo il castello di Issogne, la dimora dei conti di Challant, dalle forme eleganti e sobrie, e basta superare il portone d’ingresso per ritrovarsi proiettati in un passato di agiata e pacifica ricchezza testimoniata dagli affreschi delle lunette del portico con la volta a crociera e gli archi a tutto sesto.

Sulle pareti della dimora è tutto un susseguirsi di stemmi che raccontano matrimoni e alleanze, che raccontano la  solidità e il potere del casato come in un simbolico albero genealogico.

Ma il vero tesoro sono gli affreschi delle lunette che risalgono agli anni tra il XV e il XVI secolo e illustrano scene di vita quotidiana e di lavoro, botteghe e mercanti sostituiscono giostre e tornei: negli affreschi, infatti, non sono rappresentati dame e cavalieri, ma speziali, sarti, bottegai, quasi a raccontare l’inarrestabile ascesa della borghesia che si sostituisce all’aristocrazia.

Nel cortile ricco ed elegante, al cospetto dei fasti degli Challant e dei nuovi fasti della borghesia, sorge, al centro di una fontana ottagonale, un delizioso  albero in ferro battuto nel quale le foglie di quercia, simbolo di forza e potere, si alternano ai frutti del melograno.

Valle d'Aosta - Castello di Issogne

Valle d'Aosta - Castello di Issogne

Un tesoro da riscoprire.

Cavenago di Brianza - Chiesa di Santa Maria in campo

Capita  a chi passa sull’autostrada A4, poco prima del casello di Cavenago di Brianza (in direzione Bergamo), di posare lo sguardo per pochi istanti su una chiesetta che sorge proprio a ridosso della trafficatissima arteria, una chiesetta dalle eleganti forme romaniche, minuscola e perfetta, isolata in mezzo alla campagna.

Le  prime notizie della chiesa risalgono al XIII secolo e sono contenute nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani” di Goffredo da Bussero che cita un edificio di culto dedicato alla Vergine a Cavenago, in seguito la chiesa è stata ampliata, ampiamente rimaneggiata, decorata con affreschi (“strappati” nel 1968 e collocati nella chiesa parrocchiale), lasciata in stato di abbandono fino a quando non è stato avviato, in tempi recenti, un faticoso quanto appassionato percorso di recupero con lo scopo di restituire alla comunità e agli appassionati dell’arte un tesoro dimenticato.

Lentamente la chiesa di Santa Maria in Campo sta ritrovando la sua primitiva bellezza con la sua sobria facciata a capanna, gli elementi decorativi in cotto, i muri in ciottoli di fiume dal disegno regolare; ora si staglia sul verde del prato circostante, silenziosa e tranquilla, testimone di una storia secolare che non può e non deve scivolare nell’oblio.

Cavenago di Brianza - Chiesa di Santa Maria in campo

Cavenago di Brianza - Chiesa di Santa Maria in campo

Storie dimenticate.

Tutti ricordiamo i passi incerti di Armstrong sul suolo lunare, tutti ricordiamo quei “piccoli passi” diventati nell’immaginario collettivo un “balzo da gigante per l’umanità”; molti di noi, soprattutto quelli della mia generazione, ricordano il volto sorridente di John Glenn al rientro dopo il primo volo orbitale intorno al pianeta.

La storia di questi uomini, e degli astronauti statunitensi e sovietici della grande stagione della corsa spaziale, è stata celebrata in decine di film, libri, documentari che ce li hanno resi familiari.

Nessuno ci ha mai raccontato la storia di Katherine Johnson, bambina prodigio, laureata in matematica a soli diciotto anni, la donna afroamericana che con i suoi calcoli di traiettorie e finestre di lancio ha permesso, tra l’altro, che il volo di Glenn e l’allunaggio di Armstrong avessero successo.

Il bellissimo e, a tratti, commovente film “Il diritto di contare” colma questa lacuna, il film racconta il coraggio, la determinazione che supera i pregiudizi, la forza della ragione.

Cavenago - Luna calante

Il mago e il cubano.

Il mondo dello spettacolo  ha perso oggi, a poche ore di distanza, due personaggi importanti che, per motivi diversi, sono entrati nell’immaginario collettivo degli italiani.

E’ mancato Cino Tortorella, autore e conduttore, passato alla storia della nostra televisione per aver interpretato per anni il Mago Zurlì, il personaggio che, abbigliato con un costume improbabile e con i capelli luccicanti di polvere magica, ha presentato con garbo e professionalità una trasmissione pomeridiana nell’ambito della “TV dei ragazzi” e poi, per anni e anni, lo “Zecchino d’Oro”, dialogando con i piccoli cantanti e con Topo Gigio con la stessa ironica eleganza.

E’ mancato Tomas Milian, nato a L’Avana, ma naturalizzato italiano fin dagli anni sessanta, diventato celebre con i personaggi del poliziotto dal passato scabroso e del ladruncolo romano (il mitico Er Monnezza) anche se, all’inizio della carriera, aveva lavorato in ruoli più impegnati con grandi registi come Lattuada, Zurlini, Visconti e Pasolini.

Se n’è andato un pezzetto di storia.

 

Quasi un’oasi.

E finalmente sono riuscita a fare una scappata in Piazza del Duomo, giusto per dare un’occhiata alle “famigerate” palme spuntate in modo controverso  nella zona del parcheggio dei taxi proprio di fronte alla cattedrale.

Come spesso succede a Milano e ai suoi cittadini (e io non faccio certo eccezione) si è passati dalla polemica e dal dibattito acceso, alla bonaria ironia, alla curiosità fino a giungere ad una pacata indifferenza e manca poco al momento in cui anche le palme e i banani entreranno a far parte del paesaggio urbano e non ci si accorgerà neppure della loro esistenza.

Per ora stanno lì, non particolarmente ingombranti, particolari quanto basta per attirare una folla di turisti e di passanti intenti a scattarsi un selfie nell’oasi intralciando i movimenti dei taxi.

Non mi fanno impazzire, ma ritengo che ci siano problemi più importanti di cui preoccuparsi.

Milano Piazza del Duomo

Milano - Piazza del Duomo

E’ primavera … anche a Milano.

Fa quasi caldo in questi giorni e anche a Milano gli alberi e i balconi cominciano a fiorire e la città è più vivace, più colorata, più allegra.

Anche le due torri del “Bosco verticale” sono fiorite e sui balconi, che seguono il ritmo delle stagioni, gli alberi si coprono di minuscoli fiori colorati come succede anche nei boschi, quelli veri, che coprono i fianchi delle mie montagne e che, in questo tempo dell’anno, si tingono di verde tenero e di rosa e di bianco.

Il parco, ai piedi delle torri, è animato di corse, di risate, di persone che passeggiano godendosi il tepore di queste giornate in questo spazio piacevolmente vivibile.

Anche a Milano è arrivata la primavera.

Milano

Quando non scrivo.

Se, come è successo negli ultimi giorni, tralascio un po’ la scrittura di solito non è perché non ho nulla da scrivere, ma al contrario perché avrei troppo e preferisco prima di tutto fare ordine tra le mie idee (ammesso che sia possibile).

In questi giorni sto muovendo i primi passi verso un cambiamento importante nella mia vita, sto affrontando il passaggio fra il lavoro e la (tanto agognata?) pensione e, oltre a raccogliere documenti, avviare procedure, cercare di capire le tempistiche, sotto sotto c’è un altro problema: mi interrogo con un po’ di inquietudine sull’effettivo desiderio di cambiare e non sono del tutto convinta di averne voglia.

Se, da una parte, ci sono un po’ di legittima stanchezza e il desiderio di libertà, dall’altra c’è  un sottile timore per il vuoto che smettere di lavorare lascerebbe nella mia vita, una vita passata nelle aule scolastiche e che, soprattutto negli ultimi trentatré anni, mi ha visto ogni giorno percorrere lo stesso pezzetto di strada (brevissimo in verità), aprire lo stesso cassetto che mi graffia ogni giorno le mani, incontrare quasi sempre le stesse persone, ripetere gesti e dire parole sempre uguali e sempre diversi.

E allora sto qui a chiedermi cosa vorrei veramente per la mia vita ed è una situazione un po’ straniante non riuscire ancora a capire cosa farò da grande.

Idroscalo 2013

Il Jukebox.

Quelli della mia generazione dovrebbero ricordarseli i jukebox, gli ingombranti apparecchi per la riproduzione di brani musicali che stavano in tutti i locali pubblici, di solito accanto al flipper, a partire dagli anni cinquanta.

Per i ragazzini abituati agli auricolari e agli mp3 i jukebox devono sembrare antichi come i dinosauri, ma per noi, ragazzini di mezzo secolo fa, erano un modo, spesso l’unico, per ascoltare musica insieme, per scoprire il primo amore sulle note di una canzone romantica, per muovere qualche passo di danza quando le discoteche si chiamavano sale da ballo o, se più popolari, balere.

Nella parte superiore del jukebox, sotto una lastra di vetro, c’era l’elenco dei brani musicali e per ogni canzone c’era un numero e una lettera.

Quando avevamo voglia di musica sceglievamo il brano, infilavamo una monetina e poi giravamo la ruota del selettore (o pigiavamo dei tasti) poi stavamo lì, un po’ incantati, a fissare il braccio meccanico che caricava sul piatto del giradischi il disco (rigorosamente in vinile) in attesa delle prime note.

Era bello stare insieme, ascoltare la musica insieme, chiacchierare bevendo una bibita, guardarci negli occhi e, lasciandoci cullare dalla melodia, scoprire le ansie e le bellezze del primo amore.

Brescia

Ladri di passato.

Mosul, la città irachena sulle sponde del Tigri, sorge nei pressi del sito dell’antica Ninive, che divenne capitale dell’Impero Assiro durante il Regno di Sennacherib, era una grande e bella città, protetta da mure imponenti di dodici chilometri e fu ampliata e arricchita di monumenti fino alla sua caduta, ad opera dei Medi, caduta che determinò la decadenza  inarrestabile degli Assiri.

Il Museo archeologico di Mosul era uno scrigno di grandi tesori che testimoniavano la grandezza dell’antica capitale e che oggi sono ridotti a pochi resti perchè i miliziani del sedicente stato islamico hanno distrutto tutto ciò che non hanno rubato per poi rivendere i reperti più preziosi sul mercato clandestino allo scopo di finanziare le azioni militari intraprese dal califfato.

I reporter, che sono riusciti ad entrare nel Museo dopo la riconquista di Mosul da parte delle truppe regolari, raccontano queste devastazioni, raccontano della stupidità di queste “gloriose” imprese, raccontano del desolante furto di passato che ha danneggiato tutti noi, che ha impoverito la memoria di tutta l’umanità.

Il mio amore per la storia e per il passato mi impedisce di perdonare chi ha perpetrato queste nefandezze e di comprendere chi, acquistando i reperti che appartenevano a tutti i noi, si è macchiato di complicità con la barbarie.

Ankara