Il gioco del silenzio.

Quando ero bambina, alla scuola elementare, si giocava veramente poco, anzi non si giocava proprio infatti l’idea di giocare in classe sarebbe sembrata un’eresia visto che persino i dieci minuti dell’intervallo li passavamo andando ai servizi rigorosamente in fila per due.

Nella mia scuola c’era un cortile che immagino avesse solo una funzione ornamentale, con  la terra battuta, i cespugli di rose e i gli  alberi un po’ stenti negli angoli, anche se i ricordi sono un po’ sbiaditi ho l’impressione di essere scesa in cortile con le mie compagne solo per metterci in posa all’aperto per la foto di gruppo, che probabilmente era l’unico rito frivolo ammesso nella scuola che frequentavo.

Tuttavia ogni tanto, se la maestra doveva assentarsi per qualche minuto, giocavamo al gioco del silenzio.

Le regole erano semplici: una ragazzina scelta dalla maestra si metteva dritta in piedi sulla predella di fianco alla cattedra e ci osservava attentamente per scegliere la più silenziosa di noi che l’avrebbe sostituita nel ruolo di potere.

La prescelta a sua volta doveva scegliere una sostituta e il gioco (non particolarmente avvincente, per la verità) continuava così fino al ritorno della maestra.

Da parte nostra stavamo sedute nei banchi, con le braccia conserte, immobili, quasi senza respirare, perché logicamente per essere scelte non bastava stare zitte, senza quasi respirare, ma bisognava attirare lo sguardo della ragazzina in piedi vicino alla cattedra, e prodursi in un’espressione di simpatia mista a complicità che doveva orientare la scelta.

La ragazzina in piedi cercava di prolungare il suo ruolo all’infinito, sfiorava con lo sguardo le bambine che sapeva non avrebbe chiamato mai (perché le simpatie e le antipatie giocavano un ruolo importante), e indugiava sulle facce “amiche” quasi a volerle illudere poi arrivava la “nomination” che scatenava conflitti e recriminazioni (“non sei più mia amica”) che, tuttavia, si materializzavano solo dopo la fine delle lezioni.

A ben guardare era un gioco abbastanza crudele, ma riusciva ad ottenere lo scopo: un silenzio perfetto.

milano scuola elementare 1963 64

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