Caramelle.

Quando ero piccola in casa mia le caramelle erano una merce rara, la mamma le acquistava ogni tanto nella drogheria a pochi passi da casa (allora tutti i negozi erano a pochi passi da casa) e poi le occultava in qualche angolo molto recondito della dispensa da dove emergevano solo raramente e, di solito, con la funzione di premio.

In genere ne circolavano due tipi (… e mai contemporaneamente): le mou e i fruttini.

Le “mou” erano dei cubetti morbidi avvolti in un incarto giallo e rosso (al quale spesso restavano appiccicate), erano dolcissime, a base di zucchero e latte, i “fruttini” invece erano delle sfere di zucchero, con un piccolo cuore più friabile, avvolte in un incarto colorato che, non appena invecchiavano un po’ acquistavano la consistenza del cemento ed era quasi impossibile morderle, bisognava per forza succhiarle (e quindi duravano infinitamente di più).

Sì perché non era giusto mordere le caramelle la cui dolcezza, così rara, doveva resistere a lungo.

La mia sarebbe stata un’infanzia di parsimoniosa “dolcezza” se non avessi avuto due nonne che si preoccupavano di incrementare, in modo abbastanza clandestino, la quantità di zuccheri che ingerivo.

La nonna materna prediligeva le caramelle “Rossana” eleganti nella loro confezione rossa, dure quanto basta, ma con un cuore morbido, cremoso e profumato che adoravo.

Le mie preferite erano tuttavia le caramelle della nonna paterna, le celeberrime “Nougatine” delle sfere di nocciole tritate e caramellate, avvolte in uno strato generoso di cioccolato fondente, riconoscibilissime per il volto di foggia africana con un turbante colorato disegnato sull’involucro.

Ogni tanto mi capita di incontrare di nuovo le caramelle della mia infanzia, ma ho spesso l’impressione che il sapore sia cambiato, forse perché è cambiato il mio gusto, forse perché hanno perso l senso di rarità che le rendeva preziose.

Caramelle

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