Archivi giornalieri: 14 Dicembre 2016

Vent’anni.

Il 10 giugno del 1940, mentre la folla in piazza Venezia applaudiva entusiasta il discorso di Mussolini che annunciava l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania, mio padre si trovava in un caserma di Santa Maria Capua Vetere ed era molto meno entusiasta.

L’ora segnata dal destino, quella che batteva nel cielo della nostra Patria, l’ora delle decisioni irrevocabili per mio padre era un’ora ben triste.

Aveva compiuto vent’anni da pochi giorni, aveva a casa un padre anziano e malato, una mamma che si arrabattava per sbancare il lunario lavorando come portinaia e tre fratelli più piccoli da aiutare a crescere e la folla nelle piazze inneggiava alla guerra  contro”le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente”.

Raccontava spesso che, poco dopo l’annuncio, con l’incoscienza tipica dei suoi anni era scappato dalla caserma, aveva raggiunto fortunosamente Milano, per abbracciare i genitori prima di partire per il fronte e poi era tornato giusto in tempo per imbarcarsi per la Libia.

Abbiamo ancora qualche foto di quei giorni, scattata chissà come, in una mia padre, abbigliato con una divisa improbabile per il clima africano, se ne sta appoggiato ad una palma, probabilmente a Tobruk, con l’aria da “turista per caso” e una faccia da ragazzino un po’ impaurito, un po’ incuriosito, un po’ intristito.

Ma non era un turista, era un ragazzo strappato alla famiglia, agli studi, alla vita passata tra lavoro, scuola serale, lunghe pedalate in montagna, estenuanti partite di calcio con i  ragazzi del Milan, pomeriggi domenicali trascorsi in una sala da ballo tra ragazze con le gonne lunghe e le calzette corte.

Per lui c’era la guerra, c’era il deserto e poi, dopo due anni in Libia e in Egitto, la cattura e il campo di concentramento, per cinque lunghi anni,  a Zonderwater in Sudafrica senz notizie dei fratelli da crescere, della mamma e di quel papà anziano e malato che non avrebbe rivisto più.

Ogni tanto penso con rabbia alle responsabilità storiche e morali di chi scelse di rubare a mio padre (e a tanti giovani come lui) i suoi splendidi vent’anni.

Liba