Archivio mensile:Dicembre 2016

Forse ho un problema con i tempi.

La valigia è pronta, la carta d’imbarco è al sicuro nella borsa, tra poco sarò di nuovo in volo per una destinazione che amo molto: Cracovia.

Le persone furbe vanno in inverno a Cuba e in estate nel grande nord, io no, io sono stata in Marocco in agosto e passerò il Capodanno in Polonia: evidentemente non azzecco mai i tempi.

Oppure (… e mi illudo che sia così) amo visitare i luoghi cogliendo la loro essenza più tipica e allora forse vale la pena di soffrire il caldo di una piazza di Marrakech in piena estate e di aggirarmi nel freddo della sera che scende veloce su Cracovia in un pomeriggio di dicembre.

Comunque sia sono pronta a partire perché viaggiare (al caldo o al freddo poco importa) è sempre una gran bella esperienza.

Marocco - Marrakech

Gli ultimi.

Ora che la festa è passata, ora che si appannano le luci, ora che le tavole sono state sparecchiate, ora che la frenesia degli acquisti e dei preparativi è solo u ricordo, in questo clima un po’ sospeso da mezza festa, prendiamoci qualche minuto per riflettere sul senso del Natale.

Fermiamoci davanti a questo bambino che si è fatto ultimo, per condividere la fatica di essere ultimi.

Cristo conosceva già la sofferenza a cui andava incontro, la sofferenza della povertà, dell’emarginazione, della solitudine, del dolore, ma ha scelto di condividerla con noi e soprattutto con coloro che questa sofferenza la vivono come esperienza quotidiana.

Quando cantiamo “Tu scendi dalle stelle” contempliamo tutta la forza dirompente di quel “scendere”, di quel farsi uomo tra gli uomini.

Possiamo anche commuoverci ed emozionarci davanti al presepe, ma se l’immagine di un Dio bambino non ci spinge ad uscire dalla nostra sicurezza per andare incontro a chi soffre e per cercare di alleviare le sofferenze di chi è povero, emarginato, solo forse dobbiamo solo ritrovare il vero spirito del Natale.

Il Natale non può essere solo poetico, Il Natale è rivoluzionario.

Milano  - Natale 2016

Milano e Natale.

Per strada c’è tanta gente e se non fosse per le luminarie e le vetrine addobbate non sembrerebbe neanche Natale.

Tra i grattacieli di Porta Nuova improvvisati pattinatori scivolano sul ghiaccio mentre la colonna sonora sono deliziose carole natalizie che nessuno ascolta.

Milano non è capace di fermarsi, non riesce ad essere sonnolenta neppure nel pomeriggio della festa, quando le fatiche del pranzo appesantiscono le palpebre e conciliano chiacchiere oziose intorno al tavolo ancora ingombro di dolci e gusci di frutta secca.

In un pomeriggio di Natale dal tepore quasi primaverile la metropolitana è piena, le strade sono piene, i passi sono frettolosi quasi come nei giorni normali quando si corre da un ufficio all’altro, da un negozio all’altro, da una commissione all’altra.

Adoro questa città frenetica che non rallenta neppure a Natale.

Milano  - Natale 2016

Anche questa è tradizione.

Da quando la nostra famiglia è diventata piccola piccola festeggiamo il Natale in modo un po’ diverso, ma a poco a poco ci siamo inventati nuovi gesti, nuovi piccoli riti che stanno diventando nuove tradizioni.

Alla vigilia mio figlio cucina il cappone ripieno (il ripieno lo studiamo lungamente nei giorni precedenti) e lo mangiamo alla sera prima di imbacuccarci per uscire ed andare a Messa.

La mattina di Natale la passo con mia madre, in casa di riposo, chiacchieriamo e ci facciamo un po’ di coccole in attesa del pranzo natalizio, poi torno a casa, pranziamo anche noi abbastanza velocemente, facciamo scoppiare un paio di christmas crackers e poi, dopo il caffè, andiamo a Milano, a casa degli zii, mangiamo insieme il panettone, beviamo delle bollicine e poi andiamo a passeggiare in centro, o in darsena.

Forse il nostro Natale non è molto convenzionale, ma è Natale e ci piace trascorrerlo così, in fondo non ci interessa tanto abbuffarci, ma ci piace stare insieme, ci piace andare a zonzo nell’atmosfera un po’ sonnolenta della festa.

In fondo anche questi piccoli gesti che ci fanno stare bene prima o poi diventeranno tradizioni.

Milano - Luci di Natale

In vacanza.

“Cerchiamo di riposarci un po’!” ci ripetiamo come un mantra salutandoci e scambiandoci gli auguri in sala professori, ma sappiamo già che non sarà così e che, tra due settimane (più o meno), ci ritroveremo di nuovo lì, alla prima ora, stressati dalla vacanza e proiettati verso gli scrutini del primo quadrimestre e le preiscrizioni e i compiti da correggere e i ragazzini che la vacanza rende dimentichi e obliosi e sembra sempre di dover ricominciare da capo.

Cercherò di riposare, ma intanto ci sono gli ultimi acquisti, e gli ultimi pacchetti da confezionare (e consegnare) e la montagna di vestiti da stirare che giace in fiduciosa attesa di un po’ di attenzione e poi i giorni passati tra pranzi e visite ai parenti vicini e lontani e, per Capodanno, la valigia da preparare, il volo da non perdere, la città da visitare (un po’ di cultura perbacco) e poi il ritorno e la nuova montagna di vestiti da stirare e la preparazione delle lezioni e, infine, l’inesorabile prima ora del lunedì e la lezione di storia.

Sembra facile, ma riposare è proprio faticoso.

Milano centro - Quasi Natale 2016

 

Primo giorno d’inverno.

A ben vedere è strano che l’inverno cominci proprio oggi dopo tanti giorni nebbiosi, dopo tante mattine gelide con le automobili coperte di ghiaccio e la campagna bianchissima dove le foglie secche e i fili d’erba sembravano spezzarsi in minuscoli cristalli scintillanti.

Inizia l’inverno, ma nell’aria c’è già una promessa di tepore donato da un timido sole i cui raggi  sembrano farsi strada a stento nel freddo, eppure accarezzano il viso e sembrano ancora più brillanti dopo le giornate grige di nebbia.

Inizia l’inverno eppure, da domani, le ore di luce cominceranno impercettibilmente ad allungarsi e, anche se all’inizio non ce ne accorgeremo neppure, già sappiamo che è così, e che la luce ci porterà un annuncio di  primavera.

Aspettiamo la luce e il calore come un dono del tempo che passa e intanto ci lasciamo avvolgere dalla luce e dal calore di questi giorni di festa, la luce e il calore che il Natale ogni anno riporta nelle nostre case, facendoci riscoprire la gioia di stare insieme e di coltivare la quieta serenità degli affetti.

luce tra le nubi

Caramelle.

Quando ero piccola in casa mia le caramelle erano una merce rara, la mamma le acquistava ogni tanto nella drogheria a pochi passi da casa (allora tutti i negozi erano a pochi passi da casa) e poi le occultava in qualche angolo molto recondito della dispensa da dove emergevano solo raramente e, di solito, con la funzione di premio.

In genere ne circolavano due tipi (… e mai contemporaneamente): le mou e i fruttini.

Le “mou” erano dei cubetti morbidi avvolti in un incarto giallo e rosso (al quale spesso restavano appiccicate), erano dolcissime, a base di zucchero e latte, i “fruttini” invece erano delle sfere di zucchero, con un piccolo cuore più friabile, avvolte in un incarto colorato che, non appena invecchiavano un po’ acquistavano la consistenza del cemento ed era quasi impossibile morderle, bisognava per forza succhiarle (e quindi duravano infinitamente di più).

Sì perché non era giusto mordere le caramelle la cui dolcezza, così rara, doveva resistere a lungo.

La mia sarebbe stata un’infanzia di parsimoniosa “dolcezza” se non avessi avuto due nonne che si preoccupavano di incrementare, in modo abbastanza clandestino, la quantità di zuccheri che ingerivo.

La nonna materna prediligeva le caramelle “Rossana” eleganti nella loro confezione rossa, dure quanto basta, ma con un cuore morbido, cremoso e profumato che adoravo.

Le mie preferite erano tuttavia le caramelle della nonna paterna, le celeberrime “Nougatine” delle sfere di nocciole tritate e caramellate, avvolte in uno strato generoso di cioccolato fondente, riconoscibilissime per il volto di foggia africana con un turbante colorato disegnato sull’involucro.

Ogni tanto mi capita di incontrare di nuovo le caramelle della mia infanzia, ma ho spesso l’impressione che il sapore sia cambiato, forse perché è cambiato il mio gusto, forse perché hanno perso l senso di rarità che le rendeva preziose.

Caramelle

Il grande Presepe Metropolitano.

Nel cuore di Milano. celato nel sottosuolo di Piazza Oberdan, c’è l’Albergo Diurno Venezia, un centro servizi per viaggiatori  progettato dall’architetto Piero Portaluppi e realizzato tra il 1923 e il 1925 che, dopo decenni di abbandono, è stato acquisito dal FAI che ha avviato una attenta azione di recupero.

Sul magnifico salone a colonne si affacciano bagni pubblici, terme, negozi di barbiere, manicure, agenzia di viaggi e negozio di fotografia che conservano il fascino di un passato elegante e raffinato, negli arredi intatti, nei rivestimenti ricercati  in stile Déco.

In questi giorni che precedono il Natale nell’ambiente è stato allestito un presepe di rara bellezza, il Presepe degli Artisti, dipinto su materiali poveri come legno e cartapesta da un gruppo di pittori nel 1976.

Si tratta di grandi figure colorate e apparentemente un po’ ingenue, ma energiche e suggestive come certa iconografia delle chiesette di campagna.

Il Presepe, che resterà aperto fino al 3 gennaio 2017, merita sicuramente una visita.

Milano - Presepe all'Albergo Diurno

Milano - Presepe all'Albergo Diurno

Momenti insieme.

I giorni che precedono il Natale  offrono spesso momenti di festa, di condivisione, momenti conviviali che diventano un’occasione preziosa per incontrare persone che magari non si vedono da molto tempo, amici che gli impegni quotidiani allontanano o anche colleghi e conoscenti che solitamente frequentiamo in contesti meno informali.

Seduti intorno ad un tavolo imbandito, con la complicità di una flute dove le bollicine si rincorrono allegre, si scambiano parole e sguardi amichevoli e sorrisi e ci si sente bene.

Qualche volta passare da un concerto ad un pranzo può sembrare faticoso, ma tutto concorre a creare il clima della festa perché, anche se può sembrare un po’ retorico e “buonista”, nessuna festa come il Natale può far riscoprire la gioia di stare insieme.

stelle di natale

 

Vent’anni.

Il 10 giugno del 1940, mentre la folla in piazza Venezia applaudiva entusiasta il discorso di Mussolini che annunciava l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania, mio padre si trovava in un caserma di Santa Maria Capua Vetere ed era molto meno entusiasta.

L’ora segnata dal destino, quella che batteva nel cielo della nostra Patria, l’ora delle decisioni irrevocabili per mio padre era un’ora ben triste.

Aveva compiuto vent’anni da pochi giorni, aveva a casa un padre anziano e malato, una mamma che si arrabattava per sbancare il lunario lavorando come portinaia e tre fratelli più piccoli da aiutare a crescere e la folla nelle piazze inneggiava alla guerra  contro”le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente”.

Raccontava spesso che, poco dopo l’annuncio, con l’incoscienza tipica dei suoi anni era scappato dalla caserma, aveva raggiunto fortunosamente Milano, per abbracciare i genitori prima di partire per il fronte e poi era tornato giusto in tempo per imbarcarsi per la Libia.

Abbiamo ancora qualche foto di quei giorni, scattata chissà come, in una mia padre, abbigliato con una divisa improbabile per il clima africano, se ne sta appoggiato ad una palma, probabilmente a Tobruk, con l’aria da “turista per caso” e una faccia da ragazzino un po’ impaurito, un po’ incuriosito, un po’ intristito.

Ma non era un turista, era un ragazzo strappato alla famiglia, agli studi, alla vita passata tra lavoro, scuola serale, lunghe pedalate in montagna, estenuanti partite di calcio con i  ragazzi del Milan, pomeriggi domenicali trascorsi in una sala da ballo tra ragazze con le gonne lunghe e le calzette corte.

Per lui c’era la guerra, c’era il deserto e poi, dopo due anni in Libia e in Egitto, la cattura e il campo di concentramento, per cinque lunghi anni,  a Zonderwater in Sudafrica senz notizie dei fratelli da crescere, della mamma e di quel papà anziano e malato che non avrebbe rivisto più.

Ogni tanto penso con rabbia alle responsabilità storiche e morali di chi scelse di rubare a mio padre (e a tanti giovani come lui) i suoi splendidi vent’anni.

Liba